Non sai quello che hai finché non lo perdi. A marzo 2020 stavo giusto scrivendo le ultime pagine del mio libro “garibaldino” quando Conte ha chiuso l’Italia. Pagine che parlavano di partenze all’alba, zaino in spalla, io e mia moglie Eleonora, giorno dopo giorno, scampagnata dopo scampagnata, sulle orme dell’eroe dei due mondi nel 1849. Sceglievamo noi i sentieri, da Roma a Cesenatico; ci fermavamo dove volevamo, senza prenotare; chiacchieravamo con tutti, per strada, nei locali. Poi, a un tratto, ecco l’autocertificazione, la mascherina, i guanti di gomma, un blindato dell’esercito all’angolo della strada. E ho scoperto la libertà; ormai persa.
Viaggiare, o almeno viaggiare per piacere, è l’espressione più schietta della libertà individuale. Parti per le vacanze e non sei più prigioniero di casa tua, del capoufficio pignolo, dei parenti e degli amici. Ti liberi pure della tua routine, le tue abitudini. Per forza: a Delhi o a Glasgow è inutile aspettarsi un buon cappuccino; non si sfoglia la Gazzetta sulle spiagge cubane. Anche per questo a qualcuno viaggiare fa un po’ paura. Ci si può perdere. E così sceglie viaggi organizzati, durante i quali tutto è già deciso e ogni pericolo debellato. Magari con un gruppo di amici. Controllando regolarmente sul cellulare le tappe del Tour de France tra le varie chiamate a casa per l’onomastico della nonna.
La pandemia ci ha uniti e divisi in molti modi. Soprattutto ha diviso chi aveva paura da chi non l’aveva. Chi non voleva saperne della mascherina all’aria aperta da chi la portava pure nella più sperduta campagna. La paura è il grande nemico della libertà. Nell’estate del 2020, con il primo allentamento delle regole, abbiamo provato a fare un bis garibaldino con una marcia dal Lago Maggiore al Lago di Garda, il percorso dei Cacciatori delle Alpi del 1859. Ma già a Como abbiamo mollato. Era troppo triste. Nessuno si salutava più sui sentieri. Gente che si girava dall’altra parte per paura del contagio. Musei ancora chiusi. Negozianti guardinghi.
Ma è stato in Sicilia nel giugno del ’21 che abbiamo sentito la massima tensione tra chi voleva ripartire e chi no. Prendendo un traghetto dall’isola di Favignana a Marsala, per arrivare, come i garibaldini, dal mare, ci siamo ritrovati assillati da un capitano con la barba nera che minacciava di sanzionare chiunque abbassasse la mascherina anche un millimetro sotto il naso. Ed eravamo quattro gatti. Come non pensare all’uomo sul ponte del vapore Lombardo che urlava: «Sono Nino Bixio! Dovete obbedirmi tutti; guai chi osasse una alzata di spalla».
Ma loro andavano in guerra. Al castello di Salemi, il vecchio custode ci ha negato l’entrata perché il termometro a pistola non voleva misurarci la febbre. Eravamo gli unici visitatori. C’erano 40 gradi. Forse troppi per il termometro, posizionato su un cavalletto al sole.
Non è che a fine pandemia viaggiare cambierà per tutti nello stesso modo. Chi ha faticato ad accettare le restrizioni magari insisterà a fare vacanze più avventurose, deciso a tutti i costi a vivere intensamente. Che potrebbe voler dire movida sfrenata, immersioni ardite, foreste amazzoniche. In molti hanno addirittura lasciato il lavoro per essere più liberi e fare viaggi più lunghi, senza chiedersi quando torneranno.
Ma c’è chi si è sentito protetto durante il lockdown e, ricominciando a viaggiare, cercherà ogni possibile garanzia, prenotando con largo anticipo, studiando le mete meno frequentate. Conosco chi ha trovato alloggio nella montagna più remota per limitare al massimo i contatti. E chi ha dovuto irrompere in casa della sorella e tirarla fuori di forza da un’incarcerazione autoimposta. Tornare a viaggiare è un atto di fede.
Ad agosto noi faremo un’altra passeggiata, questa volta sulle orme di D.H. Lawrence nel 1913, da Costanza a Milano passando per il San Gottardo. Grande viaggiatore, per quanto di salute cagionevole, Lawrence odiava la paura. «Ti viene addosso», scrisse, «l’assoluta necessità di muoverti». So esattamente cosa voleva dire.