Così il nostro giornale ha descritto le mode e i costumi del Paese

Settimanale di Politica, Cultura ed Economia, “L’Espresso” dal suo primo numero del 2 ottobre 1955 è una bussola che orienta anche le mode e il costume degli italiani. E, naturalmente, anche la sfera erotica e sessuale. Nel secondo numero, sotto al titolo “Cugat ha deciso 1955 cha cha cha 1956 tarantella”, Il musicista e marito della prosperosa Abbe Lane, ha dettato la linea: nei night di via Veneto il “vecchio “ mambo non è più di moda, dai tavolini nemmeno due coppie si alzano per scendere in pista. Il cha cha cha sarà travolgente, accompagnato da un degno piano bar. Nella pagina accanto, l’articolo intitolato “Cercano clienti disossate”, ci si riferisce ai guru della moda. E allora, in sintonia con la nuova stagione, come deve essere la donna 1955? “Pallore madreperlaceo, sopracciglia inchiostro, capelli catrame”. Il tailleur deve avere “una scollatura a punta sul davanti e sul dietro, per allungare la linea del collo”. Dramma! “La guerra al petto continua. Niente più balie fiorenti, generose scollature, seni sporgenti. Soppresso il busto, la nuova moda asseconda la linea naturale del corpo senza modellarlo artificialmente”. Non basta: “Abolita la cintura, il vestito, per la prima volta dal 1947, dall’accento del new look, è fatto di un sol getto e non spezza più in due la figura femminile”. Veniamo ai fianchi. “Mai più strettamente inguainati. Spoglia e lineare, la nuova moda sembra una reazione al sex-appeal delle dive”. La gonna corta non è di rigore, ma si allunga ben sotto al ginocchio tanto da far apparire le gambe più corte”. Le donne grissino alla Twiggy e le minigonne di Mary Quant sono lontane da venire.

Se il settimanale lenzuolo va contro corrente anche nel campo dell’eros, di pentite del sesso si può parlare. E in una foto di Gina Lollobrigida, la “Bersagliera”, l’attrice indossa una maglietta alla “vestivamo alla marinara”, mostra un décollété fuori taglia e la didascalia recita: “Parigi. In una lettera rivolta ai lettori americani. Gina Lollobrigida ha dichiarato: «Per me è ora di finirla col sesso. Il pubblico penserà che io sappia solo amare. Io intendo dargli qualcosa che mi faccia ricordare indipendentemente dal mio aspetto».

E chi è la “Bella cretina” come la definisce l’attore Anthony Quinn? Andiamo al sommario dell’articolo firmato Oberon, probabilmente uno pseudonimo: “Appena un’attrice italiana si mette a studiare recitazione e impara a parlare, la sua carriera può dirsi finita: conseguenza dei film sesso-dialettali”. Scorriamo l’incipit: “A Cinecittà, a via Veneto, alla Farnesina, alla Vasca Navale, dovunque a Roma si inventi , si produca e si compri del cinema, le dichiarazioni di Anthony Quinn hanno suscitato lo stesso commento: «Poco carine». Perfino Lea Padovani, Giulietta Masina, Kerima e Valentina Cortese, cioè le attrici che Quinn ha definito «serie e brave», si mostrano insoddisfatte: in loro più che il piacere dell’elogio gioca il timore delle nuove gelosie, dei nuovi intrighi che l’apprezzamento potrà provocare”.

Nella puritana America succede anche questo, come racconta la fotografia accompagnata da questa didascalia: “Pasadena (California). Le ballerine Francisca Eyres e Flo Ash Wilson nella stazione di polizia. Sono state fermate per essersi esibite davanti a 150 uomini in uno spettacolo indecente”. Nella foto, Francisca saluta i reporter mostrando - vestita - il sedere.

Il settimanale ha successo e attira locandine e annunci pubblicitari. Si fa notare quella del numero 12 del 18 dicembre. È uno spettacolo con Totò e Gino Cervi. Incorniciati in un salvagente, il titolo è “Il coraggio”. Tra gli altri, Irene Galter, Paola Barbara e compagnia cantante. La Galter appare in una fotografia all’epoca, pensiamo, peccaminosa. Indossa una mini sottoveste nera e nere sono le sue scarpe, mentre con sguardo felino tiene in mano una sigaretta inguainata in un lungo e sottile bocchino. Ancora “peggio” fa la matita di Mino Maccari, vignettista honorem de “L’Espresso”. La didascalia illustra così il disegno: “Questa vignetta raffigurante la Francia, uscì nel “Selvaggio “ del 15 dicembre 1933. Il pittore Mino Maccari la commentava con questi versi: “Non quando li prende - Ma quando li rende - Parigi la offende”. La Marianna di turno indossa il tipico cappello della Rivoluzione, gioca facendoli volteggiare i parigini, mostra seni al vento, una lingerie délabré, calze a rete nere tenute d sottili giarrettiere. Le feste di Natale del 1955 celebrano la coppia dell’anno: Xavier Cugat e Abbe Lane (amava farsi fotografare con il suo barboncino) mentre provano i passi di danza del cha cha cha durante le riprese del film “Donatella”. Lui è in frack, lei in un vestito da sera lamé che abbraccia un bel décollété. A proposito di lingerie. In quegli anni e, fino ai Sessanta, la diva sexy la esibisce in tanti film. Uno per tutti: lo strip di Sophia Loren davanti a uno “sbavoso “ e fremente Marcello Mastroianni. Ma ne riparleremo.

 

1955 - 1960
Nel numero del 5 febbraio 1956 i lettori de “L’Espresso” si eccitano con “I francobolli della castità”, fotograficamente sintetizzati in prima pagina da una sfilata di belle figliole delle Flies-Bergère, in topless e le fatidiche pecette a coprire i peccaminosi capezzoli. La stella delle stelline è Colette Fleuriot, la cui esuberanza si può ammirare all’interno, in un fotomontaggio dove la bella svolazza con piumaggi dalla testa ai fianchi e francobolli da 5 lire a coprire i seni e il pube. Guerrini dà fondo alla sua arte e scrive che “L’Osservatore romano” in un articolo intitolato “Attenzione!” per la prima volta in 96 anni occupava di un music-hall e giudicava lo spettacolo che la compagnia delle Folies-Bergère stava dando a Napoli come “il frutto della fantasia morbosa di un drogato”.

Da un’unione che vorrebbe cominciare senza la santa benedizione a un’altra che naufraga clamorosamente: l’attrice svedese Ingrid Bergman si separa dal regista Roberto Rossellini, dopo sette anni di matrimonio. “L’Espresso” ci gioca su e domanda ai lettori: “L’italiano è un cattivo marito?” (17 novembre 1957). Di certo è sempre stato un po’ puttaniere e a lui è dedicata l’inchiesta di Guerrini, “la sua iniziativa. L’ultima notte della peccatrice di Stato. Persiane aperte” (21 settembre 1958), con foto di una famosa casa di tolleranza di Roma, in via del Leoncino, tra marinai, giovanotti in giacca e cravatta, ragazze non troppo svestite in attesa. Si celebra la chiusura dei casini e l’onorevole socialista Lina Merlin, promotrice dell’omonima legge, , aveva pure organizzato una conferenza stampa per difendere.

Dai tempi delle sabine il sesso è sempre stato un pallino di noi italiani. Ma anche i preti non scherzano. La buon’anima di Pio XII, per esempio, nel suo discusso pontificato aveva trovato il tempo di rivolgere un appello ai parroci, sostenendo che Roma era una città corrotta, dal peccato, dal vizio e dalla pornografia. “L’Espresso” domanda al capo della Polizia dei costumi se Roma è una città viziosa. Ha risposto di no (Gianni Corbi, 17 marzo 1957). Chissà se ci avrà ripensato davanti agli “Scettici blu del Rugantino” e alla “Turca desnuda” (16 novembre 1958) alias Aiché Nanà, la ballerina che nel locale di Trastevere, davanti alla “Ciampino society” Come Salomè si dimenò e si tolse tutti i veli, rimanendo in mutandine nere. Nelle foto del servizio, sia i volti degli spettatori che quello della ballerina (e non parliamo dei seni) erano stati coperti dal triangolino di circostanza.

Se Roma è viziosa, Milan “Alle Maschere”o, la cosiddetta capitale morale, non è da meno. Sotto la Madonnina la parola d’ordine è: “Meno sesso signorina” (19 aprile 1959). Camilla Cederna racconta così uno spettacolo di strip-tease al teatro “Alle Maschere” e i dolci vizi di “Milan la nuit”: «Vengono pomposamente annunciate “due signorine inglesi in una loro creazione coreografica (…). In reggipetto e mutandine di lustrini e calze di rete e lustrini perfino nell’ombelico, le signorine inglesi si esibiscono in una breve danza di tipo esotico (…). Le ragazze si slacciano il reggiseno e appaiono decorate da due enormi stelle pensili che coprono tutto quello che sta al di sotto. Quando stanno per togliersi il resto: “Per carità!”, esclama il presentatore (Lucio Flauto, nda.), “basta così” e quindi rivolto al pubblico spiega: “Vedete che manca il sipario?. È stato proibito perché il direttore di scena a un certo punto non abbia a ordinare: “Giù il sipario!”, e ride, ma è l’unico a divertirsi. E’ a questo punto che una certa inquietudine comincia a infiltrarsi negli aspiranti-voyeurs di Milano e dintorni».

Nei campus americani fanno la comparsa “I giacobini dell’amore” (20 ottobre 1963). Sono gli studenti che reclamano la libertà sessuale nelle università. Da noi. Più prosaicamente, è la stagione di “Bovary 1960”, inchiesta a puntate su “La moglie in Italia” (13 gennaio 1960). Così la vede Gambino: c’è «una visione che tende a dividere le donne in due gruppi: le madri-vergini e le prostitute. La moglie rientra nella prima categoria. Il suo tentativo di desessualizzarla comincia il giorno stesso del matrimonio». Ma talvolta anche madame Bovary si prende le sue vendette. Una vittima eccellente è “Il seduttore sedotto” (10 luglio 1960) di Salvatore Bruno: «Il conquistatore degradato a ridicolo strumento della donna: ecco uno dei fatti più clamorosi di questi ultimi anni diu vita italiana. Ora una ragazza dice: “Giovanni è un vanitoso, un debole. Sto con lui perché mi serve”. Prima questo linguaggio spettava a lui, a Giovanni. L’uomo considerato alla stessa stregua di un genere di consumo».

Gli anni ‘50 si chiudono e si apre la stagione della dolce vita. Per tutta la primavera del 195 “L’Espresso” aveva seguito e documentato le riprese della “Dolce Vita” di Federico Fellini. La famosa scena del bagno notturno di Anita Ekberg nella fontana di Trevi con Marcello Mastroianni, viene così descritta: «Per tre notti di seguito alle tre del mattino Anita Ekberg e Marcello Mastroianni hanno dovuto gettarsi nelle acque della fontana di Trevi. La scena, una delle più lunghe del copione della “Dolce Vita”, è stata girata da Federico Fellini 20 volte di seguito. Con le spalle nude e un leggero vestito di mussola, l’attrice disguazzava nell’acqua trascinando dietro di sé il suo partner riluttante. Alla fine delle riprese i curiosi raccolti attorno alla fontana, gli operatori e il regista hanno applaudito l’attrice che si è allontanata in fretta buttandosi sulle spalle, come un accappatoio di spugna la pelliccia di visone». (“Il bagno di Anita”, 19 aprile 1959). Ma come venne accolta la “Dolce Vita” nelle sale? “L’Espresso” racconta (“Protestano i responsabili della dolce vita”, 14 febbraio 1960) che: «A Roma la proiezione è stata seguita senza proteste, ma un silenzio insolito ha sottolineato alcune scene, forse indizio di un accorato stupore. Altrove, e in particolare a Milano, il pubblico ha reagito, uno spettatore, in nome della Patria, ha sputato addosso a Fellini».

 

1960 - 1965
Se a Roma si riflette sulla dolce vita, a Parigi la scrittrice Simone de Beauvoir teorizza Brigitte Bardot, “La bella incosciente” e “L’Espresso” ne pubblica il saggio (1 maggio 1960), «Brigitte Bardot è l’esemplare più completo di queste ambigue ninfe. Visto di spalle, il suo corpo di ballerina minuta, muscoloso, è pressoché androgino, la femminilità balza esuberante dal suo busto incantevole, sulle sue spalle scende la lunga e voluttuosa chioma di Melisenda, acconciata però con una negligenza da selvaggia; cammina a piedi nudi, se ne infischia di come è vestita, non porta gioielli, non ricorre a busti, non si profuma, non fa uso di nessun artificio, purtuttavia le sue movenze sono lascive, e un santo si dannerebbe soltanto a vederla danzare». Regina di Saint-Tropez, dove vive in una faraonica villa e si treastulla con “giocattoli” italiani, il playboy Gigi Rizzi, e teutonici, Gunther Sachs, è la musa del regista Roger Vadim (“E Dio creò la donna”?). Una sua foto non manca nell’album dell’”Espresso”. La Bardot è immortalata nuda, con il bel sedere a farsi cullare dalle onde del mare.

Telefono a Nicola Carraro, marito di “zia” Mara Venier. Un bon vivant che di cose ne ha fatte e ne ha viste (è uno stimato produttore cinematografico), e gli chiedo: «Come venne raccolta e da chi la “rivoluzione” di Fellini?». «Quel segnale, davvero forte, venne recepito dal grande cinema d’autore italiano di quegli anni, dove gli studios di Cinecittà erano una calamita che portava a Roma il meglio della cinematografia e delle star internazionali. Rimanendo da noi, penso ai film di Rossellini, di Rosi, di Visconti e Germi, la Wertmuller». «Senta Carraro, di grandi stelle e del loro sex-appeal ne abbiamo incontrate già alcune, altre le ricorderemo. Lei, chi ritiene che meriti una nomination?». «Tra le icone di quei Sessanta, ne vorrei citare due molto diverse dalle altre, per eleganza, stile e ironia: Marina Lante della Rovere ed Elsa Martinelli. La top model Elsa Martinelli era di una bellezza sconvolgente, richiesta dai set cinematografici e dalle passerelle internazionali. Fascino prorompente dalle lunghe gambe e alternativo al sex-appeal delle maggiorate, ormai al tramonto. Tanto esposta ai flash dei fotografi, quanto discreta e riservata nella vita privata. Ben diversa Marina: esuberante, trasgressiva, dagli amori tanto travolgenti quanto effimeri. Come quello con il giornalista (“Espresso” e “Tempo illustrato”), che nella sua vita spericolata riempiva di petali di rose rosse l’alcova per la sua Marina. Ma c’è anche l’amore sulla via del tramonto: quello con Carlo Ripa di Meana, soprannominato, immaginiamo con merito, “orgasmo da Rotterdam”.

Poveri ma belli, in Italia ci si consola. Ma la star nazional-popolare del momento non è un’attrice, bensì “La desnuda di New York”, come ci fa sapere Mauro Calamandrei (8 aprile 1962). «La più celebre modella d’America è figlia di un conte italiano», si chiama Cristina Paolozzi, ha 22 anni e tariffe da 40 mila lire l’ora: «Solo una decina di modelle guadagnano di più, con un massimo di 80 mila lire per Suzy Parker». Racconta il corrispondente de “L’Espresso” da New York: «Taluni la chiamano la contessina scalza, altri l’hanno ribattezzata la Maya Desnuda (…). Ma quel che ha fatto di Cristina Paolozzi l’obbligo dei cocktail-party è stata la serie di foto di Richard Avedon apparse nel numero di gennaio di “Harper’s Bazar” che si apre con un nudo».

Nelle stati della dolce vita le italiane si confrontano sulle spiagge a colpi di bikini. “L’Espresso” non è da meno con una galleria di bellezze in due pezzi a illustrare i numeri estivi. Meglio la bionda Elke Sommer che si abbronza a Torvajanica prima di girare “Femmine di lusso” o la bruna Anna Maria Guarneri a Marina Piccola a Capri (10 luglio 1960)? Forse mette tutti d’accordo Jane Mansfield, ammirata a Positano (8 lugli0o 1962) e sulle pagine del settimanale di via Po che la offre nuda ai lettori fotografata in piscina a mostrare uno strepitoso seno.

 

Se al mare si va in due pezzi, sul set e sui palcoscenici si vorrebbe andare ben oltre. Ma, come racconta Sandro Viola in “Supersexy a Frascati” (24 novembre 1963), non è aria: «Un grido d’allarme, “Attenzione: le coppette non passano più”, si è diffuso in questi giorni negli ambienti dei produttori cinematografici specializzati in film della serie “sexy”. Le coppette sono i minuscoli coni (generalmente di cartone argentato o di velluto trapunto ma di metallo se si tratta della danza del ventre o di ballerina araba) che le strip-teuses portano sui capezzoli nei paesi dove è vietato il nudo integrale, Cosa vuol dire che “le coppette non passano più” è chiaro: la censura ha deciso di sopprimere le inquadrature con le “coppette” e di fermare gli strip-teases al momento in cui la ballerina si toglie il reggiseno». Ma le Giovanne d’Arco del nudo non si lasciano intimorire e perciò “Le attrici si spogliano” e “Il cinema torna all’erotismo” (25 agosto 1963)In un appartamento di piazza Navona, Sophia Loren si spoglia lentamente, davanti a Marcello Mastroianni, togliendosi uno dopo l’altro, il vestito, le calze, la guepière. E’ una scena di “Ieri, oggi e domani” di Vittorio De Sica e Saophia Loren non aveva mai girato una scena così dopo i suoi primi film ambientati nella Roma neroniana (…).

A Dublino per un film tratto dal romanzo di Somerset Maughan, “Of human bondage”, la pudica Kim Novak non ha fatto storie davanti all’obbligo di spogliarsi interamente, proprio lei che è cattolica fervente, che va sul set con un rosario regalatole da una nonna boema e che si è rifiutata di accettare la moda delle gonne sopra al ginocchio. Invece, davanti alla scena della camera da letto non ha voluto controfigure e si è volenterosamente spogliata». E “L’Espresso” ce la fa vedere la volonterosa, in cinque immagini riprese dal set: Kim Novak nuda, ma languidamente e strategicamente avvinghiata a un provvido lenzuolo, riesce nell’impresa di non far vedere nulla di peccaminoso, se npon schiena, fianchi e cosce e appena la curva di un seno. Alla povera Rita Renoir non resta così che lasciare lo strip per interpretare i classici del teatro francese (“La Fedra del Crazy Horse”, 12 luglio 1964).

A Roma la premiata ditta Garinei & Giovannini, i padri della commedia musicale all’italiana, va invece controcorrente e sponsorizza 12 compagnie di avanspettacolo in gara sul palcoscenico del Sistina (“Il pomeriggio con Giunone”, 7 giugno 1964): «Nell’ultima serata delle eliminatorie, le compagnie in gara saranno quella di Fredo Pistoni e quella di Rosy Madia. Vediamo di cosa consiste lo spettacolo di questa compagnia. Gli elementi sono nove: un balletto formato da cinque ragazze, un cantante, due generici e la soubrette Rosy Madia. All’inizio dello spettacolo Rosy Madia si presenta in mutandine e reggiseno. E’ una donna non precisamente bella, ma molto procace, coi fianchi larghissimi. E’ appena entrata in scena che uno dei generici le chiede: “Scusi, signorina, lei di dov’è?”. “Di Milano”. “Ah”, riprende il generico guardando ostentatamente alla schiena della soubrette, l’avevo capito “dal panettone”».

 

1965 - 1970
Me ne vado a prendere un caffè al bar-ristorante sotto la casa di Rino Barillari, “The King of Paparazzi”, il cui mito è celebrato con tanto di sue foto, all’Harry’s Bar di via Veneto. Chiedo a Barillari di ricordarci le star più paparazzate in quegli anni. Barillari: «Premetto che erano tempi pieni di ritrovate energie, di riscossa nazionale. Anni belli e famosi come i divi che spopolavano sul grande schermo e sui fotoromanzi, all’apice del successo: Maurizio Arena e Renato Salvatori, “il povero ma bello”, Cristina Gaioni, la Bardot tricolore, Marisa Solinas, la “fotocopia” di Pascal Petit, Annabella Incontrera, la Sophia Loren dei poveri...”». Ma il cinema italiano profuma anche di donna ed è corteggiato all’estero. Ha, per esempio, il corpo di Claudia Cardinale che “dopo la metamorfosi si è decisa di girare un film in America. La tortora ha messo gli artigli” (di Marialivia Serini, 14 febbraio 1965). «Fu Alberto Moravia a darcene per primo un ritratto diverso, trovò nei suoi occhi di monella “qualcosa di meridionale, di intenso”, nel suo viso “una nobiltà arcaica”, notò “sdegnosa e rustica” della bocca, le mani “dure e secche di ragazzo”. Visconti ha addirittura rovesciato l’immagine di Claudia: il viso coperto da un “font de teinte” scuro, la bocca pallida, gli occhi dilatati, quasi brucianti, ne ha fatto nel suo ultimo film, “Vaghe stelle dell’Orsa” un’Eletta del nostro tempo, avida, spietata, perfino crudele».

Anche Gina Lollobrigida è a una svolta: “Dal cinema erotico a Pirandello. La Gina di Mao (7 marzo 1965). La Lollo è a Parigi per la riduzione per la riduzione cinematografica di un romanzo di Rodolfo L. Fouesca, intitolato “Torre eburnea”, la storia di tre monache violentate dai miliziani di Mao. Scrive Giancarlo Marmori: «Due spesse virgole di rimmel le bordano l’orlo degli occhi, accentuandone il morbido bagliore e certa fissità. Spesse, pastose pure le tracce di rossetto sulle labbra umide. Un profumo forte da alcova fine secolo, impregna il suo corpo, i suoi indumenti e il salotto. L’incarnato del suo viso e delle braccia nude è d’un rosa caldo, mai visto, d’un rosa Thea».

Restiamo con Marmori a Parigi, per un’altra metamorfosi: “Jane Fonda va a scuola da Vadim per raccogliere l’eredità di B. B. La puritana in bikini” (29 dicembre 1963). Dalla penna-pennello di Marmori esce un altro capolavoro: Jane Fonda è una ragazza americana metodica e caparbia, ma da quando vive e lavor a Parigi un tocco di frivo9lezza ha già corrotto in superficie i suoi modi e la sua fisionomia originali (…). Delle ragazze americane di razza ha il tipo “standard” di bellezza energica, sana, un po’ ottusa. Eppure già somiglia a Brigitte Bardot, a Annette Stroyberg, a Catherine Deneuve, queste terribili ragazze attrici sfornate in serie da Vadim, e ci assomiglierà sempre di più quando il parrucchiere Dessanges le metterà i capelli alla rinfusa sulla testa, liberandole le orecchie e la nuca, per fabbricare quel cupolone biondo alla B. B.».

E siamo agli anni Settanta. Si parla di libertà sessuale, di Gay Pride, di cortei e occupazione di scuole e università, di autogestione, di assemblee e di gruppuscoli extraparlamentari. Il Sessantotto francese, con le barricate e gli scontri con i flick è contagioso: in Italia, da Milano a Napoli, sale la febbre della contestazione. I fascisti uccidono a Roma l’universitario Paolo Rossi, e si consuma la famosa battaglia di Valle Giulia. Nelle fabbriche nascono i picchetti, gli scioperi. “La classe operaia va in paradiso” di Lina Wertmuller con Gian Maria Volontè e donna. Ne parlerò nella prossima puntata.