scelte di vita
«Io, italiana in Amazzonia, dalla parte dei nativi per la difesa della natura»
L'amore per il mondo vivente, la passione per la conservazione. Emanuela Evangelista, biologa e attivista ambientale, racconta nel libro "Amazzonia - Una vita nella foresta" vent'anni di impegno, emozioni, denunce. Ora vive nel villaggio di Xixuaú
Il colpo di fulmine con l’Amazzonia scocca grazie a una lontra. Gigante. Quasi due metri di lunghezza, coda compresa. A rischio estinzione per colpa del traffico di pellicce. Emanuela Evangelista, all’epoca giovane biologa della conservazione e attivista ambientale, per studiarla – grazie a un progetto dell’università La Sapienza di Roma e dell’Istituto di ricerca di Manaus - la insegue fin nelle aree remote delle foreste primarie, dove il mammifero si è ritirato per sopravvivere. Quasi venticinque anni dopo, la biologa romana ha costruito nella più grande foresta pluviale della Terra, in Brasile, la propria esistenza e la propria carriera. Vive nel piccolo villaggio di Xixuaú, nel cuore dell’Amazzonia, in una capanna in legno aperta sulla natura, un porto di mare per amici e conoscenti dove caimani e serpenti sono di casa. È impegnata da sempre nella tutela della foresta, della biodiversità e delle popolazioni locali, nel frattempo si è sposata con Francisco, uno dei caboclos, popolazione tradizionale di questa terra, con una cultura che è un condensato eterogeneo delle loro diverse origini.
«Dell’Italia mi mancano gli affetti, per il resto nient’altro. Certo, qui la vita è più dura, difficile dal punto di vista pratico, ma non tornerei indietro per nessun motivo», afferma al telefono da Xixuaú Evangelista, che ha raccontato la propria esperienza, davvero unica, in “Amazzonia – una vita nel cuore della foresta” (Laterza), un bel libro in bilico tra reportage, inchiesta e diario personale, che presenterà l’8 ottobre a Lucca, nel Pianeta Terra Festival. La biologa è presidente di Amazônia Onlus, organizzazione che sostiene i nativi della foresta pluviale nella lotta contro la deforestazione e per la conservazione della foresta tropicale e della sua biodiversità. Perché, da quando si è stabilita qui, questa terra è diventata la cartina di tornasole della crisi climatica planetaria. «Secondo gli studiosi, di questo passo all’Amazzonia restano quindici anni di tempo, forse trenta. Non servirà raderla al suolo tutta per vederla scomparire, basterà tagliarne il 20 per cento», scrive Evangelista: «La foresta vive di un equilibrio proprio, delle piogge e dell’umidità che genera. Continuare a ridurne la superficie mentre la temperatura del pianeta aumenta è una formula perfetta per avviare un processo irreversibile di trasformazione. Probabilmente più del 60 per cento della foresta tropicale che ricopre il bioma si trasformerà in un ecosistema più arido, molto simile a una savana, ma più povero di specie umane e vegetali». Il grande paradosso, sottolinea la biologa, è che la deforestazione – per una superficie pari a due volte la Germania – non genera ricchezza. «Se guardiamo i numeri degli allevamenti bovini o delle monoculture, almeno il 20 per cento di quello che è stato deforestato resta improduttivo. È paradossale».
In effetti, i primi segnali dell’inesorabile declino già si vedono: nella fascia che va dall’Atlantico fino alla Bolivia la stagione secca si è già allungata, la temperatura locale è salita e la mortalità degli alberi è aumentata. E poi gli incendi, sempre più numerosi. «In queste zone la temperatura è salita così tanto che la foresta brucia con un cerino. Il suo lavoro e i risultati delle sue ricerche hanno contribuito alla protezione di 600mila ettari di foresta intatta, un’estensione pari a due terzi della Corsica. «Negli ultimi anni ho visto cose che fanno paura: l’estate più calda e più lunga, il clima meno umido. La sofferenza degli animali, delle piante, degli esseri vivi», aggiunge Evangelista. E poi gli allagamenti dovuti allo squilibrio climatico, sempre più frequenti, i fiumi che si ingrossano, il Rio Negro, il Rio delle Amazzoni, l’acqua che cresce fino a toccare le case, mentre si fanno avanti caimani e serpenti. Ma perché l’equilibrio dell’Amazzonia oggi è così importante?: «Per l’umanità rappresenta la garanzia che la temperatura del pianeta possa restare vivibile. Per salvare l’Amazzonia sappiamo esattamente cosa fare: bisogna convincere le popolazioni a riforestare e creare parchi. Mentre i Paesi industrializzati dovrebbero cambiare alcuni aspetti del loro stile di vita, come ridurre il consumo di carne».