Leggende

Maradona è una religione

di Corrado De Rosa   20 novembre 2023

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Piazza Maradona, a Napoli

La simbiosi con Napoli, il genio, il whisky e la coca. L'epopea del Pibe de oro è più attuale che mai. Tra Italia e Argentina

I tubetti col sugo di polipo, le canzoni di Massimo Ranieri. La notte prima della finale di Messico ’86, quando tutti erano in ansia e lui se ne andò a dormire. Il primo scudetto col Napoli. Capri. Quella volta che, a Buenos Aires, salì sul palco insieme a Freddy Mercury. Vico Pace, Forcella. Le sentinelle con i binocoli, i walkie talkie sopra i tetti, lui seduto insieme a Carmine Giuliano nella vasca da bagno a forma di ostrica. Il whisky e coca, la sua bevanda preferita. Claudia, le altre donne, il figlio non voluto. I settemila che arrivarono davanti allo studio del dentista quando si sparse la voce che era lì. Donna Tota, la matriarca.

 

Maradona compie il suo catasterismo e diventa una stella a Città del Messico, nel 1986. Tutto dura meno di 12 secondi. Ma se gli chiedono: «Qual è il tuo gol più incredibile?», non risponde: «Il secondo contro l’Inghilterra ai Mondiali». Dice: «Quello con l’Argentinos Juniors contro il Deportivo Pereria». Di lui, Manuel Vázquez Montalban dice: «Ha incarnato la mistica dell’emancipazione sotto-proletaria. Dissipativo e arrogante come gli anni Ottanta». Maradona è la sintesi degli anni Ottanta. È l’idea che tutto sia possibile, è 165 centimetri di edonismo e tormento. Perde e risorge come Rocky, seduce come Jessica Rabbit, combatte come Rambo, è avventuriero come Indiana Jones, è selvaggio come Conan il barbaro.

 

Villa Fiorito, nella casa natale del campione

 

Maradona è un genio. Il genio processa informazioni, apprende dall’esperienza, individua i contesti in cui applicare le conoscenze acquisite, intravede orizzonti prima degli altri. Maradona vede spazi che gli altri non vedono, sfida le leggi della fisica per dare un effetto alla palla che nessuno darebbe, quando fa gol colpendo la palla di testa a 10 centimetri da terra sta adottando una strategia che ad altri non sarebbe mai venuta in mente. La sua intelligenza spaziale gli consente di pensare in tre dimensioni, di muoversi in armonia con i compagni anche se è di un altro pianeta. La sua intelligenza cinestetica, quella di Nureyev o di Nadia Comaneci, gli permette di ottimizzare il rapporto con la palla, di comunicare con il corpo. Quando palleggia nello stadio di Monaco di Baviera sulle note di “Life Is Life”, esprime idee, incanta, attira l’attenzione, intimidisce gli avversari.

 

Al Centro Paradiso di Soccavo, quartiere di Napoli, l'impianto in cui si allenava il Napoli del “Pibe de Oro”

 

Nulla di tutto quello che riguarda il genio è definitivo. Maradona non è mai definitivo, come non lo sono i grandi personaggi letterari. C’è sempre qualcosa di lui che ci sfugge, come c’è qualcosa che ci sfugge di Raskol’nikov. Se in Argentina-Inghilterra è il mito di Orione che si trasforma da cacciatore a costellazione, in Italia-Argentina, la semifinale di Italia ’90, Maradona è il mito di Atteone. Il cacciatore tebano che vede Artemide nuda, viene trasformato in cervo ed è sbranato dalle sue cagne.

 

Un altare denso di icone di Maradona, a Buenos Aires

 

Italia-Argentina, il momento più tragico della sua epica, si gioca proprio a Napoli. Napoli che lo riconosce al primo sguardo perché ha le sue stesse spine, abbraccia le stesse crociate, ha i suoi stessi slanci. Come Napoli, Maradona è esagerato. A 16 anni, entra in campo per la prima volta nella serie A argentina con la maglia dell’Argentinos Juniors. L’allenatore dice: «Stai tranquillo, gioca come sai». E lui fa un tunnel a Patrizio Cabrera. Come Napoli, possiede l’arte di arrangiarsi. Quando riprende a giocare dopo lo scoppio della caviglia destra, si accorge che non riesce più a ruotarla bene e impara nuovi modi per sostenere il piede debole. Le sue stratificazioni originarie: discendenze galiziane, occhi da indio, padre Guaranì, madre dalmata e portoghese, corrispondono a quelle disordinate della città. Tutto si mischia in Maradona, come tutto si mischia dentro Napoli.

 

Piazza Maradona, a Napoli

 

Come Napoli, Maradona ha slanci di solidarietà impossibili. È cocciuto, insolente, impulsivo, ambivalente, tortuoso. È orgoglioso, e il calcio, a Napoli, è questione di orgoglio. Come un napoletano fa di tutto per ricreare una parte di Napoli in qualsiasi posto del mondo si trovi, lui ricostruisce Villa Fiorito ovunque vada. È napoletano quando ruba la corrente elettrica al palazzo per avviare la palestra che si è costruito nel garage. Lo è quando sbuffa, ammicca, fa discutere, quando vede decine di ville, deve andare ad abitare a Villa Chieffi, che è stata residenza dei Savoia, e sceglie via Scipione Capece perché gli sta simpatico il portiere. Il tunnel è un colpo ironico, furbo, irriverente, spietato. Ogni volta che lo prova, Maradona attualizza il legame fra lui e la città.

 

Non che, con lui, i dolori evaporino. Ma a Napoli la felicità, nella seconda metà degli anni Ottanta, è il 10 che esulta. È il trionfo dell’originalità sulla mediocrità vincente, dell’invenzione sulla tecnica. È la vita da maudit contro l’agiografia sempre in riga di Pelé, è un Dio al contrario che non dosa le forze come Cruijff, che non si rifugia nel comando della difesa come Beckenbauer. Eppure la sera di Italia-Argentina, il 3 luglio 1990, il trono di Maradona scricchiola. È stanco di dispensare speranze, sente di vivere in una prigione d’oro, è arrivato alle soglie della paranoia, vuole andarsene. Quella sera, Napoli, per Maradona, non è quello che Maradona è per Napoli.

 

Magliette come ex voto nel santuario dedicato a Maradona

 

A Italia ‘90, il suo nemico è Havelange, il presidente della Fifa. Gioca come un ossesso ma è stanco, nervoso, mangiato dalla cocaina. Lui che ha lucidato il calcio e ha creato il cortocircuito di un Napoli vincente, che ha dimostrato che Davide può sconfiggere Golia, non è più un innocuo perdente: va scaricato. L’Argentina è stata fischiata ovunque. Lo prendono in giro perfino Moana Pozzi e Cicciolina in un film porno e lui, prima della semifinale, dice quella cosa lì: «Mi disgusta che tutti chiedano ai napoletani di essere italiani. Napoli è stata sempre emarginata dal resto d’Italia».

 

Convoca la città, le chiede il tifo senza accontentarsi del rispetto. Maradona è populista. Anche questa mossa è populista. Ma non scavalca i canoni razionali. Sfrutta una scorciatoia della mente che, per economia cognitiva, tende a trovare conferme di quello che già pensa. Tende a riconoscere, non a conoscere. Napoli, le cose che ha detto Maradona, le sa. E si trova nella più scomoda delle posizioni: applaude alla moglie (l’Italia) davanti all’amante. Maradona è Atteone perché elimina l’Italia dal suo Mondiale. E dopo aver messo a nudo i rapporti opachi fra politica, sport e potere, viene sbranato dalle cagne che ha nutrito: il calcio e la Fifa. Da allora in poi, la sua discesa agli inferi non ha più connivenze, rispetto, pietà.

 

In occasione di una partita degli ultimi Mondiali del Qatar 2022, un uomo ringrazia Diego Armando Maradona dopo una vittoria soffertissima della nazionale argentina

 

Maradona muore trent’anni dopo Italia ’90, il 25 novembre del 2020. Muore solo, povero e pazzo. L’ultima cosa che chiede è mangiare una pizza. Maradona è una religione laica. Offre speranza, sconfigge la sfortuna, domina l’imprevedibile. Non è un modello da seguire. Ma, proprio per la sua congiuntura esistenziale maledetta, dovremmo tutti giudicarlo senza ferocia. Perché a differenza dei fuoriclasse di oggi, a differenza dei Messi e dei Cristiano Ronaldo, non ha mai perso la fanciullezza e la riconoscenza verso il calcio. Ha promesso gioia attraverso il pallone, l’ha regalata sempre.

 

Le foto di questo servizio
LES CIUDADES DE D10S è un progetto fotografico che intende indagare un fenomeno antropologico molto profondo come quello del culto pagano per Diego Armando Maradona, vissuto nelle due città che ne hanno fatto un’icona religiosa: Buenos Aires e Napoli. L’eternità evocata da un giocatore di calcio geniale, folle e leggendario, vive in ogni angolo delle due città come qualcosa di mistico e immortale. L’epopea umana e calcistica di Diego rappresenta per per porteñi e partenopei quella possibilità di riscatto che la storia ha sempre negato loro. E così oggi nelle CIUDADES DE D10S, grazie al suo popolo, l’immagine del campione argentino sopravvive alla sua morte e lo rende un mito senza tempo. 
Lorenzo Foddai