Il regista le ha dedicato un film, “La poetessa dei Navigli”, che sarà trasmesso il prossimo marzo su Rai 1

"E dopo, quando amavamo / ci facevano gli elettrochoc / perché, dicevano, un pazzo/ non può amare nessuno”.

 

Lo scriveva Alda Merini, “la pazza della porta accanto”, e da qui è partito Roberto Faenza: Merini ha vissuto la follia con tale consapevolezza e creatività da farne strumento di indagine e reinvenzione, del mondo e di sé.

 

Per dirlo a chi la ama già e a chi ancora non la conosce, raccontandone l’avventura dall’infanzia alla morte, Faenza le ha dedicato un film, “La poetessa dei Navigli”, coprodotto da Jean Vigo Italia e Rai Fiction, che sarà trasmesso il prossimo marzo su Rai 1.

 

Perché proprio lei, Alda Merini?
«Perché fra i poeti italiani è forse la più grande, certo la più popolare. A differenza di altri raggiunge il cuore in modo diretto, non è cerebrale o intellettualistica. Ma soprattutto voglio mostrarla in modo inedito, nella sua complessità, nella sua verità di persona che non è quella più diffusa e conosciuta».

 

Cioè al di là di compassione o agiografia. È cosi?
«Sì, innanzitutto Alda Merini non è la sua follia, trasmessa e potenziata dal brutale internamento in manicomio, dai suoi trent’anni ai quaranta. Non è la poetessa pazza e scissa dalla realtà, com’è spesso rappresentata per farne un personaggio o maschera teatrale, era una donna consapevole di sé, elegante, femminista, colta e piena di ironia, sarcasmo. E non era affatto disperata, sapeva ridere e vivere con gusto ed energia. Laura Morante, che la interpreta nella maturità, è perfettamente entrata in sintonia con questo sentimento di sé e del tempo, addirittura le somiglia».

 

Come vi siete mossi per ricostruirne figura e biografia?
«Fondamentale è stata la testimonianza, oltre alla ricerca, di Arnoldo Mondadori Mosca, che è stato vicino a Merini gli ultimi dieci anni della sua vita, e ci ha consentito di ricostruire anche episodi inediti. E poi la consulenza, fra le altre, di Ambrogio Borsani».

 

Qual è la scena più forte del film?
«Quella sulla spiaggia, in cui Merini e il marito Michele Pierri (interpretato da Mariano Rigillo) giocano a fare versi, uno dopo l’altro, a gara. Ma tutto il film è fortissimo, elettrico».

 

I suoi film nascono sempre da un’angolazione altra, di denuncia o indagine, sulla società e i suoi nodi, privati e pubblici. E qui, quale sguardo altro?
«Lo sguardo delle donne. È un film di donne sulle donne attraverso la vita di Merini, tra sensibilità coraggio visionarietà. Le interpreti mi hanno letteralmente trascinato, il mio lavoro di regista è stato minimo, c’era una forza impetuosa sul set. È emerso il mio animo femminile, questo è un film di Roberta Faenza».