Cinema
«Il Comandante è un film di fascisti senza complessità», «No, sono solo pregiudizi»: il botta e risposta con il regista
Nella rubrica Buio in sala, Fabio Ferzetti ha criticato il modo “a dir poco semplicistico e scopertamente strumentale in cui (non) viene evocato il contesto storico”. Ora Marcello Fois rilancia le obiezioni. Ma il regista De Angelis replica, difendendo il suo film. E voi che ne pensate?
Un'italietta di luoghi comuni - di Marcello Fois
Se ci fossero dubbi in merito all’assunto che molte buone intenzioni di una mentalità progressista lontana dal mondo produce il materiale vivo per una mentalità di destra, se non fascista, basterebbe andare a cinema e vedere “Comandante”. Era già successo: il buon De Amicis, armato di intenzioni buonissime, con “Cuore” si era ingegnato, da socialista utopista, a programmare una Nazione fondata sull’istruzione, producendo di fatto un modello che apparve da subito comodamente consolatorio. Fonte cioè di quel dispositivo, appetitosissimo per la destra, di considerarci di base “brava gente”, che ha sdoganato, e giustificato, scelte costantemente reazionarie, senza pagarne il prezzo elettorale. Anzi. Così lavora “Comandante”, che dal principio incontrovertibile che in mare non ci sono guerre e che chiunque va assistito, migranti compresi, finisce per organizzare la trita, e spesso autoassolutoria asserzione, che comunque siamo brava gente sempre, e lo eravamo vieppiù quando inneggiavamo al Duce o chiudevamo un occhio, e spesso tutti e due, sulle leggi per la difesa della razza. Perché “Comandante” è un film di fascisti senza complessità: la schiena dritta, anche raddrizzata artificialmente attraverso un busto steampunk, la virtù maschia, le marce, i cori, la brillantina. Un fascismo corredato da un notevole immaginario d’apparato: la luce di Casorati, le linee di Tamara De Lempička, l’assente neutralità di Morandi, il monocromo dall’effetto bassorilievo. Eppure bastava guardarsi “Una giornata particolare”, o anche “Il conformista”, per capire in che modo persino la gestalt fascista, con tanto di allestimento glamour, potesse essere declinata in forma articolata.
La trama è tratta da una storia vera. Il comandante di un sottomarino in missione per la Marina Militare Italiana durante la seconda guerra mondiale di fronte al dilemma di lasciar affogare o salvare l’equipaggio di un mercantile belga, che aveva appena affondato, decide per la seconda opzione, in barba a tutte le regole della guerra in corso. Il comandante Todaro, protagonista del film, è ricordato per questa scelta. E da qui scaturisce la buona e sincera intenzione di raccontare questa storia come memento ai fascisti attuali che, con tutta evidenza, una scelta tanto umana non l’hanno fatta. Ora non si capisce se nel corso della post produzione di questo film ci siano stati dei ripensamenti in chiave più francamente nazionalpopolare, ma sta di fatto che questa metafora, e il memento sull’oggi, non arrivano affatto. Anzi si dissolvono nell’apparato sciovinista, nell’allure fascista, nell’evocazione dell’Italietta che li soffocano. Un’Italietta dove le donne appaiono solo mentre copulano e mentre vengono evocate per la masturbazione. E dove regna l’apparato di luoghi comuni virili: sardi pelosi e sacrificali, fiorentini arrogantelli e blasfemi, siciliani nervosi e bigotti, napoletani fancazzisti ed eroici, istriani sprezzanti e falsamente freddi. La quota veneta è assicurata dal comandante stesso (incarnato dal multidialettale Favino) e dal suo braccio destro. C’è tutto, fino al cuoco partenopeo che suona, ça va sans dire, il mandolino, e intona, provocando un coro multietnico,“’O surdato ’nnammurato”.
Viene il sospetto che questa storia che poteva essere complessa, senza complicazioni, abbia subito un abbassamento non casuale teso ad accontentare il potere in corso e a lanciare questo prodotto nell’omogeneizzata arena internazionale che ci vuole sostanzialmente immobili nei nostri standard di pasticcioni e nella nostra attitudine genetica, verrebbe da dire Lombrosiana, di brava gente. Tanto che, verso il finale, quando il capitano del mercantile belga chiede al nostro comandante perché, contro ogni logica bellica, abbia scelto di rischiare il tutto per tutto per salvare lui e i suoi uomini, la sua risposta non è: «Perché siamo esseri umani», ma «Perché siamo italiani».
Caro Fois, il tuo è pregiudizio - di Edoardo De Angelis
Caro Fois,
ho letto la tua analisi sul mio film Comandante e faccio così fatica a definire il mio film che certe volte anche un’offesa mi sembra salvifica ma in questo caso avverto la spiacevole sensazione che nelle tue considerazioni ci sia l’ombra del pregiudizio. Tu studi il fascismo ma non ti lasci spazio per capire che anche in quell’epoca tra fascisti e antifascisti dichiarati c’erano di mezzo sfumature di disubbidienza. Ti senti davvero a tuo agio affermando che al tempo un militare italiano fosse per forza fascista? Lamenti nel film una ricostruzione incompleta del contesto storico, confondendo un film con un sussidiario.
Studi il fotogramma di Comandante e riconosci con precisione tutti i riferimenti pittorici presenti pur con una strana fuga in avanti verso lo steampunk (possibile che non ti sovvenga ad esempio che i busti ortopedici di quegli anni erano proprio così?) ma confondi l’estetica d’apparato con la ricostruzione d’epoca. Studi la storia del cinema, citando un paio di film meravigliosi dall’estetica agli antipodi tra loro e agli antipodi anche rispetto a Comandante per un motivo ben preciso: ogni soggetto, ogni stile e tono di voce richiede la sua forma. Possibile che tu non comprenda questo?
Parli di "italietta" con uno sprezzo così superficiale del meticoloso lavoro di Veronesi e mio che giustifico solo immaginando il fervore del momento. Nella ricerca ossessiva di qualcosa per cui offenderti, ti riferisci alle donne del film con grave leggerezza, trascurando che sono le uniche portatrici di saggezza, le uniche a parlare di pace, le uniche a sapere che quei ragazzi si dovrebbero buttare a mare a pescare le perle e invece non torneranno, le uniche a piangere per lo spreco di vita in quella bara d’acciaio. Il tuo sguardo però chi sa perché si posa altrove. Nella foga ossessiva della definizione, manifesti il sospetto infamante che gli autori di Comandante abbiano voluto accontentare il potere in corso. Hai ben presente di chi stai parlando? Perché dici questo?
Nella foga ossessiva della definizione, arrivi all’assunto improbabile che Comandante dipinga tutti gli italiani come “brava gente”. Perché dici questo? Sul Cappellini, gli italiani erano cinquanta e soltanto uno di loro decise di infrangere le leggi di Dönitz per applicare quelle del mare. Leggere un film è molto facile, è nei primi minuti che si fonda il patto tra chi racconta e chi guarda.
Todaro dice: “Su questo battello il re, il duce non ci sono. Ci sono io. I tedeschi attaccano in branco e noi no. Perché siamo italiani, siamo pieni di paura e siamo soli”. Così accadde, andarono da soli. Erano ragazzi, allora come adesso avrebbero dovuto stare altrove e invece andarono in guerra senza sapere minimamente cosa significasse essere italiani. Nemmeno Todaro lo sapeva. Allora come adesso, le ipotesi erano discordanti. Allora come adesso, qualcuno si rifiutava di essere definito fascista solo perché italiano. Allora come adesso l’Italia era un crogiolo. Allora come adesso, qualcuno intendeva la forza come sopraffazione, umiliazione, sottomissione, qualcun altro invece sul nemico non voleva infierire perché se qualcosa di sensato poteva significare essere italiano doveva avere a che fare con duemila anni di storia di civiltà, quindi per quel qualcuno, allora come adesso, essere forte significava tendere la mano a chi è sconfitto e inerme.
Quando Todaro dice “siamo italiani”, significa “siamo uguali”. Leggere un film, Fois, è facile. Il pensiero degli autori si manifesta inequivocabilmente nel finale: “…tornerò a essere invincibile quando salverò il mio nemico perché così si è sempre fatto in mare e così sempre si farà. E quelli che non lo faranno saranno maledetti”. E non c’è nient’altro da capire.