Il Duce al centro di un appassionato pamphlet che coglie eredità e analogie con gli attuali movimenti antipolitica. Senza moralismi

Nel corso della sua straripante opera su Benito Mussolini e sul ruolo ch’egli svolse dalla nascita del fascismo alla fine della dittatura, Antonio Scurati, affaccendato a scrivere l’ultimo volume della fortunata tetralogia in uscita dal 2018, si è concesso un intermezzo. Invitato a tenere un discorso ai “Rencontres internationales de Genève”, che dal 1946 sono un prestigioso appuntamento annuale dell’intellighenzia liberal-democratica europea, vi pronunciò il 29 settembre 2022 un’analisi ora trasposta con aggiornamenti in un succoso pamphlet.

 

L’andamento retorico ha serbato il «timbro di orazione civile», ma più ficcanti e allusivi si son fatti i riferimenti all’attualità italiana e i tratti di un fenomeno sempre più vistoso non solo in Europa, ricompresi genericamente sotto l’etichetta di populismo. Già nel titolo è evidenziata l’ambizione militante di un intervento destinato ad inserirsi in una vasta letteratura: “Fascismo e populismo. Mussolini oggi”, (pp. 128, euro 12, Bompiani). Scurati unisce uno stile narrativo fitto di puntigliose descrizioni ad una documentazione filologica assai attenta. Riprende lo schema del romanzo storico ottocentesco con innovazioni non secondarie. Brani delle fonti usate sono via via citati, i capitoli si sgranano in successione cronologica, prevale l’approfondimento psicologico del protagonista, talvolta l’immedesimazione nella sua ottica. L’autore rifiuta di applicare la qualificazione di fascista con faciloneria attribuendola a ogni pseudopartito o associazione o gruppo che echeggino concetti o modalità essenziali nei fascismi o nei totalitarismi novecenteschi.

 

Scurati si impegna nel ricercare analogie e eredità che si rifanno ad un passato con il quale l’Italia non ha saputo fare i conti, al contrario della Germania post-nazista. Da noi il «superamento del passato» («Vergangenheitsbewältigung») è stato sbrigativo e assolutorio. Di tanto in tanto è onorato in cerimonie celebrative il «mito resistenziale». L’incontestabile punto di contatto con il fascismo nella sua graduale conquista del potere è fondamentalmente, secondo Scurati, il populismo. Parola che rischia di non chiarire un bel niente, tanto numerosi sono i significati che ha assunto, tanto varie le interpretazioni con cui è stato concepito e diffuso. Per trarne probanti comparazioni esemplificative finalizzate a connotare riprese ammonitrici occorre enumerare tipologie e esperienze, ingredienti e nessi. La tesi sostenuta dal romanziere di Mussolini è che ovunque i movimenti che fanno dell’antipolitica la loro bandiera riflettono posture e espedienti non del Duce fascista, ma del Mussolini populista.

 

La copertina di “Fascismo e populismo: Mussolini oggi” di Antonio Scurati (Bompiani, pp. 96, € 12)

 

Qualcuno obietterà che in certuni può spuntare la tentazione di derubricare il fascismo a populismo, con uno sconto riduttivo inaccettabile. L’intento di istituire una trasparente e didattica similitudine con personaggi attivi sulla scena europea può portar fuori strada. La storiografia ha coperto sovente deviazioni e deformazioni pratico-politiche. Qui sono evitate forzature non plausibili. Fascismo e populismo hanno una storia comune, ha sostenuto lo storico argentino Federico Finchelstein (2019), ma con esiti o effetti non collimanti. Mentre il fascismo è stato una dittatura politica nata dalla crisi di una democrazia liberale per distruggerla, i populismi sono sorti da esperienze che hanno alterato i sistemi democratici, senza quasi mai giungere ad eliminarli. I populisti ambiguamente discettano di «forme autoritarie di democrazia», rese indispensabili da un’insoddisfacente rappresentanza politica.

 

Nel suo furente libello Scurati, che vede in Mussolini il primo populista del secolo scorso, si guarda dall’appiattire il populismo successivo e quello attuale sulla logica del fascismo. Da storico rileva tendenze e potenzialità e le elenca. In Italia esplose all’inizio soprattutto tra i giovani un culto per il vendicativo conduttore: un trascinante mussolinismo. Addirittura Piero Gobetti ne fu (con ironiche riserve) indulgente osservatore: «Se un fascismo potrebbe avere in Italia per l’Italia qualche utilità esso è il fascismo del manganello» (9 ottobre 1923). La sdoganata violenza postbellica era affidata a nuclei armati di fiancheggiatori: le spedizioni degli Arditi eseguivano le mire di registi in doppiopetto. Le bocciature elettorali indussero a sottovalutare le “chances” di crescita e conferirono ai partecipanti un’aura eroica. L’antiparlamentarismo favorì un pragmatismo cinico e improvvisato: «Mussolini tradì se stesso diventando l’uomo che aveva odiato da ragazzo». Un crescente disagio si tradusse in una «brutale semplificazione della complessità della vita moderna» e «la singolarità del leader carismatico» sostituì l’ingovernabile pluralità delle esigenti domande. La paura fu ingigantita e presa a pretesto per innalzare il «vessillo della sicurezza» a tinte nazionalistiche e sovranistiche: contro gli altri, contro il nemico alle porte.

 

Non sfuggono inquietanti assonanze con moti e mentalità dei nostri anni. Scurati si limita a invocare un antifascismo civico, un antifascismo di tutti, non scade in predicozzi demagogici. Consonante con la chiusa del suo dire è la laconica esclamazione evangelica:«Qui habet aures audiendi, audiat!» («Se qualcuno ha orecchi per ascoltare, ascolti!»).