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Masterchef, le lacrime non servono. Come il burro nella pasta con le vongole
Il talent di Sky ha sempre il suo perché. Ma spingere troppo sul pianto del concorrente e sul pedale del caso umano rischia di essere l'ingrediente di troppo
Un po’ si era intuito dallo spot promozionale dove si sarebbe andati a parare con questa tredicesima edizione di “Masterchef Italia”. Una signora serve l’arrosto a una tavolata di tutti maschi dalle facce corrucciate che la sgridano in malo modo per lo scarso impiattamento. E lei, anziché mandarli bellamente a quel paese si intristisce e chiede scusa, con la lacrima che fa capolino dal vassoio di portata. Come si dice, il buongiorno si vede dal menù.
La saporita produzione Sky continua ad avvalersi delle tre star dei fornelli, Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli, ormai diventate le Wanda Osiris della cucina, a cui concedono un sol gesto dalla loro magnanima altezza. Dotati ognuno di particolari vizi e manie, da tempo devono la loro fortuna televisiva all’abilità con cui riescono a sfoggiare i loro estremi caratteriali, giocando sull’effetto tormentone che tanta diede al varietà in bianco e nero.
Ma quest’anno sembra esserci una spinta sul pedale del melodramma da cui bisognerebbe guardarsi il giusto perché non fa bene al programma.
Il gigante buono che sembra burbero e si intenerisce di fronte al caso umano, il permaloso dallo sguardo duro che scioglie il broncio di fronte al caso umano, e il lord inglese che viene da Varese, che porge la sua eleganza di fronte al caso umano. Insomma, più che l’arrosto il fumo, verrebbe da dire. Perché è vero che “Masterchef” continua a essere uno degli appuntamenti più divertenti del tristanzuolo panorama televisivo di questi tempi senza sale, ma è vero anche che ormai il peso del sentimento sulle padelle si fa sentire in maniera talmente invasiva che è davvero diventato l’ingrediente portante. Non che sia mai stato un puro programma di cucina, ovvio, e pensare di costruire uno show esclusivamente sui sapori che dalla televisione difficilmente si possono condividere sarebbe stata impresa vana.
Ma a volte non arrivare alla seduta psicanalitica come va tanto di moda, arrestarsi quando la lacrima dell’aspirante chef non è ancora caduta, non commuoversi a comando di fronte a concorrenti poveri, soli, abbandonati, che non hanno mai avuto un padre in grado di poterli venire a prendere il primo giorno di scuola, solleverebbe quella calotta di inutile sentimentalismo fine a se stesso.
A ognuno il suo mestiere, si dice spesso a vanvera. Ecco, in questo caso, fermo restando l’amore condiviso per un programma che grazie a un montaggio sapiente continua ad avere il suo perché, l’emotività come portata principale alla fine è un peccato. Quasi come il dolore inflitto dal burro nella pasta con le vongole di cui tanto si parla (male) dopo l'esibizione di chef Barbieri.