intervista

Vittorio Lingiardi: «Siamo immersi nella cultura del video-narcisismo: lo smartphone è il nostro specchio»

di Simone Alliva   2 febbraio 2023

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Lo schermo dello smartphone come lo specchio di Narciso. La ricerca di apprezzamento con i like e il presenzialismo ossessivo dei selfie. Lo psichiatra riflette su cosa ci porta a rivolgere sguardo e obiettivo verso noi stessi

Abbiamo chiesto a Vittorio Lingiardi cosa ci porta, oggi più di ieri, a rivolgere sguardo e obiettivo verso noi stessi.

 

«Per non dilungarmi fino a risalire alla fortunata formula di Christopher Lasch, che alla fine degli anni Settanta inaugurò il concetto di “cultura del narcisismo”, oggi potremmo parlare di “cultura del video-narcisismo”, che peraltro evoca l’immagine archetipica del autorispecchiamento. Narciso si specchiava in una sorgente d’acqua, oggi la sorgente è lo schermo di uno smartphone. La nostra crescente “narcisizzazione”, confermata dalla ricerca sul campo, è in gran parte riconducibile alla trasformazione delle strutture della comunicazione e dei rapporti sociali. Viviamo in un’epoca che facilita lo sviluppo di immagini di sé fragili che si traducono in paura dei rapporti duraturi, superficializzazione/virtualizzazione delle relazioni, stigma per ciò che è considerato brutto, orrore dell’invecchiamento, rimozione della vulnerabilità, ricerca di apprezzamento a buon mercato (i like) e presenzialismo iterativo (i selfie). Non che sia un male coltivare sé stessi. Il vero problema, e qui è lo spartiacque tra narcisismo temperato dell’ambizione e dell’assertività e quello patologico della grandiosità e dell’insensibilità, è se questa ricerca è fatta con gli altri o a loro discapito. Vedo un indebolirsi dei legami di solidarietà e un irrobustirsi di egolatrie fatte di ossessioni identitarie, economiche, estetico-chirurgiche. Il narcisismo ha catturato l’attenzione dei media ed è entrato in politica. Ricondurrei il narcisismo sociale dentro cui galleggiamo a tre dinamiche principali: mistificazione della politica, mistificazione del corpo, mistificazione delle relazioni. In un’ottica clinica, aumentano le diagnosi di “disturbo di personalità narcisistica”.

Però attenzione: ogni disturbo della personalità è l’esito di un modello bio-psico-sociale, per cui quello “sociale” è solo un terzo del problema. Vanno considerati anche il temperamento e la storia delle relazioni familiari».

 

Sullo sfondo c’è la dismorfofobia diffusa. Spesso questa generazione non riesce neanche a postare un selfie “senza filtri”.
«La “mistificazione” del corpo serve a negarne la caducità. Penso all’esponenziale ricorso alla chirurgia estetica, all’ossessione per la forma fisica, all’inseguimento della magrezza o della muscolatura (tatuata), alla proliferazione di laboratori per la cura delle unghie, dove si lima la parte perché è difficile occuparsi dell’intero. Negli Stati Uniti, prima degli anni Duemila, pochissimi ricorrevano all’intervento di sbiancamento dei denti; negli ultimi vent’anni, avere denti scintillanti è diventato un obbligo. La lista degli interventi cosmetici è infinita: dalla demandorlizzazione degli occhi in Corea agli impianti dei glutei in Brasile, un’epidemia globale di ritocchi ci aiuta a tollerare ciò che di noi riteniamo impresentabile».

 

Se la reputazione (chi sono io per gli altri) prende il posto dell’identità (cosa vedo io di me), che effetti produce?
«Reputazione e identità sono cruciali nella personalità narcisistica. Si intrecciano con il tema della vergogna. Uno dei criteri per individuare fragilità narcisistiche dice: «Tende a trattare gli altri come un pubblico che deve testimoniare la sua importanza, il suo ingegno, la sua bellezza». Altri criteri dicono: «Tende a sentirsi inadeguato, inferiore o fallito» e «Tende a provare vergogna o imbarazzo». È importante differenziare la vergogna dalla colpa: nel caso della colpa i sentimenti negativi sono suscitati da riprovazione interna per aver violato i propri standard morali; nel caso della vergogna nascono dal sentire che la riprovazione arriva dallo sguardo dell’altro. Il punto di vista depressivo della colpa è interno, quello della vergogna è esterno: è lo sguardo del mondo sulla nostra insufficienza. La colpa è la convinzione di essere sbagliati, la vergogna è di essere considerati tali».