Contrappunto gustativo di preparazioni dal sapore neutro, rilevatore di sapidità, sferzata dolce-piccante, stimolo cromatico per rallegrare un piatto con un caleidosciopio di colori vividi. La mostarda assume il suo senso a seconda di come la si legga o la si gusti. Un uso che dura nel tempo. Caterina de’ Medici si fece addirittura suggerire da un veggente profetico, ma anche raffinato speziale, come Nostradamus, qualche ricetta di “moutarde”. Premessa per arrivare all’Agnoletti che nel 1822 definì la mostarda alla veneziana: «Abbiate tre libbre di cotogni, una libbra di melappie e tre libbre di pera, o di mela il tutto cotto con vino e zucchero come una marmellata. Pestate nel mortaio mezza libbra di scorzette di arancio sciroppate, ed un’oncia di scorzette di cedrato sciroppate; unite tutto insieme, mescolateci ancora tre libbre di mosto cotto, mezz’oncia di spezie sopraffine, e la mostarda di senape a piacere, secondo che la verrete piccante, indi conservatela nei barattoli in luogo asciutto».
Già da nome la peculiarità: mustum arderns. Etimo infiammato di una famiglia allargata di salse e condimenti e simili. Ben prima che gli Arabi impiantassero lo zucchero in Trinacria, quando il miele ancora scarseggiava, per conservare la frutta fresca che sappiamo essere deperibile si usava annegarla nel mosto d’uva cotto, zuccherino a sufficienza per renderla sana e salubre, oltre che presentabile, fino a Natale. Si cominciò così a operare per svolgere al meglio il suo compito anche in ambito gustativo sostituendo per esempio il succo d’uva con il miele e poi lo sciroppo di zucchero; successivamente per correggere l’acidità si ricorse alla polvere dei sarmenti d’uva. Arrivò poi la protagonista del gusto anche se usata in dosi omeopatiche: la senape, nota da sempre per le sue virtù medicamentose. Per le sue qualità digestive e come condimento prettamente di origine contadino piano piano assurse alle tavole imbandite ricche delle famiglie patrizie nel periodo medievale. E ora arriviamo a una panoramica di ricettazioni dei giorni nostri che seguono il motto: paese che vai...
Partenza obbligata dalla mostarda di Cremona, una miscellanea di frutti canditi separatamente nello sciroppo di zucchero e aromatizzati con olio essenziale di senape. Nei pressi ma differente quella di Mantova solitamente composta solo da mele (campanine, renette, cotogne a seconda). Nella mostarda vicentina invece troviamo mele cotogne, pere cotte in acqua e zucchero, setacciate e aromatizzate con senape e canditi. Molto più complessa invece la Cugnà piemontese ottenuta facendo bollire mosto di uve autoctone con mele cotogne, fichi, pere martin, frutta secca e spezie.
DOLCE
La mostarda non piccante
A proposito della mostarda sta diventando sempre più raro trovarla piccante e senza questa peculiarità diventa pleonastica e stucchevole con bolliti e arrosti. A questo punto sarebbe meglio chiamarla frutta candita per essere più chiari.
E AMARO
Il salsacoltello
In un mondo gastronomico in cui c’è sempre meno da pungere o da tagliare una posata divenuta fondamentale è il salsacoltello. Si prende al meglio ergonomicamente il boccone e tutto diventa più facile raccogliendo la sua salsa.