ANNIVERSARI
A Sanremo con Italo Calvino, lungo i sentieri (scomparsi) dei nidi di ragno
Il paesaggio del Barone rampante. La macchia di canne fruscianti. La strada di San Giovanni. Cos’ è stato ricostruito il lungo l’itinerario del grande scrittore. A cento anni dalla nascita
Sulla strada di San Giovanni Italo Calvino non è più salito. A cento anni dalla nascita (Santiago de Las Vegas 1923 – Siena 1985), grazie a 38 pannelli viene ricostruito l’itinerario calviniano, a cura di Laura Guglielmi e Veronica Pesce, realizzato dal Comune di Sanremo in collaborazione con tre licei della provincia di Imperia, l’università degli studi di Genova e l’Accademia di Belle Arti.
Nel paesaggio del Barone Rampante, da ragazzo andava con il padre Mario a raccogliere verdure e a salutare il nonno, la cui bara fu calata da un dirupo piuttosto che farla transitare davanti alla Madonna della Costa. In quella Liguria «tagliata a terrazze», come la definiva lo scrittore, non ci sono più «sentieri dei nidi di ragno». I piloni dell’autostrada occultano il mare, villette a schiera hanno sostituito i casolari, al posto delle creuze imperano cancelli, antenne paraboliche e statuine di nanetti in disperata attesa di un liberatore.
Verso San Giovanni, verso il rifugio della collina, verso la luce e gli angeli c’erano cedri e limoni, aranci e fichi. Ripassando di qui, i fantasmi del Barone Rampante e di Medardo di Terralba, visconte dimezzato, si sono fatti mistral e ululano nella notte per sconfiggere i simboli della speculazione edilizia che, dopo Sanremo città, hanno raggiunto il presidio della poesia.
Partendo dalla Meridiana, sede della Stazione di floricoltura diretta dal padre dello scrittore, Mario, con la madre Eva Mameli, la prima botanica italiana ad ottenere la libera docenza universitaria, svoltando a sinistra, in via Volta, si incontrava Salita San Pietro dove cominciava il percorso emotivo descritto dallo scrittore ne “La strada di San Giovanni” che, attraverso via Borea, via Dante Alighieri e la mulattiera, portava alla casa di famiglia e all’orto che il padre Mario coltivava con passione.
L’Ospizio Giovanni Marsaglia e il Palais d’Agra sono ancora come ai tempi di Calvino mentre dove c’era l’orto e «la macchia di canne fitte e fruscianti» ora ci sono i pilastri dell’autostrada; le vecchie palazzine di Baragallo sono intrappolate tra nuovi condomini; il ponte Tasciaire è asfaltato e ha la ringhiera arrugginita. «Un tempo da questa collina si poteva raggiungere la Francia saltando da un albero all’altro, senza mai mettere i piedi per terra», diceva Calvino. Ma ora nell’orto del Barone Rampante nessuno saltella da un albero all’altro per raccogliere bacche, castagne e pigne.
Così lo descriveva lo scrittore Francesco Biamonti: «L’ultimo rifugio era lassù sulla collina, a San Giovanni, una Liguria oramai precaria, isolata. Non vi era ancora passato l’angelo della distruzione. Non so come fosse la strada che vi giungeva, percorsa e ripercorsa dal pensoso scrittore che andava a testa china, carico di ricordi e anche di paura che quel punto della sua vita venisse cancellato prima o dopo. E allora con un atto improvviso lo cancellò lui stesso, vendendolo, per tirarsi fiori dai rimpianti, per dare un taglio netto».
La creuza che saliva a San Giovanni era un ambiente di beudi (canali), piante, innesti. Ora bisogna prendere la strada che sale a San Romolo, frazione collinare a 768 metri sul livello del mar Ligure, con un prato dove la gente festeggia il 25 aprile e il Primo Maggio. Gli ultimi due tratti della mulattiera sono prima della chiesa, dopo tornanti di strade che seguono il corso del rio San Francesco.
La chiesa mantiene la sua linda facciata, in contrasto con il contesto che ormai l’ingloba e con l’incipiente sagoma della doppia corsia autostradale che le toglie i riflessi del sole. Attorno ci sono costruzioni metalliche per le feste patronali, le case attorno sono adibite a bed&breakfast. L’area un tempo coltivata da Mario Calvino è dedicata alle piante verdi, proprio sotto l’autostrada. Dunque, in qualche modo si è salvata.
Quando Mario saliva verso la terra atavica si fermava a dare consigli ai contadini perché la sua missione era quella di migliorare le tecniche di coltivazione in Liguria occidentale. Ma non tutti gli davano ascolto. Così Mario cercava di invogliargli, sotto gli occhi dei due figli, Italo e Floriano. Spesso i due fratelli risalivano il torrente, luogo di percorsi immaginari, scoperte, gioco.
«Ero un ragazzo tardo; a sedici anni, per l’età che avevo ero piuttosto indietro in molte cose. Poi, improvvisamente, nell’estate del ’40, scrissi una commedia in tre atti, ebbi un amore, e imparai ad andare in bicicletta»: questo l’incipit del racconto “Le notti dell’UNPA”, ancora legato a una Liguria ormai perduta.
La prima sosta era alla casa di famiglia, in cima alla mulattiera di San Romolo, un edificio curioso, decorato di simboli massonici e di uno stemma nobiliare del 1840, circondato da piante esotiche, dove vivevano il nonno Gio Bernardo e suo fratello e dove era nato Mario. Si chiama ancora oggi Villa Terralba, adesso abitata dai discendenti dello zio Quirino, fratello di Mario. Nonno Gio Bernardo era un personaggio eclettico, mazziniano, massone, anticlericale, figlio del Risorgimento italiano. È questo il luogo di ispirazione della “Trilogia degli antenati”, dominato da figure tra realtà e finzione, tra la loro dimensione ligure e quella del sogno.
Un altro motivo di ispirazione erano le architetture sanremesi, forgiate da stranieri, in particolari britannici, in linea con il loro passato coloniale.
Tra questi i più fantasiosi erano il Palais d’Agra, con le sue cupole che ricordano il mausoleo Taj Mahal, la chiesa greco-ortodossa, Palazzo Borea d’Olmo e Villa Nobel, dimora estiva dell’inventore della dinamite. Tutti primordi delle fantastiche “Città Invisibili”, luoghi che facevano parte della vita quotidiana del giovane Calvino nei suoi percorsi urbani, frequentando l’asilo di St.George, poi le scuole valdesi e infine il famoso Regio Liceo Gian Domenico Cassini di Sanremo accanto a compagni di classe come Eugenio Scalfari, figlio di un avvocato funzionario del Casino di Sanremo, fondatore del quotidiano La Repubblica.