Al Forum Ambrosetti di Cernobbio economisti, imprenditori e policy maker hanno dato una chiara direzione di futuro: intendono puntare sulla transizione ecologica, il Pnrr e gli investimenti europei. Manca all’appello la posizione dell’Italia

Al recente Forum organizzato a Cernobbio da The European House-Ambrosetti sugli scenari economici e finanziari si è avuta una rappresentazione plastica dell’eterogeneità delle posizioni espresse da economisti, imprenditori e policy maker sul futuro. Alcuni hanno sottolineato i rischi di instabilità globale derivanti dai conflitti geopolitici tra le grandi potenze innescati dalla guerra in Ucraina, dalle condizioni economiche e finanziarie di alcuni Paesi, messe a dura prova dall’aumento dei prezzi delle materie prime, dall’inflazione e dalle politiche monetarie restrittive. Altri le opportunità di sviluppo futuro, anche alla luce dell’elevata resilienza dimostrata dalle economie dei paesi sviluppati in occasione della pandemia e delle recenti impennate dei prezzi dell’energia.

Mentre i sondaggi istantanei condotti tra i partecipanti hanno confermato la grande voglia del settore privato di investire per innovare i sistemi produttivi nel senso della transizione ecologica e di quella digitale, aumentare la competitività ed espandere il proprio business.

«Fare previsioni è molto difficile, soprattutto sul futuro», diceva il famoso fisico Niels Bohr. Ciononostante, dal Forum sono emersi alcuni segnali forti rispetto a tre aspetti. Il primo riguarda la necessità per l’Italia di realizzare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, sia nella componente delle riforme che in quella degli investimenti. Il dibattito in corso sul tema non aiuta imprenditori e cittadini a capire come stiano le cose e quali azioni il Governo intenda intraprendere per valutare lo stato di attuazione del Piano e in che direzione voglia riorientare gli investimenti, soprattutto quelli per la transizione energetica e digitale: rinnovabili o gas? Mobilità elettrica o difesa dei motori endotermici? Accelerazione della digitalizzazione o freni alla realizzazione di infrastrutture di sistema?

Il secondo ha a che fare con la chiara scelta effettuata del sistema produttivo a favore del risparmio energetico, della transizione alle rinnovabili in un’ottica di maggiore indipendenza rispetto a future turbolenze dei mercati, anche in vista dei nuovi obblighi di rendicontazione di sostenibilità che l’Ue e la Bce hanno imposto sugli operatori economici e finanziari. Come dopo gli shock petroliferi del 1973 e del 1980, le imprese si stanno dando ambiziosi piani di cambiamento delle tecnologie produttive a favore di quelle a minore uso di energia e basate su fonti rinnovabili. E lo stesso sta accadendo sul disegno dei nuovi prodotti (si veda il caso dell’automobile elettrica), anche per intercettare i cambiamenti delle preferenze di consumatori e risparmiatori a favore della sostenibilità.

Infine, è emersa la domanda di un’Unione Europea più forte e coesa, in grado di far sentire la propria voce a livello internazionale, ma anche di investire massicciamente su innovazione, energie rinnovabili, formazione, lotta alle disuguaglianze, salute e, non ultima, una difesa comune. Purtroppo, i segnali che vengono da alcune elezioni nazionali sembrano andare in direzione opposta. Tra le tante incertezze c’è quindi forse una sola certezza: le prossime elezioni europee del 2024 potrebbero essere il momento in cui decidere se accelerare l’integrazione europea o rafforzare gli interessi nazionali a scapito della prima. L’Italia da che parte sta oggi e starà tra un anno?