Viaggio tra i gelidi discendenti dello sherbet arabo e della neve dell’Etna

Acqua, zucchero e frutta: ha una matrice semplice ma ricchissima di sfaccettature l’arte dolciaria più fredda che da secoli in Italia primeggia tra i migliori espedienti contro il solleone. Tutto ebbe inizio dallo “sherbet”, approdato in Sicilia insieme agli arabi che ai tempi dominavano sull’isola, un drink freddo aromatizzato alla frutta e petali di fiori considerato l’avo dell’indiscussa matriarca di ogni prelibatezza italiana sottozero, la granita.

Allo sherbet i Siciliani unirono la neve dell’Etna, dei Nebrodi e dei Peloritani conservata nelle niviere, antesignane delle moderne celle frigorifere, perfezionando la ricetta nel XVI secolo con l’uso del pozzetto (un sistema che permetteva di tenere costantemente refrigerato il composto di ghiaccio, miele e succo di limone mentre lentamente lo si mescolava fino a raggiungere quella consistenza inconfondibile) e abbinando alla bevanda la brioche “cû tuppu”, eterna compagna di questa deliziosa “acqua ghiacciata” dove il cristallo di ghiaccio può essere più o meno fine, ma sempre setoso e vellutato.

La granita delle origini era al limone o all’arancia, poi giunsero le varianti alla mandorla e al pistacchio, ai gelsi, al caffè… In una sperimentazione che continua a stimolare tutt’oggi artigiani e pasticceri.

Diversa è la cremolata, dove la frutta viene prima frullata in modo grossolano, poi ghiacciata e dopo grattata in piccoli cubetti e mescolata; si percepiranno in bocca pezzi di frutta più o meno grandi, come nella ghiotta versione pugliese ai fichi. Street-food da bere, la grattachecca è invece il simbolo delle estati romane, ricavata anticamente da un unico grande blocco ghiaccio che veniva “grattato” e poi aromatizzato con sciroppi di frutta.

Altro celebre discendente dello sherbet è il nostro sorbetto, dalla grana più fine e dall’aplomb elegante, ideale nella classica e rinfrescante versione al limone per intermezzare o concludere un sontuoso pasto; apprezzato nelle corti italiane sin dal ’500, ne fu decretato il successo in Francia proprio grazie a un italiano, Francesco Procopio dei Coltelli che nel 1686 inaugurò a Parigi il leggendario Café Procope, introducendone il consumo presso i membri dell’alta borghesia. Infine, per gli appassionati degli after-dinner, d’estate nulla è più appagante di un tonificante frozen cocktail.

Tra i più noti c’è il Daiquiri Frozen: al Daiquiri (rum, lime e zucchero) si aggiunge la parte gelata, il frozen, che altro non è se non ghiaccio e frutta tramutati in una spumosissima mousse da un frullatore ad hoc. Ottimo anche nella versione alla fragola (Strawberry Daiquiri), si può sorseggiare con una certa tranquillità rimanendo sempre freddissimo. Di una freschezza mesmerizzante.

 

DOLCE
“Sa carapigna”. Questo il nome di un antico sorbetto sardo che i rari “carapigneris” preparano ancora refrigerando la miscela d’acqua, zucchero e limone dentro “sa carapignera”, recipiente metallico inserito nel barile di legno con ghiaccio e sale. Il ghiaccio non s’unisce al composto, ma lo raffredda donando una consistenza cremosa.

 

E AMARO
Granite in plastica
. Sono veramente grossolani i bicchieri di plastica con il mondo frozen. Non mantengono la temperatura, creano sgradevoli liquefazioni svilendo in breve texture e poesia del contenuto. La scelta dovrebbe ricadere sulle classiche coppe in vetro (ma vanno ceramiche e metalli) ancor meglio se lasciate ghiacciare in frigo.