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Un tuffo nel pianeta Marsiglia, la città meno francese di Francia, bella come un film
Burkini e topless. Cous cous e quiche. Yoga e berè. Istruzioni per l’uso della Planète Mars, dove quasi una persona su cinque arriva dall’altra parte del Mediterraneo
Mashallah, mi dice ogni volta Fatima, quando la incontro sulle scale. Fa le pulizie nello stabile, sempre allegra. «Non ti preoccupare di aspirare l’acca, tu dillo come ti viene». Tanto è il senso che conta: «Come Dio ha voluto», in sostanza «Stai bene, grazie a Dio», o «Ben fatto», o ancora «Sono contento per te». Le prime volte non capivo, credevo fosse una storpiatura di Inshallah - ho imparato dopo che questa invece riguarda il futuro, «Se Dio vorrà».
Si imparano parole che col francese hanno poco a che fare, a vivere a Marsiglia. Hookah e kif, per esempio (entrambi si fumano). «Cagnard» l’ho letto sull’insegna di un fotografo, e anche qui avevo frainteso, pensavo fosse il cognome. Invece vuol dire Sole implacabile, Posto assolato, o Canicola: «Quel cagnard!».
Veniamo da tutti gli orizzonti, ti dicono i marsigliesi. Non è una spacconata, basta guardare i cognomi sulle cassette della posta: quelli armeni si mischiano agli arabi, gli italiani si sprecano, rari gli inglesi, qualche polacco. I nomi francesi sono in minoranza, però nel mio palazzo vantiamo uno Chopin.
Annie, che incontro a un raduno di motard, mi racconta del nonno, di Gallipoli. Negli anni del fascismo voleva portare la famiglia via dall’Italia, per motivi politici. Intendeva emigrare a New York, ma Ellis Island non la vide mai. Arrivato a Marsiglia, dove dovevano imbarcarsi, si lasciò attrarre dalle bische del Vieux Port e non partì più. Non diede un sogno americano ai suoi figli, ma il Mistral e le Calanques, e più mare di quanto potessero desiderare. Non un Paese solo, ma tutto il Mediterraneo.
Sono venuti da tutti gli orizzonti e sono sbarcati qui, sulla Planète Mars, come i rapper del gruppo Iam chiamano Marsiglia. Perché questo è davvero un altro pianeta. Niente a che fare con la Douce France, ancora meno con Parigi, chic e intellò, per non parlare della deliziosa-leziosa Provenza di cui pure è capoluogo. Aix e Arles, colte, eleganti, sono vicine ma lontanissime.
Marseille somiglia più a Napoli, Palermo, Tangeri, sa di cous cous e panisse, così simile alla torta di ceci di Livorno o alla panissa ligure. La città che ha dato il nome all’inno nazionale è la meno francese di tutte e la più snobbata dai connazionali: non ce la fanno proprio, a riconoscersi in una città dove quasi una persona su cinque arriva dall’altra parte del Mediterraneo, da Algeria, Tunisia, Marocco. Dove il Marché du soleil, alla Porte d’Aix, e quello des Capucins, nel quartiere di Noailles, vendono datteri e salsa piccante harissa, brick (fagottini ripieni) e merguez (salsicce di agnello o capra).
Però li attira, come sempre fanno le città malfamate, piene di storie e promesse: nessuno sogna di perdersi a Zurigo. Questa è la città più filmata di Francia dopo Parigi, con 1200 giorni di riprese l’anno. Non si tratta solo di fare il verso a Hollywood con la scritta gigante “Marseille” che svetta sulle colline fuori città: il governo vuole davvero farne la capitale mediterranea del cinema, con un’iniezione di oltre 22 milioni di euro nella filiera, e quattro progetti tra formazione e produzione.
Ci mettono tre ore, i parigini, ad arrivarci in Tgv, il treno ad alta velocità, e qualche volta non se ne vanno più. Nascono anche per loro posti come il Tuba, hotel e ristorante super cool semi nascosto all’entrata delle Goudes - dove Marsiglia si fa villaggio di pescatori - pensato per «amateurs de farniente, puristes du bleu de Jacques Mayol». Si gentrifica, come tutto, Marsiglia. Declina il pastis, impazza lo Spritz. Tanto, il rischio di «chichi», smancerie, non è mai eccessivo, qui. Mai visti tanti materassi per strada, o vecchi sofà - una volta persino un wc. Certo che si potrebbe chiamare il Comune, per il ritiro «des encombrants», ma è più semplice buttare tutto vicino ai cassonetti.
Sporcizia e criminalità fanno parte del suo mito e sono la sua realtà. Una volta ci siamo persi. Volevamo fare un giro nei dintorni pittoreschi, invece siamo finiti in un quartiere dello spaccio a nord, in una delle Cité. L’ingresso della strada era sorvegliato da guardiani, giovani ninja neri con il viso coperto dal passamontagna, ma nessuno ci ha torto un capello. Eravamo chiaramente due sprovveduti che avevano sbagliato strada, niente di cui preoccuparsi, nemmeno il cenno di andar via, abbiamo fatto inversione da soli.
Ce ne siamo tornati al Septième. Un quartiere da cui capisci tutta la città, perché la condensa. Ci trovi i ricchi e i poveri, la città e il mare aperto, i turisti e i marsigliesi che la sera vanno a pique-niquer in spiaggia con tapenade e quiche lorraine. Sulla Plage des Catalans convivono i condomini del Sea One, firmatissimo (è di Rudy Ricciotti, architetto del museo Mucem) dove dicono abbia comprato un appartamento Christine Lagarde, e le barbone che passano la giornata sulle panchine davanti al mare, circondate da sacche di plastica in cui tengono ciò che possiedono; il runner con gli auricolari da 300 euro e chi piscia la sera sotto l’hotel Les bords de mer.
Alla Plage, Nicolas viene di mattina, a suonare la fisarmonica. All’inizio sospettavo fosse pagato dall’ufficio del turismo tanto è un cliché, invece gli piace e basta. Sotto la Tour du Lazaret del 1558, in restauro, scendono in acqua francesi sui 60 e più in topless, arabe in burkini o tutte vestite, le nere africane con le treccine. Tutte le mattine fa il bagno Marie, 94enne, bikini turchese. Traballa un po’ e chiede di essere aiutata a uscire se ci sono le onde forti, però viene sempre.
Aux Catalans c’è la rivincita spettacolare dei boomer (e oltre): la settantenne che fa Wing Chun e la Forma del Tai Chi; la tipa sui 60 che fa yoga presto sulla rotonda, davanti al mare; quelli che marciano a lungo in acqua o nuotano oltre il Cercle des Nageurs, fino al Musée Subaquatique con le sue dieci statue sommerse. È lo spettacolo del mattino, questo. Al pomeriggio la scena la prendono i giovani senegalesi che fanno la lotta berè, i teenager francesi che si allenano per il parkour, e Irina la kirghiza. È la star della squadra di volley beach locale e quando non gioca allena maschi che non riescono a starle dietro. Implacabile: di solito dopo un quarto d’ora lui è morto o quasi, in affanno, sconfitto, lei continua a saltare, a mostrargli come si dovrebbe fare. La sua pelle slava si è abbronzata di Mediterraneo, ma le resta la durezza delle origini. Anche lei qui ha trovato il suo orizzonte. Nella Ville più antica di Francia, e più povera anche, che a modo suo resta sempre un villaggio.
Il giorno che rientriamo alla Plage des Catalans da un giro in kayak e ci mettiamo a ripulirlo da sabbia e acqua, tutta la spiaggia ha un’opinione su come dovremmo fare. Dice la sua la signora serenamente enorme col bikini arancione totalmente inadatto al suo compito; una coppia un po’ âgée, fanno sport anche loro; ci consiglia pure la Police, che sorveglia la spiaggia: serve la vaselina per sfilare senza fatica le pinnette del kayak. Un capannello curioso e bonario osserva i nostri sforzi, di dare una mano non se ne parla, ma un consiglio non ce lo nega nessuno.
Ci faremo un aperò più tardi, in un baretto sulla Corniche Kennedy, che parte da qui: un trionfo di mare a perdita d’occhio, l’arcipelago delle Frioul appena al largo, tornanti che corrono verso la pietra bianca delle Calanques. Bisogna farla col bus 83, quello “delle spiagge”: Prophète, Roucas-Blanc, Prado: sei in città, ma totalmente dentro il Grande Blu.
Corniche Kennedy è anche il titolo di un romanzo di Maylis de Kerengal, nota in Italia soprattutto per “Riparare i viventi”, su un gruppo di adolescenti marsigliesi che sfidano la sorte tuffandosi dai promontori della Corniche, ogni sera un tuffo più dall’alto, più pericoloso. Li tiene d’occhio un commissario, Sylvestre Opéra, che sorveglia la zona, cruciale per il traffico di droga. Il romanzo è stato poi adattato per il cinema dalla regista Dominique Cabrera, e come stupirsene? Marsiglia è un film. Ogni giorno, ogni tornante, ogni faccia una scena - e il bello è che non paghi mai il biglietto.