Impossibile parlare male di questo prodotto. Che tratta le sfaccettature della vita come fossero ingredienti di una ricetta impeccabile. E viceversa

Difficile dire qualcosa di sorprendente su una serie che ha fatto innamorare il mondo. Non c’è stata una recensione negativa, un commento maldisposto sulla seconda stagione di “The Bear”, e di questo entusiasmo collettivo bisogna prendere atto e cercare magari di interrogarsi, al di là del cast (e che cast) e di una sceneggiatura impeccabile, sugli ingrediente misteriosi che hanno dato vita a un piatto così ben fatto. 

 

Disponibile su Disney + la piccola serie FX si muove nell’alta cucina, quella riservata a pochissimi ma che viene creata dal basso di una famiglia disfunzionale con tutte le sue storture da manuale. 

 

Un gruppo di squinternati pieni di cugini che soffrono, hanno sofferto e probabilmente continueranno a farlo e che decidono di seguire a capofitto il più solitario, dolente e malinconico di loro, per riuscire in un’impresa e vedere l’effetto che fa. E quel che viene fuori da ogni inquadratura, in cui i primi piani si susseguono come se stessero tutti guardando proprio te che li guardi, è che alla fine il cibo pretenzioso, la stella ambita, il cannolo salato, appartengono al medesimo impasto delle umane vicende, dove ognuno fa la sua parte, impegnandosi per conoscere se stesso con la stessa precisione chirurgica che serve per creare il dessert perfetto.

 

 

Perché mangiare è un po’ come pensare e cucinare lo è ancora di più. Quando devi mettere un menu nero su bianco devi scegliere, decidere, capire se la strada intrapresa è davvero quella corretta, esattamente come quando ti chiedi se hai trovato le parole giuste per esprimere quell’idea, un sentore come un sapore, che «basta rifarlo un milione di volte e poi il gioco è fatto». Così “The Bear” manipola il cibo come fosse un sentiero da percorrere, l’etica come un mestolo, la crescita personale, la sconfitta, l’orgoglio, la memoria, qualunque singolo movimento cerebrale ed emotivo viene impiattato e servito su un tavolo con le forchette lucidate a dovere. 

 

«Ogni secondo conta», come recita la frase che si sussegue per tutti e dieci gli episodi è il punto fermo per muoversi al ritmo furibondo tra i fornelli professionali, ma anche una ovvia constatazione di fronte a un qualsiasi momento della vita. Che si compone di occasioni perdute in pochi attimi, di amori naufragati per una frase colta a sorpresa, di una maniglia rotta che per un niente non è stata aggiustata. Un intreccio continuo tra la vita vera e il gesto della cucina, dove alla cura per il cliente a cui comunque presenterai il conto, si affianca la cura dell’altro, che a volte può avere la forma di un’omelette. E alla fine, mentre resta nel cuore lo sguardo sgaulcito di Jeremy Allen White, puoi solo dire “Sì chef”.