Daniele Manni si è classificato fra i migliori cento docenti della Terra. «L’aiuto maggiore che do ai ragazzi è quello di riuscire a farli credere in loro stessi». Ma per questo lavoro occorre più riconoscimento

Nel nostro immaginario è John Keating, il mitico professore del film "L’attimo fuggente", interpretato da Robin Williams, a rappresentare l’educatore ideale. Romantico, appassionato, fuori dagli schemi. Da qualche tempo però si parla di un professore di informatica: Daniele Manni, salentino, premiato in diverse occasioni e arrivato a scalare la classifica posizionandosi fra i migliori cento docenti al mondo. 

 

Come si diventa uno dei migliori insegnanti?
«Un buon professore deve stabilire un forte ponte empatico con tutti gli studenti, a inizio anno consiglio sempre di “perdere” settimane solo per conoscere e farsi conoscere dai ragazzi, chiedendo loro quali sono le passioni, le aspirazioni, i talenti, e facendosi spiegare da loro (invertendo i ruoli) le caratteristiche di queste passioni. Un’altra caratteristica è quella di concentrare grandi sforzi sui ragazzi più deboli o demotivati: è facile insegnare solo ai bravi».

 

Qual è la scuola ideale?
«Una scuola “studente-centrica”. Gli studenti sono delle piccole bombe, si sa, ma per potenzialità. Noi docenti dovremmo essere in grado di accendere un fiammifero e avvicinarlo alle loro micce. La scuola dovrebbe partire dalla prima media e per i seguenti otto anni fornire una miriade di stimoli, facendo entrare in classe esperti, professionisti, artisti, artigiani, così che possano raccontare le loro storie di vita ed il loro lavoro; essere attenta a cogliere in ogni alunno lo scintillio negli occhi per una o più particolari storie raccontate».

 

Lei insegna informatica. Nel concreto cosa fa con gli studenti?
«Negli ultimi venti anni ho “costretto” tutti i miei studenti a conoscere e sperimentare la mentalità imprenditoriale attraverso la creazione e conduzione di micro startup, sia economiche che sociali. In questo modo i ragazzi, senza accorgersene, hanno acquisito una grande quantità di competenze trasversali. Parlo, ad esempio, di competenze come il problem solving, la capacità di lavorare in team, la leadership, la resilienza, il pensiero critico, il saper parlare in pubblico, la gestione dell’errore e del fallimento e, soprattutto, la fiducia in sé e nelle proprie capacità. Alla fine dei conti, forse l’aiuto maggiore che do ai ragazzi è quello di riuscire a farli credere in loro stessi. Scoprono di essere in grado di trasformare un’idea scarabocchiata sulla lavagna in una fiorente azienda di e-commerce, in una startup che aiuta le studentesse a frequentare la scuola in Afghanistan o, ancora, in un grande movimento anti bullismo che porta 40 studenti liceali nelle scuole di tutta Italia a sensibilizzare e rendere protagonisti decine di migliaia di altri giovani nell'affrontare il problema».

 

Che cosa pensa dei docenti che fanno lezione sui social, diventando delle star e dei punti di riferimento per i ragazzi?
«Ne penso bene, a condizione però che non perdano mai di vista il focus principale, ossia di “sfruttare” a pieno il loro grande talento comunicativo ai fini della crescita delle persone che li seguono e non arrivare mai a realizzare e pubblicare post e video al solo scopo di aumentare like e follower».

 

In aula invece come si può entrare in connessione con i ragazzi?
«Uso l’ascolto, accompagnato da una buona dose di innata empatia. Non credo ci sia modo migliore. I ragazzi si ritrovano un docente a cui possono raccontare qualsiasi cosa, un docente che non ha le risposte a tutte le loro domande, ma che li incoraggia e li incentiva a cercarle in autonomia, utilizzando la grandissima quantità e qualità degli strumenti che oggi hanno a disposizione. Anziché regalare un pesce preferisco insegnare loro a pescare».

 

Il vostro stipendio è adeguato?
«Domanda retorica, assolutamente no! Quando nel 2015 sono risultato candidato al "Nobel" degli insegnanti (Global Teacher Prize) ho sfruttato il mio quarto d'ora di popolarità e ho scritto una lettera a Matteo Renzi in cui ho chiesto maggiore rispetto e considerazione per la professione di insegnante che, secondo me, potevano arrivare attraverso una remunerazione più adeguata e una serie di iniziative atte a rivalutare socialmente la figura dell'insegnante. Mi rispose l'allora responsabile Scuola della segreteria Pd, Francesca Puglisi, e mi rassicurava che il governo stava seriamente pensando a una "retribuzione migliore" per gli insegnanti. Sei mesi dopo è nato il Bonus Docente, una somma di 500 euro all'anno per tutti i docenti d'Italia, da destinare all'acquisto di strumenti didattici, corsi di aggiornamento e attività culturali».