Avevo dieci anni quando sono andata per la prima volta a Siena con i miei familiari e, arrivando in Piazza del Campo, ho provato una fortissima emozione. Lo spazio che mi apparve chiuso, sgombro da macchine, mi era sembrato una grande sala, curiosamente in pendenza, dominata da una torre altissima, dove si ascoltava il gorgoglio dell’acqua della grande fontana. Ancora più fantastica quando mio padre mi fece notare che aveva la forma di una conchiglia.
Da allora, sono tornata molte volte a Siena, anche per assistere alle spericolate corse del Palio. Ho ammirato il Duomo con la sua facciata in marmo bianco e i ricchi ornati, Palazzi nobiliari affrescati, Musei con tanti capolavori: un tuffo straordinario in un Medioevo ricco d’arte e di contrasti, che ancora riecheggiano nell’animosità delle contrade. Conoscendo ora la storia della città, i suoi monumenti, l’origine di tanti nomi, Siena è entrata di più nel mio cuore; e sono stata felice nel dirigere nel suo teatro “Rigoletto” e “la vedova allegra.
Ma solo in Piazza del Campo, definita da quella bellezza architettonica così compiuta, ritrovo lo stupore della prima volta che l’ho vista. Diventa ogni volta una piacevole sorpresa specialmente se la raggiungo da una delle stradine che vi sboccano. Credo che siano le stesse sensazioni che provavano i romani quando giungevano a piazza S. Pietro dalle viuzze della Spina di Borgo, prima che fosse distrutto il fitto abitato e l’ampia via della Conciliazione, facendo scorgere da lontano la piazza, ha eliminato l’incanto della sorpresa visiva.