Musica classica

Idee, carisma, disciplina: viaggio nella casa dei Berliner Philharmoniker

di Annalisa Rinaldi   22 febbraio 2024

  • linkedintwitterfacebook
Il videostudio della Berliner Philarmoniker, a Berlino

Festeggia quindici anni la Digital Concert Hall, pionieristica piattaforma di concerti in streaming e on demand lanciata dalla prestigiosa orchestra. Diretta dai più grandi, da Abbado a Petrenko

Ascoltare i Berliner Philharmoniker crea dipendenza. È come arrivare all’ultima pagina di un capolavoro letterario e desiderare che il racconto non finisca mai, portarlo impresso nella memoria  e voler rientrare subito tra le sue righe. Così i concerti dei Berliner: l’ultima nota porta con sé il silenzio, la sospensione di tutto; è un attimo, fulmineo, dove il pensiero corre veloce e uguale tra tutti gli spettatori che, con esattezza metronomica, liberano all’unisono la tensione emotiva nel lungo applauso. E si vorrebbe che tutto ricominciasse. Questo avviene a pochi metri di distanza da Potsdamer Platz, ovvero nella Philharmonie, la casa naturale della straordinaria orchestra tra le più importanti  al mondo, l’orchestra di Von Bülow, di Furtwängler, Karajan, di Abbado, Rattle e oggi di Kyrill Petrenko, direttore principale dal 2019. Una emozione che i Berliner sanno infondere sempre, perché sono uno strumento prezioso, con un suono unico, creativi e duttili al gesto dei grandi maestri che si susseguono sul podio della Concert Hall, sala dalla acustica perfetta, così come la concepì l’architetto Hans Schaorun. Era il 1963 quando la Philharmonie fu inaugurata nella Berlino Ovest, edificata a ridosso del Muro per volere della classe politica dell’epoca che intravedeva in questa magnifica costruzione color giallo oro in contrapposizione al grigio plumbeo del muro, un potere unificatore della città. Ed è accaduto. Ora all’ingresso ovest della Philharmonie si è aggiunta quella Est, da cui entra la maggior parte degli spettatori.

Musicisti straordinari, ma non solo. I Berliner sono una macchina organizzativa dagli ingranaggi complessi ma perfetti, dove disciplina, determinazione, idee, autogestione, condivisa e democratica, li hanno sempre portati lontano. E quella esperienza unica che si attraversa nei loro concerti, non è irripetibile, anzi da quindici anni può essere replicata all’infinito: si chiama Digital Concert Hall ed è una piattaforma online che dà l’opportunità di accedere a concerti, documenti, documentari, interviste  con tutti i tipi di supporto di ultima generazione o di vederli al cinema in modalità tridimensionale grazie al sistema Dolby Atmos.

«Quest’anno festeggiamo i quindici anni di attività della DCH», racconta Olaf Maninger, violoncello principale e amministratore delegato della Berlin Phil Media, in una delle bellissime sale prova della Philharmonie: «In realtà sono diciotto anni che ho questa idea. Mi accorgevo che gli spazi  televisivi dedicati alla musica erano sempre più ridotti. Il mercato discografico era interessato solo a  celebri solisti che accompagnavamo e il grande sinfonismo era sacrificato. Era necessaria una soluzione per il futuro, dovevamo creare una di rete di sicurezza affinché la classica non sparisse dai media. Perfetto, ci siamo detti, lo facciamo da soli e ci assumiamo tutte le responsabilità». Una decisione pionieristica, spinta dalla convinzione che la musica deve essere un bene comune e condivisibile. «Era la preistoria di Internet, la qualità delle immagini e del suono di youtube era scarsa. Ma eravamo molto determinati», continua Maninger: «Partiamo ci siamo detti, troveremo e ci adegueremo a tutto il progresso tecnologico, proveremo tutti i mezzi possibili e disponibili, anche economici». Infatti il successo della DCH porta all’Orchestra sempre nuovi introiti, in controtendenza alla crisi che i canali convenzionali attraversano. Gli abbonati oggi si aggirano intorno ai due milioni, solo in Germania circa 20mila, con un mercato che ha un’estensione geografica molto vasta: Asia, Giappone, Corea, Sud America e gran parte dell’Europa.

«La DCH non è un’organizzazione commerciale, i proventi ci danno la possibilità di creare contenuti nuovi, di pagare chi lavora, di costruire studi di broadcasting che costano intorno ai 2,5 milioni di euro»,  precisa Maninger: «Ad esempio mi piacerebbe creare una audio-room, rimettere mano a tutte le registrazioni di Karajan e  recuperare tutti quei concerti che hanno fatto la storia dei Berliner. La DCH non è sovvenzionata dallo Stato. Abbiamo sponsor privati e abbonamenti».

Visitare oggi gli studi di regia dei Berliner è una passeggiata nel futuro, dove si può trovare la tecnologia più sofisticata. Sul palcoscenico ci sono otto telecamere tutte telecomandate a distanza; quella più importante posta sul direttore su cui si tara tutta la registrazione.

Il team di esperti per le riprese, la registrazione e la post-produzione è un pullulare di registi, ingegneri del suono, supervisori, assistenti, musicisti. Ogni concerto viene pianificato approfonditamente e la partitura detta la sceneggiatura. Il flusso di lavoro è continuo e ininterrotto sino a arrivare a un altissimo livello di visione e ascolto, sia per lo streaming che per l’on-demand.

Tutto perfetto, ma l’emozione del concerto dal vivo?  «La differenza è enorme ovviamente, non ci arriva l’energia, l’afflato dei 2.200 spettatori che ci circondano», continua il maestro Maninger: «Tuttavia il concerto digitale ti consente di capire la musica attraverso le immagini, sei molto vicino al musicista, ti fa capire la partitura,  ti dà un’altra visione dell’ascolto. Quindi, lunga vita alla DGH».

E a proposito di emozioni, Olaf si illumina quando parla di Claudio Abbado, alla testa dei Berliner per dodici anni: «Per me è stato un onore. Diverso da tutti gli altri. Di lui amavo le mani, erano bellissime. Io sono un violoncellista solista e ho il direttore di fronte, molto vicino. Con le mani lui “mostrava la musica” e trasmetteva emozioni. Straordinario.  Abbado non parlava affatto. Ma sapeva far funzionare l’orchestra come nessun altro. Questo si chiama carisma».