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La pupa e il secchione, un triste ritorno di serie B

di Beatrice Dondi   24 aprile 2024

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Enrico Papi, La pupa e il secchione

L'esperimento su Italia 1 condotto da Enrico Papi ha ricominciato ad accoppiare desolanti figurine bidimensionali, dove le donne sono belle e oche e gli uomini impresentabili. Uno show che si sperava archiviato. Ma a volte l’ottimismo non basta

La tromba ma non suona, dice con soddisfatta espressione da animatore da crociera Enrico Papi, ridacchiando tra sé e la telecamera, e ammiccando il giusto, in attesa di auto complimentarsi per la battuta estrema sulle trombe d’Eustachio. Sono stato simpatico, sembra dirsi da solo, ma sono stato molto simpatico, sembra rispondersi, sempre da solo. Perché alla fine, a “La pupa e il secchione” si diverte solo lui, ed è già tanto così. 

 

Nato in quel del 2006, la sottospecie di giochino che tenta di accoppiare desolanti figurine bidimensionali, dove le donne sono belle e oche e gli uomini impresentabili ma campioni regionali di nozionismo, di passi avanti ne ha fatti pochini. A partire dalla conduzione, che dopo varie vicissitudini sempre di livello, è tornata nelle mani di Papi, con le stesse modalità del passato remoto e a ben guardare anche con la stessa vis comica. 

 

Ma al di là di ogni moralismo stantio e cercando seppur a fatica di andare oltre all’incredulità di vedere uno spettacolo che sembra essere nato dalle produzioni della più povera delle emittenti locali, lo show di Italia 1 riporta in prima serata quella televisione contro cui il povero Pier Silvio Berlusconi ha provato a combattere strenuamente, evidentemente senza esiti di rilievo. Ovvero un nostalgico minestrone pecoreccio, che guarda al cosiddetto cinema di serie B degli anni Settanta, un po’ infermiere sexy e allegri chirurghi, un po’ nostalgia di Bombolo e rumori corporali, e che cerca di darsi un tono solo con l’inserimento in giuria dell’ormai obbligatoria quanto incomprensibile quota giornalista. 

 

Così, tra occhiali e minigonne, l’unico aggiornamento temporale sembra essere nelle parole utilizzate, che appaiono a sprazzi per ricordare a quello sparuto gruppo di telespettatori capitati per caso sul canale che non si tratta di una replica d’archivio ma di una nuova edizione che sgomita nel contemporaneo. Così i capelli hanno le extension, i balletti si fanno su TikTok e gli scherzi con l’intelligenza artificiale. 

 

Ma snocciolati questi termini si torna di corsa alle ragnatele trash dei tempi andati, a partire dallo Zucca Quiz, che riduce il presidente Mattarella a «un essere che fa parte della politica» e per indovinare il nome di Biden si fa riferimento all’assonanza con “bidet”. Alla fine, resistendo alla desolazione, non resta che ripensare alle lontane parole di Edmondo Berselli: «Questo “irreality show” spiega agli italiani che si può essere ignoranti e spaventosamente inadeguati ma nondimeno si può stare in tv, “fare” televisione, diventare protagonisti e ammiccare alla telecamera». D’altronde quando uno è venerato maestro ci prende sempre, anche vent’anni dopo.

 

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DA GUARDARE 

“Indovina chi viene a cena” di Sabrina Giannini ha provato a chiedersi se l’uomo abbia davvero il diritto di sfruttare allo stremo le risorse del pianeta. E qualche volta ha persino dato una plausibile risposta. Ma come ogni ciclo di inchieste anche questa stagione ha un difetto: è finita (però per fortuna, si recupera su Rai Play).

 

MA ANCHE NO
Non c’è la famiglia, mancano i guai giudiziari, l’origine dei soldi e la nascita dei soprannomi e manca persino la politica, perché il racconto si ferma giusto un attimo prima. Alla fine “Il giovane Berlusconi”, docufilm in tre puntate su Netflix, assomiglia a un francobollo. E ogni riferimento è puramente voluto.