Piantiamolo di tirarlo per la giacca alla affannosa ricerca di qualcuno in grado di raccogliere il suo testimone. Di b"braco presentatore" ce n'è uno. E lo dimostra, ancora una olta, con quel piccolo gioiellino di "Come ridevamo"

Beato quel popolo che non ha bisogno di eredi. Invece il massimo sforzo a cui si sottopone la tv contemporanea sembra proprio quello di individuare qualcuno in grado di raccogliere a tutti i costi il prezioso testimone da Renzo Arbore. Una ricerca rigorosamente ( fallimentare), per affibbiare la qualifica di portatore nella nuova era di quel bagaglio di altissima cultura pop e far sì che non si disperda nel nulla. Come se l’importante non fosse alimentare con forze rigenerate le spalle minute della tv contemporanea, ma solo dare una patente di credibilità al primo che parla con accento napoletano. E la domanda tormentone è sempre: «Ma lei si sente erede di Renzo Arbore?».

 

 In questo modo sicuramente gli ego altrui si gonfiano, l’interlocutore si dichiara soddisfatto e poco importa che Arbore faccia buon viso a un giochetto di risulta. Perché lo showman che ha inventato tutto guardando indietro, il musicista, cavaliere di Gran croce, deejay e presentatore, rappresentante indiscusso della repubblica del cazzeggio, collezionista di oggetti e talenti e inesauribile scopritore delle minuzie del bello, ha seminato a più non posso, ma il raccolto collettivo è ancora assai magro. 

 

Lo dimostra ancora una volta con “Come ridevamo” su Rai 2, accompagnato dalla spalla confortevole di Gegè Telesforo, in cui elargisce come in una mensa di lusso il piacere puro della comicità che ha fatto la nostra storia. Una sontuosa antologia di risate, sorrisi e “ridacchiamenti”, centoventi perle sparse recuperate in gran parte dai suoi programmi ma non solo, inframmezzate da gustosi aneddoti privati e pubblici su un mondo che sembra inesorabilmente perduto, un po’ come la memoria. Così tra Sandra Mondaini che stropiccia Raimondo Vianello, Massimo Troisi e Albertone Sordi, Paola Cortellesi e Roberto Benigni con perle e cappellino, c’è la voce sorniona di Arbore, che racconta di quella volta in cui per ospitare i militari come pubblico del suo “Telepatria” chiese il permesso al ministro Lagorio, o quando Craxi impazzì per Carlo Verdone nei panni dell’ultimo garibaldino («Allora sì che salirono le nostre azioni all’interno dell’azienda Rai…»). 

 

Per venti puntate “il signor Arbore” cuce questa polvere di stelle con la grazia e lo stupore della giovinezza dei suoi 87 anni, e così facendo è come se scavasse nella stagione del nostro sconforto, perché non solo quelle risate scatenate dal grammelot di Proietti o dagli acuti di Anna Marchesini sembrano remote ma è il suo stesso fare che appare irripetibile, una di quelle fortune che capitano una volta, si affacciano lievi e sornione e lasciano solo il sorriso. Come lo Stregatto.

 

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DA GUARDARE 

“Amore alla prova” su Real Time è il solito programma con le solite coppie in crisi che scelgono la solita televisione per consolidare i soliti rapporti. Ma la sorpresa è la conduzione di Bélen, simpatica ed empatica, che riesce persino a non leggere un copione a tutti i costi. Bene, brava e bis.

 

MA ANCHE NO

Ormai la rincorsa al copia e incolla di “Io canto” targato Mediaset ha derive incontrollabili. Dopo lo “Junior” e il “Generation” è la volta di “Io Canto senior”, stesso identico titolo di “The Voice”. Un po’ come se qualcuno facesse un “È sempre mezzogiorno e mezzo” e dicesse di non aver pensato ad Antonella Clerici.