La partecipazione di Fabrizio Corona da Nunzia De Girolamo. L’aiuto da casa per Pino Insegno. Il successo del fuoriuscito Fazio. Un flop via l'altro. I destini incerti del (fu) servizio pubblico

C'era un gioco che andava fortissimo nell’era analogica. Si chiamava il gioco del 15, una specie di puzzle di caselle quadrate che andavano mosse per ricostruire la figura. Alza il quadrato, sposta il quadrato. Praticamente quello che sta accadendo con la Rai ai tempi del governo Meloni. Dove chi andava benissimo è stato accompagnato all’uscita, chi funzionava è stato spostato, le nuove tessere sono a rischio naufragio e quello che era un tempo il disegno identitario delle reti sfuma via come acqua sulla sabbia. Perché come cantava la carta celebrativa di Fratelli d’Italia per il primo anno di governo, «dopo anni di immobilismo e di occupazione militare da parte della sinistra, si sono finalmente restituiti alla Rai pluralismo, dignità, programmazione e prospettive di crescita e sviluppo». Il risultato di queste mosse a caso è che, stando ai dati Auditel elaborati dallo Studio Frasi, nelle prime quattro settimane del palinsesto d’autunno la Rai ha perso 248mila spettatori nel giorno medio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

 

Il programma di Pino Insegno fa numeri imbarazzanti, “Tango” di Luisella Costamagna si ferma al 2 per cento, Nunzia De Girolamo ha bisogno delle truppe cammellate di rinforzo, ascolti bassi per Max Giusti, flop altalenanti per Caterina Balivo, arranca il trasferimento di Serena Bortone, Monica Giandotti al posto del pensionato Maurizio Mannoni non fa meglio, Manuela Moreno ha chiuso il suo “Filo Rosso” con un triste 2,2 per cento e Monica Maggioni, nonostante l’impegno, non riesce a portare a casa i numeri di Lucia Annunziata. Intanto, mentre tutti coloro che hanno lasciato viale Mazzini si godono il successo sulle altre reti, a partire dal clamoroso risultato di Fabio Fazio sul Nove, a Bianca Berlinguer su Rete 4 fino a Massimo Gramellini su La 7, il governo taglia il canone Rai, da 90 a 70 euro: «Ma è stata fatta una cosa da raccontare agli amici al bar – commenta il senatore Maurizio Gasparri – la Rai avrà gli stessi soldi di prima. Forse si poteva anche dire la verità agli italiani. Ma andiamo per ordine.

 

Il nome forte per Tele Meloni era proprio quello di Pino Insegno ma il “Mercante in fiera” si rivela un disastro. Il picco negativo era stato martedì 3 ottobre, con l’1,6 per cento di share. Potrebbe andare peggio, potrebbe piovere, si continuava a sussurrare nei corridoi di viale Mazzini mentre Insegno, dispensando battute come «ah, studi il giapponese? Io so dire solo a rigato’ quanto me piaci col ragù», veniva invitato da Carlo Conti nel suo “Tale e Quale” per esibirsi come Village People. Ma la pioggia è arrivata inesorabile. Giovedì 12 arriva all’1,7, venerdì 13 all’1,8. A questo punto serpeggia un certo nervosismo, un’intervista di Giampaolo Rossi al Foglio di qua e la chiamata alle agenzie di Roberto Sergio di là, che si indigna per «la violenza mediatica e preventiva» nei confronti del conduttore doppiatore. E siccome le parole sì sono importanti ma i fatti aiutano a crescere, ecco accorrere in studio i vip, come l’aiuto da casa. Gabriele Cirilli e Francesco Paolantoni, l’amico storico Roberto Ciufoli e così via. Peccato che il risultato sia praticamente nullo.

 

Stesso sostegno morale anche per Nunzia De Girolamo ma con giravolte ancora più creative. L'“Avanti popolo” della ex ministra, promossa per motivi misteriosi alla prima serata, debutta in stile “Casa Vianello” intervistando il marito senatore Francesco Boccia ma esordisce con un disperante 3,6 per cento. Così, non contenti di aver sottratto a Rai Tre una qualsivoglia parvenza identitaria, arrivano ben due esclusive. La prima è l'intervista al cardinale Parolin a cui De Girolamo si rivolge come donna e come madre (ricorda qualcosa?). 

 

E poi la discussa ospitata di Fabrizio Corona per rivelazioni esclusive sullo scandalo del calcio scommesse. Della serie: Fedez, meglio evitare visto il contenzioso aperto con la Rai, la fiction su Mimmo Lucano ancora senza data in palinsesto, Roberto Saviano con un programma pronto in tasca non sia mai ma per Corona, dieci anni tra carcere, domiciliari e sorveglianza speciale, tre ospitate (dopo “Belve” e “Domenica in”) vanno bene, anzi benissimo. Ovviamente con il suo costo: «È giusto che per fare informazione la Rai mi paghi più di 30 mila euro», dice ai microfoni de La Zanzara. Serpeggia un certo scontento, si risente persino il ministro Abodi: «A me sembra paradossale che un personaggio del genere possa diventare un portavoce di istituzioni». Ma Corona, a suo dire «l'uomo più famoso d'Italia» entra in studio al grido di «ho un codice etico che mi ha insegnato la galera». 

 

Dopodiché partono le rivelazioni per modo di dire, De Girolamo resta con gli occhi incollati alla scaletta di una materia sconosciuta mentre il paparazzo, con la mitezza che lo contraddistingue sfotte “Report” («quello che fanno in quattro mesi io lo faccio in 5 minuti»), mescola ludopatia, consigli ai giovani e scommesse in un minestrone imbarazzante egomaniaco che neppure questa Rai pensava di meritarsi. Alla fine il colpo di scena: «Sono stato censurato» e corre da Striscia la notizia a fare i nomi attesi. Se non è un capolavoro questo, poco ci manca. E alla fine dopo tutto il polverone arriva solo un altro flop: 742mila spettatori. 

 

Tra le mosse da campioni da annoverare in questo nuovo corso del servizio pubblico c’è il cosiddetto caso della domenica. Fuoriuscito Fabio Fazio, per riempire la serata festiva si pensa bene di mettere “Report”, nonostante le resistenze iniziali di Sigfrido Ranucci. Succede allora che la prima puntata, in cui si affrontava la La Russa Dynasty abbia un successo notevole, secondo programma più visto della prima serata. Ma il presidente del Senato non gradisce, evita il contraddittorio, corre a lamentarsi da Bianca Berlinguer su Rete 4 e a questo punto i vertici Rai, che potrebbero felicitarsi per il raro risultato, insomma finalmente una buona notizia, fanno i vaghi e nessuno brinda. Passano i fatidici sette giorni e “Che tempo che fa” sbarca sul Nove con un risultato monstre, due milioni e centomila spettatori. Praticamente un debutto superiore a quello del 2022 in Rai che non solo sottrae inevitabilmente la platea a “Report” ma che fa anche chiedere in che modo sia stato possibile considerare una buona mossa farsi sfuggire Fazio e compagnia, pesci compresi.

 

Intanto, a risollevare le sorti dei canali allo sbando ci pensano i soliti noti che già funzionavano nelle passate edizioni. Resta saldo al suo posto Pierluigi Diaco, che saltella senza colpo ferire da Rocco Siffredi a suor Paola, forte dell'appoggio espresso dalla premier nel 2019 («Grazie di cuore a Diaco per il sostegno dato al congresso delle famiglie di Verona») mentre si attendono con fiducia i ritorni di Massimo Giletti con l’inizio del nuovo anno e quello di Flavio Briatore in primavera, con “The Apprentice”, il talent del 2012 sugli aspiranti uomini d’affari chiamati a raggiungere l’obiettivo. 

 

Così torna alla mente quanto dichiarato dalla presidente Marinella Soldi: «Questi palinsesti nascono nel segno dell'innovazione e questo ci fa pensare ad Angelo Guglielmi, maestro di tv e di innovazione. Credo che avrebbe amato essere qui e vedere come stiamo cercando di cambiare la Rai». E come darle torto.