Scene digitali
Elio Germano: “Usare la tecnologia a teatro? Come trovare un antidoto a un veleno"
Il pubblico interagisce con gli attori attraverso cuffie, smartphone, app. I robot occupano il palco. Proliferano nel mondo gli spettacoli contagiati dalle nuove tecnologie. L'opinione dell'attore, appassionato sperimentatore
Robot progettati per comportarsi come noi umani campeggiano al centro della scena, personaggi reali dialogano con figure proiettate sugli schermi, storie generate dall'intelligenza artificiale ridefiniscono i criteri della creatività. E poi spettacoli in realtà virtuale senza attori o attrici in carne e ossa, ma con il pubblico in sala, o per le strade, in piazza, a casa, in luoghi diversi e pronti a interagire con la compagnia attraverso cuffie, telefoni, applicazioni, computer. Che siano spettacoli immersivi, interattivi, tecnologici, non ci sono dubbi: la transizione digitale in cui siamo immersi coinvolge anche il mondo della cultura, compreso lo spettacolo dal vivo.
Le nuove tecnologie, piaccia o no, stanno rivoluzionando il linguaggio teatrale e l’intero processo creativo e produttivo, con performance digitali salite alla ribalta soprattutto durante la crisi del Covid-19, quando i teatri erano chiusi e le piattaforme Internet costituivano l’unica interfaccia tra teatro e pubblico. Naturalmente questo non vuol dire che prima dell’arrivo della pandemia in teatro il digitale fosse assente, basta pensare all’uso dei video e delle proiezioni in scena a cui ricorrono ormai da tempo molte compagnie teatrali, da Teatro Studio Krypton ad Anagoor, da Lacasadargilla a Muta Imago. Oppure, andando ancora più indietro nel tempo, ai filmati e alle proiezioni che piombavano nello spettacolo dal vivo di Erwin Piscator, o addirittura all’antica Grecia, con il deus ex machina che alla fine risolveva la situazione. Ma senza dubbio le performance digitali si sono moltiplicate negli ultimi anni e le strade da esplorare, in verità, sono ancora tante.
Si è da poco conclusa, per esempio, la Settimana delle residenze digitali - nata da un’idea del Centro di Residenza della Toscana (Armunia/CapoTrave/Kilowatt) – durante la quale sono stati presentati, in parte online e in parte dal vivo presso La Corte Ospitale di Rubiera, i quattro progetti vincitori del Bando che ogni anno dal 2020 sostiene artisti e compagnie interessate a esplorare il mondo digitale. «I progetti che partecipano alla call devono sempre essere fruibili online, ma devono anche preservare la dimensione “liveness”, cioè svolgersi ogni volta dal vivo e non in modalità registrata; e naturalmente possono anche essere fruibili dal pubblico in presenza», racconta Luca Ricci, regista, drammaturgo e direttore artistico con Lucia Franchi di Kilowatt Festival. «Quest’anno hanno risposto alla chiamata pubblica circa 80 compagnie che usano la dimensione offerta dall’online come qualcosa in più», aggiunge: «Spesso in questi spettacoli c’è una dinamica di interazione con il pubblico che gioca un ruolo attivo, come avveniva in “Teatropostaggio da un milione di dollari” di Giacomo Lilliù, in cui gli spettatori, ciascuno attraverso Telegram installato sul proprio telefono, interagivano con la storia. L’uso delle tecnologie contiene sempre un elemento di rischio, dipende da come si utilizzano; ma è una rivoluzione da affrontare con coraggio, non con paura».
Due dei progetti vincitori andranno in scena la prossima estate durante Kilowatt Festival (11-19 luglio, Sansepolcro, vicino ad Arezzo): “Radio Pentothal” di Ruggero Franceschini, che, ispirandosi al famoso personaggio di Andrea Pazienza e a Radio Alice, produce contenuti radiofonici generati da un programma di intelligenza artificiale attingendo dal materiale delle controculture anni Settanta; e “Spazio latente” di Filippo Rosati, spettacolo immersivo che conduce il pubblico in un teatro anatomico virtuale, in cui si assiste, tramite una diretta sulla piattaforma Twitch, a un’operazione chirurgica per inserire un dispositivo nel cervello di un personaggio.
«Il Covid ha imposto allo spettacolo dal vivo una scelta: fermarsi, come in effetti è accaduto, oppure rilanciarsi in remoto, reinventarsi», spiega Simone Arcagni, professore all’università Iulm di Milano, studioso di media digitali e autore con Lucio Argano di “OnLive – Libro bianco sullo spettacolo digitale dal vivo in Italia” (Luiss University Press, pp.231, € 20), ideato nel 2020 da Piemonte dal Vivo, che raccoglie le riflessioni di oltre venti studiosi e professionisti del settore. «A livello internazionale il cambiamento era già avvenuto, l’Italia ha scontato una certa pigrizia ma poi ha preso piede anche da noi». Si sono fatte strada forme espressive nuove che affondano le radici nell’industria del gaming degli anni Ottanta e contagiano le scene di tutto il mondo, anche se con molta lentezza. Il mondo del teatro tradizionale, in gran parte, è scettico rispetto al cambiamento. «I teatri lirici e di prosa si stanno tenendo prudentemente a lato di questa nuova frontiera», aggiunge Arcagni: «Le piccole compagnie di avanguardia hanno più coraggio di sperimentare». E poi «l’intelligenza artificiale, e più in generale le nuove tecnologie applicate al teatro, non hanno l’ossessione di diventare redditizie. Sono strumenti filosofici, estetici, in Francia lo hanno capito e fanno dialogare creativi e aziende. Questi processi, tra l’altro, favoriscono l’incontro con nuovi tipi di pubblico. Bisogna uscire dalle equazioni tradizionali giovani-tecnologia e anziani-nostalgia. La curiosità è trasversale».
E così in platea si ritrovano seduti fianco a fianco spettatori di ogni generazione. Tanto per fare qualche esempio recente ed estremo “Uncanny Valley”, del collettivo tedesco Rimini Protokoll (ospiti di Short Theatre 2024), porta in scena un robot con sembianze umane, in cui tutto sembra vero ma tutto è artificiale e inquietante. Diverso il caso di “Una isla” di Agrupación Señor Serrano, andato in scena al Festival delle Colline torinesi. Qui la compagnia catalana indaga, come già in altri lavori, cosa accade quando la tecnologia si mette al servizio della “liveness”, usando per la creazione della drammaturgia un sistema di Intelligenza artificiale. Non è forse un’opportunità in più anche solo dal punto di vista estetico? Stesso discorso vale per gli spettacoli in cui gli spettatori interagiscono attraverso una cuffia, un telefono o un telecomando consegnato al pubblico come avviene in “Oz” o in “Maternità” di Fanny & Alexander. In molte di queste performance (non in quelle di Fanny & Alexander) gli attori sono assenti. Lo sono negli spettacoli immersivi, come quelli realizzati per realtà virtuale da Elio Germano, attore cinematografico molto amato dal grande pubblico, curioso sperimentatore: “Segnale d’allarme. La mia battaglia” (2019, scritto con Chiara Lagani), “Così è (o mi pare)” (2021,), dove gli spettatori siedono in una sala indossando dei visori. «La realtà virtuale nasce per una fruizione individualistica e domestica per l’intrattenimento, che mi ha molto spaventato all’inizio perché in questa tecnologia la persona sparisce», racconta Germano: «Una tecnologia talmente immersiva da assorbire il nostro immaginario tra audio e video, facendo mancare altri punti di contatto con la realtà reale che ci risucchia dentro. E così dal nostro divano siamo proiettati in un’altra dimensione. Questo mi ha molto spaventato e quindi, con le persone con cui ho iniziato a lavorare con questa tecnologia, il primo passo è stato capire come usarla e trovare antidoti a un veleno», conclude l’attore.
Ma il punto è questo: bisogna capire come inglobarla nel processo creativo per migliorarlo. La tecnologia si mette al servizio della “liveness”, per esempio, in molti spettacoli itineranti in cui lo spettatore riceve informazioni attraverso le cuffie (“Walking thérapie” di Nicolas Buysse, Fabrice Murgia e Fabio Zenoni), attraverso un’applicazione per smartphone (“The walks” dei Rimini Protokoll) o un visore (“Real heroes” di Mauro Lamanna e Juan Pablo Aguilera Justiniano), con esiti molto stimolanti. Tutti esempi che dimostrano come le nuove tecnologie possono essere alleate della libertà creativa. Come le sfumature dei colori.