Inquinamento record tra amianto, smog, ecoballe e un fiume ridotto ad una cloaca. Il caso irrisolto dell'Isochimica, i dubbi su rogo Irm. E intanto l'ecosistema è sempre più a rischio in un territorio fortemente industrializzato che dà lavoro a 5mila persone
In questo lembo di Irpinia esiste la più alta concentrazione di fabbriche di tutta la provincia: oltre un centinaio in poco più di tre chilometri quadrati. Da Atripalda a Prata di Principato Ultra è tutto un susseguirsi di industrie siderurgiche, metallurgiche, metalmeccaniche (tra cui lo stabilimento Fiat "Fga" di Pratola Serra) che danno lavoro a 5mila lavoratori. Un toccasana, nonostante la crisi e le casse integrazioni in decine di stabilimenti, per circa 30mila persone, quasi un decimo della intera popolazione della provincia di Avellino.
Nella Valle del Sabato scorrono poi le due più trafficate arterie stradali irpine: l'autostrada A16 Napoli-Canosa, che la costeggia per almeno cinque chilometri, e la statale Appia, principale via di collegamento alternativo all'autostrada tra l'avellinese e il beneventano.
A ridosso dell'abitato di Arcella, piccola frazione del comune di Montefredane, c'è l'impianto di trito vagliatura dei rifiuti, denominato Stir. Lo si intuisce dal fetore nell'aria. Stazionano nella piazzola antistante l'impianto 40mila ecoballe, ognuna delle quali pesa circa 1 tonnellata. A pagarne le maggiori conseguenze sono gli abitanti dei centri di Atripalda, Manocalzati e Montefredane per i quali la qualità della vita non è proprio delle migliori dato che convivono per gran parte della giornata con un odore nauseabondo.
Poco lontano scorre il fiume Sabato, tra i più inquinati d'Italia e al centro delle inchieste di tre procure (Santa Maria Capua Vetere, Benevento e Avellino) per il cattivo funzionamento degli impianti di depurazione e gli sversamenti illeciti nei comuni che lambisce. Superato Atripalda, il fiume attraversa l'intero nucleo industriale prima di immergersi nei boschi che separano le province di Avellino e Benevento. Ma tra quelle faggete il Sabato ci arriva torbido e maleodorante. Forestale e Arpac hanno attestato la presenza di batteri come escherichia coli e streptococco, azoto ammoniacale (dovuto a scarichi fognari o zootecnici) e tensioattivi (sostanze inquinanti contenute nei detergenti) oltre i limiti stabiliti dal Testo Unico Ambientale.
C'è preoccupazione nella popolazione locale anche per la recente installazione dell'elettrodotto della Terna "Montercorvino-Avellino Nord" da 380 kiloVolt interrato in parte sotto la statale Appia. Nonostante le rassicurazioni di Provincia di Avellino e Regione Campania sulle emissioni di campi elettromagnetici, si teme l'ondata di nuovi veleni (questa volta tutt'altro che visibili) nell'aria già contaminata della Valle del Sabato.
E' in questo contesto che si sono innescate le due bombe ecologiche salite agli onori delle cronache nazionali: l'Isochimica di Pianodardine, frazione a vocazione industriale di Avellino, e la Irm di Manocalzati.
L'Isochimica era l'azienda che per conto delle Ferrovie dello Stato era addetta alla scoibentazione dei vagoni e carrozze ferroviarie. In cinque anni, dal 1983 al 1988, sono state scoimbentate 499 elettromotrici e 1700 carrozze per un totale di 20mila chili di amianto smaltiti illecitamente dagli stessi operai, interrati o cumulati in oltre 500 cubi friabili di cemento. Da 26 anni, cioè da quando la magistratura appose i sigilli all'Isochimica, la bonifica dello stabilimento non è mai avvenuta. La Procura di Avellino ha disposto lo scorso giugno il sequestro, in via d'urgenza, dell'intera area per il timore che le fibre possano liberarsi nell’aria e raggiungere le abitazioni vicine. Nel registro degli indagati sono state iscritte 24 persone tra cui gli amministratori del Comune di Avellino del 2005, dirigenti di Arpac e Asl. Finora 10 ex operai sono morti a causa dell'amianto, oltre 140 sono ammalati, e per altri 80 è stata certificata la contaminazione da uno studio del Polo Pneumologico dell'Ospedale "Scarlato" di Scafati, in provincia di Salerno.
La Irm, invece, era uno stabilimento adibito allo stoccaggio di rifiuti della ditta "Pescatore srl". Il 22 gennaio 2005 un incendio durato più di 24 ore mandò in fumo migliaia di tonnellate di rifiuti stipati nel sito, costringendo tredici famiglie ad abbandonare le proprie case. L'Arpac stimò 7000 tonnellate di immondizia andate in fiamme. Anche in questo caso la bonifica non è stata effettuata, né si è mai stimata la diossina prodotta dal rogo. Nel 2009 sono stati condannati per incendio doloso (ma assolti dal reato di inquinamento ambientale) sei imputati tra cui il legale rappresentante dell'azienda, amministratori e dirigenti dei comuni di Avellino e Mercogliano.