Il bingo nei quartieri di Palermo, con la gente che partecipa dalle finestre dei palazzi. Per finanziare feste religiose e arricchire la cosca. Così i clan rispondono alla crisi economica, ripartendo dal business più antico

Dalle casse audio piazzate tra i palazzi popolari esce una voce metallica. Una cantilena di numeri, uno dietro l'altro. Echeggiano nel silenzio assoluto dell'intero quartiere, perché tutti gli abitanti sono alla finestra, concentrati nell'ascolto. Sperando nella combinazione vincente. I prezzi sono modesti – un euro per tre cartelle – e le vincite ridotte: dieci euro la cinquina, il bingo anche 70. Ma in questi tempi di crisi sul gioco si concentrano sogni e aspettative. Di tante persone. E anche di Cosa nostra.

Siamo a Palermo, in tre zone popolari: “Roccella”, “Sperone”, “Case di Spatola”. Qui le famiglie sono sempre più povere, i bambini disertano la scuola e mancano i servizi essenziali, mentre la nuova linea del tram e i progetti di riqualificazione urbanistica non sono riusciti a fermare il degrado materiale e il disagio sociale. Meglio scommettere e non pensarci più.

Domanda e offerta si sono incontrate subito. La criminalità ha capito in fretta che la gente voleva qualcosa di più dei videopoker, delle sale bingo e dei pronostici online: l'esperienza del gioco nella comunità; tra i parenti, gli amici, i vicini e i conoscenti. Un'operazione vintage, che segna un pesante ritorno alle origini.
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Molte organizzazioni mafiose, in Italia e nel mondo, sono nate proprio partendo dal monopolio delle puntate clandestine. L'etimologia stessa del termine camorra viene fatta risalire a un gioco clandestino. Si dice che all'inizio del Novecento il potere di Vito Genovese, il padrino che nel 1943 avrebbe accompagnato gli americani nell'invasione della Sicilia, sia nato a Manhattan dallo sfruttamento delle scommesse. Dagli States all'Argentina, gli emigranti con la coppola hanno subito organizzato tombole e lotterie nelle strade per raccogliere fondi. E c'é chi si è arricchito. La famiglia Gambino negli Usa ha puntato alla grande sugli allibratori: nei primi anni Duemila riuscivano a fatturare 30 milioni di dollari l'anno da questo business. Che i clan siciliani stanno riscoprendo.

Pure i boss palermitani sono alle prese con la recessione. Le estorsioni rendono meno, gli appalti pubblici sono pochissimi, il traffico di droga ha concorrenti competitivi. Si può però riuscire a fare bingo anche in altro modo. A Palermo la torta è piccola, ma unisce ai soldi un'altra opportunità decisiva: permette di potenziare il controllo del territorio. Questa settimana nel rione Roccella si festeggia Santa Rosalia, venerata da fedeli sinceri e criminali opportunisti. Sul palco, montato nella piazza principale della borgata, canteranno diversi big della musica neo melodica napoletana: reuccio della serata, Gianni Celeste, autore del brano “U latitante”, che tre anni fa dedicò «a coloro che non possono essere presenti». I latitanti, appunto, cuore dell'ultima gerarchia mafiosa.

La festa a Roccella si annuncia solenne. E i residenti sussurrano che i costi saranno sostenuti con i ricavi del bingo abusivo. Da mesi, dalle 17 sino a dopo mezzanotte con ritmo incessante si è dato vita alla lotteria in piazza. Grosse casse audio scandiscono i numeri estratti mentre i giocatori restano alla finestra delle loro case: un blitz della polizia non riuscirebbe a trovare nulla. Se si vince, basta urlare e l'organizzazione provvede a pagare a domicilio. Comodo, perfetto. «L’organizzazione è quasi impeccabile. Tre cartelle vengono vendute per un euro. Con un timbro per evitare che siano usate più volte», racconta a “l'Espresso” uno degli abitanti, che chiede l'anonimato per paura di vendette: «Un tempo il bingo c'era solo nel fine settimana, adesso ci sono estrazioni quasi ogni giorno. Tutto a danno degli abitanti, che finiscono per perderci. Ma qui l'omertà è legge e le istituzioni hanno abbandonato questi quartieri».
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Il gioco è spesso parte di un sistema di sfruttamento. Il clan di Pagliarelli imponeva agli esercenti di comprare centinaia di biglietti delle lotterie abusive: venivano presentati come beneficenza, invece erano un modo per finanziare la famiglia criminale. La microspia nascosta in una tabaccheria del Villaggio Santa Rosalia ha svelato il meccanismo facendo scattare gli arresti per racket. Nella Palermo di “Addio Pizzo” e delle vetrine sempre più vuote, tartassare gli esercenti diventa rischioso e poco remunerativo: meglio darsi al bingo popolare, una lotteria dove il clan vince sempre.