
Un patrimonio così imponente che la manciata di milioni fin qui investiti nell’istituto di credito con base a Genova pesa quanto pochi spiccioli nel portafoglio. Tutto nasce dal petrolio. E dall’Africa. O meglio, dalla Nigeria. Volpi è l’oligarca bianco di un Paese che si affaccia letteralmente su un mare di oro nero, il quinto più popolato del mondo (160 milioni di abitanti), afflitto da povertà, corruzione e dai terroristi di Boko Haram. Del nuovo socio di Carige, della sua straordinaria carriera, si conosce con certezza solo il risultato finale: un gruppo con un giro d’affari di almeno due miliardi di euro.
Si sa che da oltre vent’anni gestisce, su appalto del governo, i quattro principali porti nigeriani, lo snodo del business petrolifero. Partendo da qui, sotto l’ombrello della holding Orlean invest e della controllata Intels, si sono poi sviluppate le più disparate attività di supporto all’estrazione e al trasporto del greggio: tubi, logistica, villaggi per operai e dirigenti. Volpi è così legato alla Nigeria da averne preso la cittadinanza e, cinque anni fa, una commissione d’inchiesta del Senato statunitense ha svelato i suoi intrecci affaristici con Atiku Abubakar, che è stato vicepresidente del Paese africano dal 1999 al 2007 e ancora adesso, dopo svariati cambi di fronte, resta un uomo di grande potere al seguito del neoeletto presidente Muhammadu Buhari. Per ammissione dei diretti interessati, si sa soltanto che Abubakar è stato a lungo socio dell’imprenditore venuto dall’Italia.
Non è chiaro se i due sodali viaggino ancora d’amore e d’accordo. A questa domanda, come a tutte le altre che “l’Espresso” gli ha rivolto, Volpi non ha voluto rispondere. E d’altra parte non c’è neppure un bilancio ufficiale a cui fare riferimento. L’impero di uno degli uomini più ricchi d’Italia è avvolto in una trama complicatissima di società con base nei più disparati paradisi fiscali. Si contano decine e decine di sigle registrate in oasi offshore come Panama, British Virgin Islands, Bahamas, Isola di Man, Lussemburgo, Liechtenstein. Oltre naturalmente alla Nigeria, un Paese classificato come “non cooperativo” dalle organizzazioni internazionali che si occupano del contrasto al riciclaggio e all’evasione fiscale.
Per capire quali sono le logiche che governano un simile intreccio può essere utile concentrarsi sulla figura di Francesco Cuzzocrea, un finanziere svizzero di 54 anni dal lungo e variegato curriculum, dagli esordi alla sede milanese della banca d’affari Lehman, fino alla Albion di Lugano, specializzata nella gestione di grandi patrimoni.
Cuzzocrea, approdato tempo fa alla corte di Volpi, è il crocevia di molteplici operazioni che riconducono all’uomo d’affari italo-nigeriano. È lui l’amministratore della Lonestar sa, la società di Panama a cui è intestato il 2 per cento di Carige rastrellato in Borsa dal nuovo socio. Una quota che potrebbe presto aumentare ancora e inserirsi nelle manovre per il controllo dell’istituto genovese, che cerca il rilancio sotto la guida di Vittorio Malacalza, primo azionista con il 15 per cento del capitale.
I giochi si decideranno nelle prossime settimane. Intanto, però, la stessa Lonestar si è comprata un posto in prima fila in vista dello sbarco in Borsa di Eataly, la creatura di Oscar Farinetti. La società panamense fa parte della pattuglia di azionisti che hanno rilevato, tutti insieme, il 20 per cento del marchio del cibo gourmet.
Un’operazione simile è andata in scena senza pubblicità un paio di anni fa. Quella volta Lonestar aveva puntato su Moncler, la griffe dei piumini che è approdata sul listino azionario a fine 2013. Lo schema è lo stesso dell’affare Eataly: un pool di soci ha affiancato il capoazienda Remo Ruffini. In cabina di regia troviamo sempre lui, Cuzzocrea. Con i soldi di Volpi, naturalmente. quella condanna per bancarotta Il professionista svizzero è di casa anche in Nigeria. Il suo nome figura tra i directors del gruppo petrolifero Oando, con cui l’imprenditore italiano ha da poco siglato un accordo. Mentre la banca Heritage di Lagos, sempre nel Paese africano, gli ha aperto le porte del consiglio di amministrazione. Di preferenza, però, il gestore dei fondi Albion viaggia offshore.
Il registro pubblico di Panama lo segnala tra gli amministratori di dozzine di finanziarie locali. E seguendone le tracce si arriva anche in Lussemburgo, alle holding Rochester e Recina, che tirano le fila di una serie di progetti immobiliari di Volpi in Liguria. Il nuovo porto di Santa Margherita, centro sportivo e hotel a Recco, resort turistici a Rapallo, dove in settembre si è fatto vedere anche Flavio Briatore per un ben pubblicizzato incontro con il magnate ligure emigrato in Nigeria. Entrambi sarebbero pronti a investire nella riviera di Levante. Tutto sulla carta, per ora. Tra annunci mirabolanti e proteste degli ambientalisti, preoccupati per il cemento in arrivo.
Volpi tira diritto. Per conquistare consensi e protezione politica usa lo sport. Ex giocatore di pallanuoto, ha comprato la Pro Recco, la squadra più titolata d’Italia, che ha appena vinto il suo scudetto numero 29. Lo Spezia Calcio, rilevato nel 2008 quando arrancava in serie D, quest’anno ha sfiorato la promozione in A. Il club è diventato il salotto dei poteri forti della città. Con l’incarico di vicepresidente è stato tra gli altri arruolato anche l’avvocato Andrea Corradino, presidente della Cassa di La Spezia (gruppo Crédit Agricole) nonché legale di fiducia di Raffaella Paita, candidata Pd alla presidenza della Liguria, anche lei spezzina. Dicono che Volpi abbia nel mirino la Sampdoria di Massimo Ferrero ma lui ha sempre negato.
I successi sportivi sono utilissimi per finire sui giornali e costruire l’immagine dell’emigrato di ritorno che spende nella sua terra una parte della fortuna accumulata all’estero. Volpi, di solito molto discreto, si concede volentieri alla stampa per raccontare questa parte della sua storia personale. All’occorrenza non disdegna neppure colpi pubblicitari di altro tipo. Come quando, l’estate scorsa, prestò il suo yacht “Gi.Vi.” al fuoriclasse Leo Messi, arruolato anche, con tanto di tessera personalizzata, tra i soci sostenitori della Pro Recco.
Il patron dello Spezia calcio diventa molto meno loquace quando il discorso cade sui suoi esordi di imprenditore. La versione ufficiale consegnata ai cronisti narra delle sue umili origini, del primo impiego da operaio, della passione per la pallanuoto. La svolta arriva nel 1976 quando Volpi viene assunto dal suo concittadino e coetaneo Gian Angelo Perrucci, che aveva già fatto fortuna con le navi della sua Medafrica.
La storia ufficiale però omette un particolare, un particolare importante. Nel 1984 la Medafrica fallisce. Un crack da 50 miliardi di lire dell’epoca che costò il posto di lavoro a circa 200 dipendenti tra amministrativi e marittimi. Perrucci va a processo per bancarotta e nel 1991 patteggia una condanna a quattro anni e otto mesi di reclusione, di cui quattro anni condonati. Nella lista degli imputati c’era anche Volpi, che riuscì a cavarsela con un patteggiamento a tre anni, tutti condonati.
Lo stop in Tribunale non ostacola la carriera dei due soci e amici. Entrambi sono di casa in Nigeria e sanno dove bussare per moltiplicare i guadagni. Perrucci, dice chi lo conosce, ora fa vita da pensionato a Sori, alle porte di Genova. Sarà, ma fino a pochi anni fa l’ex patron di Medafrica compariva ancora nel consiglio di alcune società offshore della galassia di Volpi. Il quale negli anni Ottanta aveva già spiccato il volo. La sua Intels, nel 1985, ha ottenuto la concessione del porto di Onne, sul delta del Niger. All’epoca il futuro socio Abubakar era vice-direttore del servizio doganale nigeriano. Intels resterà padrona assoluta della zona almeno fino al 2031, scadenza che vale anche per gli scali di Warry e Calabar.
Con quattro porti in gestione (c’è anche quello di Lagos) il patron dello Spezia è diventato il dominus della logistica in un Paese che esporta via nave quasi tutto il suo petrolio. La gallina dalle uova d’oro è proprio Onne, il più grande porto franco al mondo. In altre parole le majors petrolifere, Eni compresa, non pagano imposte e, se la società è di diritto straniero, può riportare in patria i profitti senza versare tasse in Nigeria. Un paradiso fiscale gestito da Volpi. Che non si accontenta. Vuole realizzare un aeroporto internazionale a Lekki, poco distante da Lagos. Ma è sull’immobiliare che ha puntato forte. O meglio: sulla realizzazione e gestione dei compound dove vivono gli espatriati che lavorano in Nigeria. Vere e proprie cittadine con supermercati, ristoranti, piscine, scuole, eliporti.
Il business dei fortini per bianchi sembra andare a gonfie vele. Dopo Onne, Port Harcourt e Wanni, la Intels ha infatti in programma di costruire oltre un migliaio di appartamenti a Lagos e ad Abuja, la capitale della Nigeria. C’è poi l’attività industriale, che significa produzione di tubi per il settore petrolifero, servizi marittimi, costruzione di navi, ma anche sistemi di aria condizionata, trattamento delle acque e riciclo di batterie elettriche. La prossima macchina da soldi nigeriana potrebbe invece essere Badagry, al confine con il Benin: lì Volpi vuole costruire “il più grande porto dell’Africa”. Un progetto «da 3 miliardi di dollari», ha detto l’imprenditore, che per l’occasione si è messo in società, tra gli altri, con l’armatore Gianluigi Aponte e la Oando, una multinazionale petrolifera africana.
I rapporti tra Volpi e la Oando sembrano strettissimi. Non per niente, come detto, nel consiglio d’amministrazione siede il fiduciario Cuzzocrea. A lavorare per Volpi è soprattutto personale africano ma nei ruoli chiave i nomi sono quasi sempre italiani. A parte i figli Matteo e Simone, rispettivamente capo delle relazioni con i governi e direttore generale della Orlean Invest, il manager più importante è Andrea Carollo, bocconiano arrivato in Africa quasi dieci anni fa dopo aver lavorato alla Safilo.
L’Angola è l’altro forziere di idrocarburi dove il “Signor Volpi”, come lo chiamano i suoi dipendenti, negli anni ’90 è riuscito a ottenere la gestione di una parte del porto di Luanda, la capitale. L’azienda in questione si chiama Sonils, una joint venture fra la Intels e la società di Stato Sonangol. L’unico dato economico sugli affari angolani lo offre la rivista “Universo”, pubblicata dalla stessa Sonangol: il fatturato della Sonils in Angola è di 400 milioni di dollari all’anno, si legge. Obiettivo croazia Repubblica Democratica del Congo, Costa d’Avorio, Guinea Equatoriale, Gabon, São Tomé e Príncipe. In questi Paesi africani Intels è attiva da anni.
Più recente è lo sbarco in Mozambico, una delle nazioni più promettenti del Continente a livello economico. Proprio qui l’Eni ha scoperto un enorme bacino di gas, nelle acque dell’Oceano Indiano. E Volpi ci si è buttato a capofitto. Nel 2014 ha ottenuto dal governo locale la licenza per una piattaforma logistica nel porto di Pemba, dove il metano verrà liquefatto prima di essere esportato. Un colpo realizzato senza gara d’appalto: d’altronde, spiegano le autorità mozambicane, lo scalo dev’essere pronto nel 2016, quindi meglio affidare i lavori per via diretta per risparmiare tempo.
Tornando in Europa, risulta più complicato capire i motivi che hanno spinto Volpi fino in Croazia. Affari di calcio,da principio. Nel 2012 il gran capo di Intels ha comprato il Rijeka (la vecchia Fiume), squadra all’epoca sull’orlo del crack. Il nuovo patron dice di aver investito non più di sette milioni. Sarà un caso, ma nell’agosto del 2014, alla posa della prima pietra nel porto mozambicano di Pemba, tra gli invitati c’era pure Ivan Vrdoljak, ministro dell’Economia della Croazia.
Che c’entra il governo di Zagabria con il Mozambico? C’entra, perché il Paese affacciato sul Mar Adriatico ha da poco deciso di aprire i suoi fondali alle trivelle, proprio come l’ex colonia lusitana. E Volpi vede a portata di mano una nuova occasione per far soldi. Il 20 dicembre del 2014, una delegazione della Orlean Invest si è presentata al porto di Ploce, che i croati vorrebbero trasformare nel «centro regionale della logistica».
Il progetto adriatico presenta una caratteristica comune ai successi di Volpi nel Continente nero. Lo spiegano le autorità di Zagabria sul catalogo distribuito ai potenziali investitori, dove si legge che lo scalo di Ploce sorge su un’area che «gode del regime di free zone». Insomma niente tasse, come in Nigeria. Sarebbe l’ennesimo paradiso fiscale per Volpi, questa volta nel cuore d’Europa. Un vantaggio che, evidentemente, vale i sette milioni sborsati per comprare il Rijeka.