Cocaina e pestaggi. Usura e tesori nascosti. Legami ?con la ’ndrangheta e affari con la camorra. Controllo ?del territorio e segreto assoluto sulle gerarchie interne. ?Altro che folklore: è una cosca potentissima e violenta. ?E anche il funerale-show di agosto rientra in una strategia 

Funerali Casamonica
Sono arrivati a Roma nei primi anni Sessanta. Avevano le roulotte e la fame. In cinquant’anni i Casamonica si sono presi la capitale, hanno stretto rapporti con ’ndrangheta e camorra. Si sono arricchiti con il sacco edilizio, il traffico di autoveicoli e la coca.

Hanno prestato la loro violenza e la loro ambizione inarrestabile alla classe dirigente di una città perennemente in vendita e Roma ha ricambiato offrendo consigliori e protezioni di prim’ordine nella politica, nei tribunali, fra gli imprenditori.

Si sono difesi dai processi con il minimo del danno e la politica del basso profilo. Eppure fin dagli anni Ottanta erano il braccio violento della legge di Enrico Nicoletti, cassiere della Banda della Magliana e dei potenti tangentari andreottiani della capitale. Usuraio e banchiere non autorizzato attraverso la Cassa di Rieti, Nicoletti era amico fraterno del padrino Vittorio, celebrato da un funerale sfarzoso il 20 agosto.
Chi non restituiva per tempo capitali e interessi sapeva che se la sarebbe vista con i Casamonica e con i loro parenti, i Di Silvio, gli Spada, i Di Rocco, i Bevilacqua, gli Spinelli, i De Rosa, abituati a praticare la nobile arte della boxe nella doppia versione della sfida sportiva sul ring e del pestaggio.
Nonostante rapporti ad altissimo livello, Nicoletti è stato incarcerato una volta ancora nel novembre 2013, a 75 anni. Vittorio è morto nel suo letto.

Durante la sua reggenza, la famiglia ha prosperato senza conoscere crisi. I Casamonica hanno costruito ville e comprato case in tutta la metà orientale della città fino ai Castelli romani. Hanno aperto conti correnti nelle banche di Monaco e di San Marino. Hanno condotto una politica matrimoniale destinata in modo scientifico a rafforzare la coesione interna. Sulle amanti si può chiudere un occhio. Sui fidanzamenti sbagliati no, come sa Angelina Casamonica, dissuasa a raffiche di mitra contro le pareti della sua villa della Romanina, mentre era agli arresti domiciliari per droga nel luglio 2013.

Ha funzionato: tante inchieste, nessun pentito e nessun estraneo che sappia davvero come funziona il governo del clan, accreditato dagli investigatori di un reddito annuo di 40 milioni di euro per un migliaio di affiliati. Già districarsi fra omonimie e parentele è un’impresa.
Secondo alcuni, la macchina da soldi e - non va dimenticato - da voti è amministrata da un direttorio composto da elementi di varie generazioni.
Secondo altri, il delfino di Vittorio è suo nipote Consiglio, classe 1968, figlio dei due cugini Quirino e Adelaide Casamonica, ufficialmente venditore di auto come il patriarca defunto. Consiglio è l’uomo che ha messo nei guai il suo pubblico accusatore, il magistrato Roberto Staffa, con una mossa degna di Tony Soprano: gli ha mandato l’amante a palazzo di giustizia. Sesso in cambio di scarcerazione. Staffa ha accettato, è stato filmato dai carabinieri ed è finito in galera. La sua rovina è stata anche quella del processo partito dalla retata storica del 24 gennaio 2012 e finito a pezzi prima nell’appello del febbraio 2014, che ha rimesso in libertà Consiglio e Quirino Casamonica, e poi in Cassazione lo scorso 21 maggio.

Per adesso non ci sono inchieste per associazione a delinquere di stampo mafioso. Gli avvocati difensori hanno avuto buon gioco a sostenere che «non si può essere condannati solo per il proprio cognome» e che la responsabilità penale è dell’individuo, non della tribù. Eppure il funerale di Vittorio dimostra che la forza dei Casamonica è nel clan, nel bene e nel male.
Fra i tanti filmati messi in rete dalla stessa famiglia ce n’è uno di cinque anni fa che racconta meglio di tutto il significato di essere un Casamonica. È la serenata di corteggiamento organizzata da Victor, recordman di audience a “Porta a porta” insieme alla zia Vera e nipote del patriarca Vittorio. Centinaia di persone seguono in macchina il ragazzo fino alla casa dell’amata, tra gli svincoli del Raccordo anulare, nella notte della periferia romana, con neomelodico napoletano al seguito. Le donne sono numerose quanto gli uomini e non perché l’occasione sia festiva. Sono lì, alla pari degli uomini, anche quando c’è da andare in galera o da vigilare sul loro territorio, inaccessibile come certe favelas brasiliane.
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IL ROMANTICISMO FASULLO
Come la ’ndrangheta, gli ex nomadi arrivati dal Molise, dall’Abruzzo, dalla Calabria e dalla Puglia, hanno inserito i valori premoderni della tradizione rom e sinti (onore, omertà, solidarietà) in una modernità fatta di investimenti offshore, scudi fiscali, abusivismo edilizio e misure di protezione patrimoniale a livelli di sofisticazione estrema.

Nell’iconografia ufficiale rimangono i bagni con i rubinetti d’oro, i saloni con i capitelli ionici, le facciate dipinte in rosso pompeiano, i giardini con palme e piscina, i completi da cerimonia in satin, i matrimoni pacchiani, le donne con gli orecchini fino alle spalle e le gonne fino ai piedi. È una falsa immagine di delinquenza di medio cabotaggio che si tiene lontana dalle armi e dagli omicidi.
Si è scritto che i Casamonica si astengono dalle armi da fuoco per tradizionalismo e che si servono di personale extracomunitario per il law-enforcement indispensabile in un ramo d’affari come la droga, dove ogni tanto è tristemente necessario sparare a qualcuno.
Si potrebbe notare che non c’è differenza, sul piano della legge, fra chi esegue e il mandante. Ma il romanticismo banditesco è svanito da tempo, se mai c’è stato. È propaganda.

Ecco un esempio. Roma, quattro anni fa. La zona è Fonte Nuova, sempre nel quadrante est ma più a nord dei fortini del clan all’Anagnina, al Quadraro e alla Romanina. Leonardo Bevilacqua detto Carmine, “zingaro di Colleverde di Guidonia”, ha uno screzio con un buttafuori albanese pregiudicato all’entrata di uno dei locali che ospitano slot machines, altro ramo di business sotto controllo della famiglia. L’albanese non comprende chi ha davanti e gli manca di rispetto. Due mesi dopo Carmine si presenta per avere le scuse. Nuova lite, ma stavolta Bevilacqua torna in pochi minuti e spara quattro colpi all’albanese, che si salva grazie a un intervento di urgenza. Qualcuno ha portato a Bevilacqua una Beretta rubata nel bresciano sette anni prima e qualcuno l’ha presa in consegna dopo il delitto. È la prova di un controllo completo del territorio: a casa propria è superfluo circolare armati. Se bisogna dare una lezione a qualcuno, in pochi minuti la pistola arriva. In pochi minuti sparisce.
Al processo di primo grado, due anni fa, Bevilacqua si presenta con la confessione del delitto - non voleva uccidere - e un assegno non trasferibile da 10 mila euro intestato all’albanese, che nel frattempo è stato arrestato per altri reati. L’albanese, terrorizzato, in un primo tempo non vuole saperne di ricevere l’offerta per paura di ulteriori danni. Poi comprende che, se accetta, all’imputato saranno concesse le attenuanti. «Chissà se l’assegno l’ha incassato», commenta chi ha lavorato al caso.


IL SENSO DI QUEL FUNERALE
Il caso Bevilacqua è di quelli che finiscono con rilievo minimo sui giornali dove per decenni i Casamonica hanno evitato con cura di comparire.
Tutto cambia con il colpo di teatro del 20 agosto scorso. Nella chiesa di San Giovanni Bosco al Tuscolano si celebra il funerale di Vittorio Casamonica, 65 anni, arrivato a Roma da Venafro, Molise, quando era ancora un bambino. È la scena madre di un coming out mediatico programmato nei minimi particolari.
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Il manifesto con la foto di Vittorio benedicente, di bianco vestito e con un enorme crocifisso sul petto, non ha bisogno di interpretazioni nella città del papa. Ma i Casamonica sono cattolici rispettosi e l’ipotesi di blasfemia è subito fugata dalla scritta “Re di Roma” che campeggia sull’immagine del defunto. Il messaggio è diretto a eventuali usurpatori di titolo e ai rappresentanti dello Stato, presi di sorpresa dalle esequie trionfali del capoclan.
Il manifesto sembra dire: se Massimo Carminati e Salvatore Buzzi sono mafia capitale, noi siamo la monarchia della città eterna. E di re, a Roma, ce n’è uno alla volta.
Dopo la sparata il tiro è stato corretto verso il basso. Prima c’è stato lo show di Vera e Victor Casamonica, figlia e nipote del morto, da Bruno Vespa a “Porta a Porta”. Il loro successo di pubblico ha premiato l’aspetto folkloristico che i Casamonica usano per sminuire la loro dimensione.
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La tappa seguente del road-show a beneficio della stampa si è tenuta nei quartieri orientali della capitale dove i Casamonica dettano legge.
Luciano Casamonica, 58 anni, si è messo a disposizione dei cronisti per rettificare, correggere, smentire in svariate videointerviste, come sa fare un bravo capufficio stampa. È il cugino omonimo del Casamonica nato nel 1968, con precedenti per omicidio, rapina e furto, che trattava la gestione del campo nomadi di Castel Romano con la banda di Carminati e che è apparso nelle foto con Buzzi e l’allora sindaco Gianni Alemanno alla cena del centro accoglienza Baobab (settembre 2010).
Alemanno Casamonica

Mafia? La mafia a Roma non esiste, ha detto Luciano che ha un passato nel cinema. Da bambino ha recitato con Tomas Milian e il grande Orson Welles nello spaghetti western “Tepepa” (1969). Con i cronisti si è mostrato sempre affabile, sorridente, pronto a chiarire eventuali equivoci. Nella sua versione dei fatti, i Casamonica non hanno a che fare con la droga e Vittorio «qualche pecca, qualche truffa l’ha avuta, ma ha aiutato la gente, faceva beneficenza a chi non aveva qualche soldino».
Ecco la figura dell’uomo di consenso, dell’uomo di pace, del padrino sempre pronto ad aiutare i bisognosi.
Sono toni molto diversi da quelli che altri Casamonica hanno usato contro i cronisti della Rai, aggrediti per avere tentato di entrare nelle zone di massima vigilanza quattro giorni dopo il funerale. Il 31 agosto, Vincenzo e Loredana Spinelli sono stati condannati per direttissima a due anni e quattro mesi con la risposta fulminea che lo Stato sa dare solo quando è in ritardo di decenni.

Adesso la pressione aumenterà e i Casamonica lo sanno. Se hanno scelto la sfida, vuol dire che si sentono pronti. Sono nati pronti. Da quando il tredicenne Vittorio Casamonica si è trasferito a Roma per vendere motorini trovati un po’ qui un po’ là, così da regalarsi la prima Ferrari a diciassette anni, i Casamonica e i clan consanguinei sfidano la giustizia.

Non vincono sempre ma vincono spesso. Lo stesso Vittorio è passato indenne per i suoi 65 anni di vita da un’infinità di processi che lo dipingono in modo assai diverso dall’agiografia propagata il 20 agosto. Nel suo curriculum non ci sono soltanto le pecche e i processi per reati contro il patrimonio come la truffa con assegni scoperti - un classico nel modus operandi del clan - per comprare una Ferrari nel 2007 (otto anni per arrivare a un appello che non si terrà per decesso dell’imputato).
Sedici anni fa in Abruzzo Vittorio Casamonica e Angiolina Di Rocco, erano stati processati per un prestito (360 per cento di interessi annui) a due donne che volevano comprare una casa. Quando i soldi non erano rientrati, erano arrivate le minacce di incendiare la casa e di scannare il figlio di una delle vittime. I giudici hanno assolto Vittorio e Angiolina nel 2003 derubricando l’estorsione in esercizio arbitrario delle proprie ragioni, non perseguibile per difetto di querela. Insussistente l’usura.

ASSEGNI E TERRENI
Angiolina Di Rocco, nata nel 1941, è ancora oggi proprietaria della villa in via Rocca Bernarda all’Anagnina dove c’è la sede legale della Service Car del “re di Roma” Vittorio. Da lì è partito il suo corteo funebre. L’edificio di via Rocca Bernarda è sul confine fra il comune di Roma e il Comune di Frascati, che risulta comproprietario del terreno. Qualche civico più in là, il municipio dei Castelli è partner di Anna Di Silvio, moglie di Giuseppe Casamonica, 65 anni e circa 3 milioni di euro depositati sui conti di famiglia presso la Société Générale Bank & Trust a Montecarlo, prima che il magistrato antimafia Lucia Lotti sequestrasse tutto nel 2004.

La zona di via del Quadraro, dove la polizia fatica a entrare, è in parte di proprietà del demanio delle Ferrovie dello Stato, con i Casamonica che hanno i diritti di superficie, secondo lo schema seguito da alcune squadre di calcio di serie A per realizzare i nuovi stadi.
Il repertorio di astuzie prosegue con l’intestazione di immobili a minorenni come Giuseppe Casamonica, nato nel 2001 e già proprietario della villa di via Flavia Demetria. Da segnalare che per queste operazioni è necessario non soltanto il consiglio di un buon avvocato ma anche il permesso del tribunale dei minori. Anche le srl semplificate, introdotte di recente per favorire l’imprenditoria giovanile, figurano fra gli asset di famiglia dato che possono essere aperte con un capitale sociale simbolico (1 euro).
Poi ci sono i vecchi ferri del mestiere, assegni postdatati e scoperti come quelli che figurano nel palmarès di Vera, la star di “Porta a porta”.
Servono per non pagare. Chi si lamenta finisce come il marmista iraniano Mehdi Dehnavi, picchiato a sangue. E solo pochi coraggiosi, come Dehnavi, denunciano. Gli assegni a vuoto servono anche come prova di difficoltà finanziarie per scongiurare le centinaia di sequestri che hanno danneggiato il clan senza incrinarne la potenza economica.
I Casamonica sanno rispondere colpo su colpo ai provvedimenti dei tribunali. Il progetto Selve Nuove a Ciampino si è fermato solo per l’arresto di Guido per estorsione nell’indagine Tulipano del procuratore aggiunto di Roma, Michele Prestipino. Ma ad Ardea, sul litorale romano, la famiglia ha conservato il controllo delle villette costruite in via Terni (quartiere Nuova Florida) da impresari legati alla ’ndrangheta mentre, nella stessa strada, la villa di Nicoletti è stata confiscata.

LITI DI FAMIGLIE
Non tutto scorre sempre bene nei rapporti fra il clan degli zingari e le organizzazioni criminali più strutturate.

Luciano, il capufficio stampa della famiglia, può testimoniarlo. Nel 2004 è stato arrestato per traffico di stupefacenti dalla Dda di Catanzaro insieme a un gruppo di esponenti delle ’ndrine vibonesi (operazione Replay). Aveva preso cocaina in conto vendita e non riusciva a restituire i soldi ai soci delle cosche. Le intercettazioni descrivono la lunga trattativa per il recupero del credito, fra promesse e scambi di minacce, con i calabresi che nei confronti di Luciano passano dal titolo onorifico di compare a quello di “zingaro di merda”, secondo le fasi della trattativa. Anche gli ’ndranghetisti esitano sui provvedimenti da prendere contro il debitore in un misto di superstizione («i familiari di Luciano non fanno le fatture ma le tolgono») e di timore verso un personaggio “pluripregiudicato per gravi reati” che la polizia ammette di non potere controllare nella sua casa-fortezza in via del Quadraro vigilata da esponenti della famiglia. Luciano se la cava una prima volta ma non la seconda, quando i suoi pagamenti ritardati alla ‘ndrangheta gli procurano un sequestro lampo in Calabria finché uno dei figli non riesce a saldare.

Giuseppe Casamonica junior, re dei locali notturni e fratello del Luciano che lavorava per Buzzi, ha rischiato di essere ucciso dai camorristi Michele Senese e Domenico Pagnozzi, due ex soldati di Carmine Alfieri, per questioni legate ai servizi di sorveglianza delle discoteche, un’altra chiave del controllo del territorio e dello spaccio.
Noto per il suo train de vie da emiro e per il suo flirt con Tamara Pisnoli, ex moglie del calciatore Daniele De Rossi, Giuseppe si è salvato soltanto grazie agli arresti: il suo nel 2012 e quello dei suoi nemici per l’operazione Tulipano, dal nome del bar di via del Boschetto a Monti, nel centro della capitale, sequestrato a febbraio 2015. Al Tulipano si tenevano le riunioni del gruppo. Pochi metri più in là c’è la sorvegliatissima casa del presidente Giorgio Napolitano. Altrettanto sorvegliata, ma dagli stessi Casamonica, è la casa di Giuseppe, un nucleo di villette blindate in vicolo di Porta Furba al Tuscolano. Lì, a pochi passi da un’altra residenza del patriarca Vittorio in via del Mandrione, vive un altro degli anziani a capo della famiglia. È Guerrino, 69 anni, padre di Giuseppe ed ex consigliere della coop di pulizie Phralipé (“fraternità” in lingua romanès).
Nonostante questi incidenti di percorso, le relazioni con il grande crimine restano buone e il lavoro di squadra funziona. I Casamonica hanno legami con i casalesi, soprattutto in Ciociaria, e con il gotha della ’ndrangheta, dal clan Pelle-Nirta di San Luca ai Piromalli-Alvaro.
Un filmato mostra il patriarca Vittorio mentre si abbandona alla sua passione canora nel Café de Paris di via Veneto, sotto lo sguardo attonito dei clienti che non riconoscono il crooner. Sono i giorni precedenti il sequestro del locale per un presunto controllo da parte del clan Alvaro smentito dalla corte d’appello di Reggio Calabria nel maggio 2015.
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Sono buoni anche i rapporti con le cosche del cosentino, dove la famiglia romana voleva investire in società con l’imprenditore Pasquale Capano, mafio-massone legato al clan Muto, e arrestato a gennaio 2014.
Certo, anche fra Casamonica si litiga. È accaduto un anno e mezzo fa ad Albano Laziale, quando la polizia ha sedato una maxirissa con tentato omicidio fra una sessantina di parenti membri di fazioni rivali.
Succede nelle migliori famiglie.