È l'uomo dietro il rilancio di Ducati, entrato nei capitali di Gardaland, Chicco, Permasteelisa. E oggi con altri investitori è in Snaitech, colosso del gioco legalizzato tra Superenalotto e slot. I documenti mostrano come riesce a pagare meno imposte
Speciale Chi sono gli italiani con il conto offshore Tre trust in un paese offshore. Che controllano la società al vertice di un impero economico, con molte aziende famose in Italia e all’estero. Tre tesorerie estere create nella massima riservatezza da una delle famiglie più ricche e blasonate della finanza milanese.
La famiglia Bonomi.
Oggi il numero uno del gruppo è Andrea Bonomi Campanini, nato il 25 marzo 1965 a New York, esordi nella finanza alla Lazard. Quando un’azienda è in crisi, arriva lui, con il suo fondo d’investimento con base in Lussemburgo. E interessi in società di mezzo mondo. In Italia ha riacceso il motore, quasi spento, della
Ducati. Ha acquisito la maggioranza di
Artsana, con i marchi Chicco e Prenatal. Il suo fondo Investindustrial ha gestito alcune delle più importanti operazioni di acquisto, riassetto e rivendita di grandi società, come Permasteelisa (acciaio), Gardaland, Castaldi (lampade). Oggi controlla fabbriche chimiche (Polynt-Reichhold), il design di B&B Italia e soprattutto, con altri investitori, il colosso
Snaitech, che domina il settore del gioco d’azzardo legale, con superenalotto, scommesse ippiche, 40 mila new slot e la proprietà dell’ippodromo di San Siro. Qualche volta ha fallito. Nel 2016 ha mancato la conquista della Banca Popolare di Milano. E ha perso la sfida contro Urbano Cairo per il Corriere della Sera.
In cima all’intero gruppo Bonomi c’è una
società lussemburghese, BI-Invest Holding SA. Le autorità italiane, dall’Antitrust ai Monopoli di Stato, hanno ricostruito la catena di controllo del gruppo risalendo fino alla stessa holding e fermandosi lì. I
Paradise Papers ora rivelano che sopra la lussemburghese ci sono tre strutture: si chiamano The George Trust, The Budda Trust, The 1987 Settlement Trust e hanno sede nell’isola di Jersey.
I tre trust risultano costituiti da Carlo Campanini Bonomi, padre di Andrea, proprio nel 1987. I beneficiari sono i nipoti, oggi saliti a otto, alcuni minorenni, che vivono tra Spagna, Svizzera e Gran Bretagna.
I trust controllano la cassaforte lussemburghese attraverso altre società: Grovesnor Street Holdings Sa, De Combinatae NV, Zafrikidis Oil & Ship Ltd. Finora s’ignorava l’importanza e la stessa esistenza di queste strutture societarie riservate. La legge sul gioco legale impone ai concessionari di dichiarare «tutti i soggetti controllanti». Ma l’ipotesi dei trust non è prevista dalle norme italiane.
La buccia di banana su cui sono scivolati i segreti di famiglia è un
finanziamento bancario per l’acquisto di un jet. Lo studio Appleby è specializzato in aerei: registrandoli all’isola di Man, evita di far pagare l’Iva. Deve trattarsi però di un jet aziendale, non personale. C’è un altro problema: la banca vuole accertarsi che dietro la neonata società di Man ci sia un patrimonio non sospetto. E così, nel gennaio 2016, il manager Rohan Maxwell del gruppo Bonomi racconta tutto sui tre trust, specificando che «
valgono 218 milioni di dollari». Proprio perché «controllano BI-Invest Holding, anche se non hanno ancora riscosso i loro utili, per ora non distribuiti dalla società».
L’aereo è destinato a una società aerea svizzera di Bonomi, Ifimi Sa. È un Dassault Falcon 900DX da 13,5 milioni di dollari. A venderlo è un’altra società elvetica, Japat Sa.
Far passare l’aereo dall’isola di Man, però, permette di risparmiare l’Iva: il 20 per cento, ovvero 2,7 milioni. Appleby assicura che è tutto legale: lo certificano i consulenti di Ernst & Young, gli stessi che hanno suggerito questo schema a molti altri vip, come il pilota Lewis Hamilton. Sono gli stessi professionisti a quantificare il vantaggio fiscale: «zero imposte anziché 20 per cento».
Interpellato da L’Espresso e Report, Andrea Bonomi ha risposto con una lettera dettagliata. Dove premette di essere «solo cittadino americano e svizzero», per cui non ha obblighi fiscali in Italia. Conferma che i trust e le società collegate controllano la holding lussemburghese, «ora denominata Investindustrial Sa». Precisa che il padre scelse Jersey «quando si ritirò a Londra dopo la scalata ostile del 1985 alla sua BI-Invest». E dice che «non vi è alcuna ragione fiscale nella istituzione dei trust», che «sono vigilati dalle autorità di Jersey». Infine assicura che la società elvetica Ifimi ha pagato le tasse in Svizzera. Tutto in regola, tutto legale, insomma: basta andare in un paradiso fiscale.