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Tutti i guai di Roberto Maroni, il leghista che voleva fare il premier

Il governatore sogna in grande, ma a frenarlo arrivano le inchieste. A iniziare da quella sull’agenzia lombarda a cui ha affidato la riscossione delle tasse e che ora è indagata per truffa, peculato e falso in bilancio

Le ultime parole famose portano la data del 12 settembre 2016. «Oggi la Regione Lombardia ha licenziato Equitalia», scrisse su Twitter il governatore Roberto Maroni. Con tanto di hashtag compiaciuto: "manteniamo le promesse". A dieci mesi da quel solenne annuncio le tasse made in Padania sono già un flop, con la procura di Milano che indaga sulla Duomo Gpa, una delle due aziende private a cui la Regione a guida leghista ha affidato la riscossione delle imposte.

Diego Federico Cassani, maggiore azionista e amministratore unico della società, è infatti indagato per peculato, truffa aggravata e falso in bilancio. Almeno otto milioni sono spariti dai conti. Accusa grave, a maggior ragione per chi maneggia soldi pubblici riscuotendo le tasse.

Il boomerang della società di riscossione finita sotto inchiesta è un grosso guaio per il governatore lombardo e per le sue ambizioni (giusto mercoledì scorso il Foglio lo incoronava futuro leader del centrodestra unito), a pochi giorni da un altro affondo della magistratura: questa volta nel mirino c’è la Pedemontana: l’autostrada che taglia la Brianza collegando la provincia di Varese e quella di Bergamo, simbolo della grandeur d’asfalto in salsa leghista, si è trasformata in un gigantesco buco nero di perdite e debiti.

I guai delle tasse e quelli d’asfalto capitano proprio nel mezzo della campagna per il referendum consultivo sull’autonomia lombarda. Per Maroni, leghista di governo, variante post-democristiana del sovranismo alla Matteo Salvini, le settimane che portano all’appuntamento del 22 ottobre prossimo dovevano trasformarsi in una passerella verso il trionfo. Questo successo, a sua volta, avrebbe aperto nel migliore dei modi la volata verso le amministrative del prossimo anno, con il governatore leghista pronto a ricandidarsi. Una corsa che sembrava scontata, con l’opposizione costretta a rincorrere a grande distanza. Tanto che in vista del voto di ottobre, la gran parte del Pd, con in testa i sindaci di Milano, Giuseppe Sala, e di Bergamo, Giorgio Gori, si era spostata sulle posizioni del governatore per non lasciare solo a lui tutto l’incasso della scontata vittoria referendaria.

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In questa cornice trionfale, l’inchiesta su Duomo Gpa, finora rimasta sottotraccia, con pochi trafiletti sui giornali confinati nella cronaca locale, è quella che potrebbe finire per creare i guai maggiori per Maroni, quanto meno sul piano dell’immagine. Nel 2013 infatti, l’ex ministro dell’Interno dei governi Berlusconi aveva sbancato la lotteria delle elezioni regionali, mitragliando slogan sul fisco. Parole forti. Tipo: «Ai lombardi il 75 per cento delle tasse pagate in Lombardia». Strada facendo, il governatore è dovuto venire a patti con la realtà. A quattro anni di distanza, le promesse restano promesse e buona parte dei tributi padani prendono ancora il volo verso Roma. Equitalia però restava un ottimo bersaglio, un simbolo del fisco rapace da abbattere al più presto.

Detto, fatto. La Regione ha bandito una gara, vinta da Duomo Gpa, associata per l’occasione alla Publiservizi, una ditta di Caserta, con il ruolo, quest’ultima, di capocordata con la quota di maggioranza. Non si può dire che ci fosse una gran concorrenza. L’unica altra offerta è arrivata da Poste Tributi, società pubblica che è finita in liquidazione nel 2016.

Duomo Gpa, però, aveva già i conti in grave crisi: ricavi in calo, debiti oltre il livello di guardia. E adesso dalla magistratura è arrivata un’altra mazzata. Non per niente, il ministero dell’Economia ha già sospeso la Duomo dal registro delle imprese abilitate alla riscossione. La Regione Lombardia, invece, per ora non ha preso provvedimenti. L’istruttoria nasce da una lettera anonima spedita il 25 marzo 2016 alla Guardia di Finanza, ancor prima, quindi, che l’azienda di Cassani vincesse la gara bandita dalla giunta Maroni. Dalle carte sequestrate dalla Guardia di Finanza emerge che il nuovo concessionario lombardo ha accumulato debiti per quasi 20 milioni. Una somma enorme, se si considera che i mezzi propri della società non raggiungono i 7 milioni.

La società fatica a far fronte ai propri impegni. Negli ultimi due anni, i dipendenti, un centinaio in tutto, sono rimasti per mesi senza stipendio, mentre decine di enti pubblici reclamavano le loro entrate. La Duomo Gpa, infatti, incassa i tributi per oltre 800 comuni in Lombardia e Piemonte, fino alle Marche e alla Toscana. Dalle carte dell’inchiesta risulta che già nel 2016 la società era assediata dai decreti ingiuntivi e dalle proteste dei municipi. Nel gennaio 2017 due impiegati, intercettati dalla Guardia di Finanza, si sfogano al telefono accusando la famiglia Cassani di aver «intascato otto milioni di euro»: «Stiamo parlando di debiti nei confronti dell’erario e dei comuni», per cui «se arriva un pm ti porta a San Vittore».

Non solo. La moglie di Cassani, intercettata, spiega a un ragioniere che «la contabilità va ricreata ex novo». Una funzionaria protesta che «per coprire i debiti fanno cose allucinanti, bonifici finti, un sacco di contabili finte». Ad ascoltare simili confidenze, preoccupato, è Ezio Buraschi, che non è indagato, già socio della Duomo: «Fanno il gioco delle tre carte», è il suo commento, «ma così qualcuno va in prigione».

Secondo la Guardia di Finanza almeno 8 milioni sono spariti. Gli ammanchi, ha ricostruito il pm Mauro Clerici, dipendono da «una confusione tra conti pubblici e privati», che è l’effetto di una legge singolare, modificata solo in tempi recenti. Un sistema durato anni, così congegnato: le tasse, che appartengono ai comuni, vengono pagate dai cittadini (coi bollettini postali) su conti di proprietà degli esattori che sono quindi liberi di travasarli altrove. La Duomo, in particolare, ha dirottato le tasse di mezza Italia su un proprio deposito di Milano, chiamato «conto padre», usato per pagare dipendenti e fornitori, versare bonus e benefit ai dirigenti, distribuire utili e premi agli azionisti.

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Tra il 2015 e il 2016 la società sigla con i comuni alcuni «piani di rientro» a rate, ma di fatto usa le entrate di un municipio, accusano i magistrati, per tappare i buchi con un altro. La nuova legge, che intesta i conti delle tasse direttamente ai comuni, interrompe una volta per tutte questa girandola. E a quel punto parte la presunta truffa: la Duomo prepara «finti bonifici» on line, li stampa e li trasmette ai comuni come se fossero veri, ma subito dopo li annulla. I contabili descrivono anche un’altra presunta «tecnica fraudolenta collaudata da anni», che loro stessi chiamano «il sistema Cassani».

Il punto di partenza è che esistono due tipi di contratti di riscossione: con i piccoli comuni la società paga solo un canone fisso, per cui può trattenere tutte le tasse che superino quel minimo garantito; con gli enti più grandi, invece, riceve una percentuale (chiamata aggio) e quindi dovrebbe rimborsare una cifra variabile in base agli incassi. Invece, secondo l’accusa, i soldi dei grandi comuni venivano spostati, con un apposito programma informatico, sui conti dei piccoli. In quel modo la Duomo pagava solo i canoni fissi e incamerava una bella fetta di tasse dei grandi enti: «in media il 10 per cento», secondo i contabili già interrogati.

Il 30 giugno scorso i magistrati hanno ordinato il primo sequestro di otto milioni. Oltre alla società, il decreto ha colpito i tre proprietari, cioè Cassani con la moglie e la sorella, che negli ultimi dieci anni tra stipendi e benefit hanno ricevuto dall’azienda almeno 5 milioni e mezzo. Tra le uscite contestate compaiono tre auto da 70 mila euro ciascuna regalate a parenti, rimborsi benzina per una Jaguar e oltre due milioni di fatture sospette, liquidate a un’altra ditta di famiglia. Nel decreto i magistrati precisano che l’inchiesta continua e potrebbe scoperchiare altri ammanchi: nella sede perquisita mancavano le carte di «più di cento conti bancari».

Interpellato dall’Espresso, l’avvocato Giovanni Maria Soldi, che difende Cassani e i suoi familiari, smentisce qualsiasi truffa o ruberia: «Esiste un debito importante nei confronti dei comuni, ma escludo che ci siano state frodi o appropriazioni indebite». Adesso, in attesa delle prossime mosse della magistratura, c’è il rischio che la Lombardia sia costretta a reclutare un nuovo concessionario per riscuotere le tasse. Dal licenziamento di Equitalia è passato meno di un anno. Chissà se Maroni avrà ancora voglia di parlarne su Twitter.

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