I vantaggi fiscali sono stati enormi. Ma la lista di chi ne ha approfittato è ancora segreta. Dalle carte riservate dell’Unione Europea emerge che nel 2015 l’Italia ha dimezzato le imposte ai grandi gruppi multinazionali. Ecco cosa dicono i documenti riservati analizzati dall'Espresso

Meno tasse per pochi. Con privilegi e favoritismi legali pagati da tutti. Mentre i comuni cittadini sono tartassati da una pressione fiscale aggravata dagli effetti della crisi finanziaria e dei disastri bancari, le grandi aziende multinazionali continuano ad approfittare di leggi di straordinario favore. Che consentono di minimizzare, se non azzerare il peso delle imposte. Non solo grazie ai famosi paradisi fiscali internazionali. Ma anche dentro l’Unione europea. Compresa l’Italia. Che è finita sotto accusa a Bruxelles, senza che i cittadini italiani lo sapessero, a causa di una riforma fiscale varata dal governo Renzi.

Nella Ue i tanti favoritismi a norma di legge che premiano le multinazionali, secondo i dati raccolti dal parlamento europeo, costano ogni anno tra 50 e 70 miliardi di euro: montagne di tasse non pagate dalle aziende più ricche, che vengono scaricate (attraverso altre imposte) sulla massa dei contribuenti più piccoli. A parole tutti i Paesi della Ue hanno più volte annunciato e in parte approvato una serie di misure per combattere questa enorme elusione fiscale, dannosa come l’evasione, ma inattaccabile perché lecita. L’Espresso però ha avuto accesso a carte riservate che mostrano una realtà molto diversa dalle dichiarazioni ufficiali.

A Bruxelles, nei palazzi del potere europeo, si tengono periodiche riunioni tra super-tecnici dell’economia, incaricati di esaminare e risolvere i problemi di ingiustizia fiscale e concorrenza sleale creati dalle diverse leggi nazionali. In questi incontri a porte chiuse i funzionari, delegati dai ministri, prendono di mira le norme con cui un certo Paese, in pratica, cerca di rubare le tasse agli altri.

Sono riunioni riservatissime, sottratte a quelle forme di controllo pubblico che caratterizzano le democrazie. E assomigliano a processi agli Stati. L’organismo tecnico che guida questi controlli si chiama “Gruppo del codice di condotta” e deve valutare se le regole nazionali rispettano i limiti e gli standard fissati dall’Ocse, l’istituzione economica internazionale da cui proviene, tra gli altri, il nostro ministro Piercarlo Padoan. Dopo lo scandalo LuxLeaks - l’inchiesta giornalistica del 2014 che aveva svelato gli enormi vantaggi fiscali concessi dal Lussemburgo a centinaia di multinazionali - autorevoli parlamentari europei hanno chiesto di conoscere i verbali di queste riunioni tecniche, dove si preparano le delibere poi adottate nei vertici ufficiali dei ministri dell’economia (Ecofin). Ma gli appelli alla trasparenza sono rimasti inascoltati: gli atti dei guardiani del fisco europeo restano segreti.
 

Bruxelles leaks
Cosa c’è dentro il Patent box
15/9/2017

Ora L’Espresso ha ottenuto copia, in particolare, di un verbale del “Gruppo”, datato 8 giugno 2017, che documenta come e perché è stata modificata, su pressione della Ue, una legge italiana varata nel 2015 dal governo Renzi. Sotto accusa c’è il cosiddetto “patent box”, che ha dimezzato le tasse, per almeno cinque anni, a decine di multinazionali titolari di brevetti, marchi, formule e sistemi di produzione innovativi. Di per sé è una legge ammessa dall’Ocse, che incentiva gli investimenti in ricerca e sviluppo. Il problema riguarda l’eccessiva ampiezza dei vantaggi fiscali concessi in Italia ad alcune grandi aziende. Il verbale del giugno scorso è scritto in tedesco, con l’intestazione del ministero federale delle Finanze: sono i funzionari di Berlino che raccontano tutto al loro governo, senza reticenze politiche o diplomatiche.

«L’Italia ha modificato nell’aprile 2017 le regole sul patent box», riassumono i tecnici tedeschi, spiegando che, con le nuove norme decise dal governo Gentiloni, «le imprese titolari di (semplici) marchi non ne possono più approfittare a partire dal primo gennaio 2017». Il verbale documenta che la prima legge, varata dal governo Renzi nel dicembre 2014 ed entrata in vigore nel luglio 2015, violava le regole dell’Ocse. Tanto che l’Italia è stata convinta a cambiarla su pressione degli altri Stati dell’Unione europea.

Problema risolto, dunque? No, perché gli stessi funzionari tedeschi aggiungono che, nella riunione del Gruppo europeo, «Germania e Belgio hanno criticato il mancato rispetto delle regole dell’Ocse da parte dell’Italia nel periodo transitorio, compreso tra il primo luglio 2015 e il 31 dicembre 2016». I tagli delle tasse ottenuti in quei diciotto mesi da alcune multinazionali, infatti, sono ormai acquisiti, per cui quelle grandi aziende, sottolinea il verbale, «potranno continuare ad avvantaggiarsi delle norme poi abolite fino al giugno 2021». Conclusione: «L’Italia dovrebbe almeno presentare dati o statistiche, in modo che il Gruppo possa valutare la gravità e l’entità del mancato rispetto delle regole europee».

IL SEGRETO FISCALE
La Germania e i suoi alleati, insomma, vogliono sapere quali big dell’economia sono stati premiati dagli sconti concessi dal governo Renzi. E quante tasse sono destinati a risparmiare nei prossimi cinque anni: milioni o miliardi? Il verbale conferma che i nomi delle multinazionali autorizzate a pagare solo metà delle imposte, in base alle norme italiane poi cancellate, sono sconosciuti ai tecnici europei. Ma anche ai parlamentari che rappresentano i cittadini. Di certo, per ottenere i vantaggi del patent box, le aziende private devono trattare un accordo speciale (in gergo, tax ruling) con l’Agenzia delle Entrate. Dal parlamento europeo era partita subito una richiesta di conoscere «tutti i ruling italiani, con data e nome della società beneficiaria». Ma il governo italiano, nel settembre 2015, ha risposto che «queste informazioni non possono essere rivelate per ragioni di riservatezza». Da allora diverse multinazionali hanno annunciato nei bilanci di aver siglato un accordo fiscale con l’Italia. Ma i contenuti dei ruling restano riservati, per cui neppure i tecnici europei sanno quante tasse sono state condonate e in base a quali norme.

Gli sceriffi di Bruxelles hanno bocciato le norme varate dal governo Renzi accusandole di violare una regole base dell’Ocse: i marchi, che sono nomi e segni distintivi di un’azienda o di un prodotto, non sono equiparabili a brevetti o scoperte di livello scientifico. Quindi il governo Gentiloni, nell’aprile 2017, ha dovuto limitare gli sconti fiscali ai soli redditi collegati a effettive innovazioni produttive.

Anche le nuove norme italiane restano però ancora sotto esame, per la parte che riguarda il “know how”, cioè il taglio delle tasse giustificato con i metodi di lavorazione che caratterizzano una certa azienda. La delibera finale di Bruxelles, scrivono i funzionari tedeschi, «dovrebbe evidenziare che il semplice know how non può trarre profitto dalle leggi italiane, perché questo sarebbe in chiaro contrasto con gli accordi tra Stati stabiliti dall’Ocse».

UN CONTINENTE DI EVASORI
I verbali del Gruppo, per altro, mostrano che il nostro Paese, nelle leggi di favore per le multinazionali, è in buona compagnia. Da più di tre anni sono nel mirino, per svariate norme fiscali, anche Olanda, Belgio, Lussemburgo, Irlanda e altri Stati della Ue, ma i risultati del pressing europeo sono limitati: i Paesi sotto accusa cambiano alcune norme, ma ne inventano altre. Oggi la questione del patent box riguarda anche Francia e Spagna. Che a differenza dell’Italia hanno ignorato la bocciatura europea, giustificandosi con problemi politici. Nella riunione del Gruppo, riassumono infatti i funzionari tedeschi, «la Commissione europea ha presentato una panoramica aggiornata sugli obblighi di abolizione delle leggi nazionali sul patent box. Come evidenziato già alla fine del 2016, la regolamentazione in Francia non corrisponde alle direttive dell’Ocse. Parigi però non intende effettuare alcun adeguamento alle regole europee». La Francia si è giustificata, nella riunione di giugno, spiegando che «si trova in una fase transitoria, dopo le presidenziali e prima delle elezioni del parlamento».

«Anche la Spagna non ancora ha adeguato gli elementi delle leggi fiscali che non sono conformi, sia a livello nazionale che regionale, alle direttive dell’Ocse», annotano i tecnici tedeschi, prima di aggiungere: «La Spagna ha comunicato che ci sarà presto una modifica, facendo presente che a Madrid c’è un governo di minoranza, entrato al potere alla fine del 2016, che ha dovuto dedicarsi prima di tutto al bilancio statale». Di fronte a queste promesse iberiche, «la Germania ha fatto presente che il Gruppo si è dimostrato molto paziente sul patent box spagnolo e ha richiesto informazioni tempestive sullo stato di realizzazione delle modifiche». Ma su questo punto la linea tedesca è rimasta isolata: «La Germania non è stata supportata da nessun altro Stato membro. Solo la Commissione europea si è sforzata di fare pressione sulla Spagna. La decisione finale sulla legge spagnola è quindi ulteriormente rinviata».

Nel documento indirizzato al ministro tedesco dell’economia, i funzionari di Berlino fanno il punto su molti altri temi caldi, come la lotta ai paradisi fiscali internazionali o le zone economiche speciali all’interno della Ue, per concludere che il Gruppo non è ancora riuscito a decidere niente: «La discussione tra gli Stati sulla necessità di limitare la competizione fiscale dannosa ha toccato nuovamente il fondo. Per questo non è possibile dare conto delle manchevolezze fino al livello ministeriale. È evidente che i Paesi sotto accusa non vogliono esporsi e seguono il motto: “Un corvo non toglie l’occhio all’altro”». Un italiano avrebbe scritto: cane non mangia cane. Oppure: un’evasione lava l’altra.

EUROPA A RISCHIO
Di fronte a queste carte riservate di Bruxelles, i parlamentari europei che da anni guidano la battaglia politica contro i favori alle multinazionali sono indignati, ma non sorpresi. «Il fatto che il patent box in Francia, Spagna e Italia non rispetti le già deboli regole dell’Ocse riconferma quanto è grave la questione fiscale nell’Unione europea», commenta Fabio De Masi, europarlamentare tedesco della Sinistra e vicepresidente della commissione d’inchiesta sul riciclaggio, elusione ed evasione, che aggiunge: «L’elusione delle tasse ci costa centinaia di miliardi all’anno. L’unico rimedio è tassare le multinazionali come una sola entità, anziché le singole consociate, con ritenute fiscali obbligatorie per tutti i fondi trasferiti verso paesi a tassazione bassa o nulla».

Secondo Sven Giegold, eurodeputato dei Verdi, «i sistemi di patent box sono un esempio dell’ipocrisia dei Paesi della Ue. Pubblicamente spingono per la lotta contro gli evasori, dietro le quinte, invece, bloccano qualsiasi passo in avanti o creano nuove scappatoie. Il nostro gruppo parlamentare chiede da tempo che vengano resi pubblici i vantaggi fiscali ottenuti con il patent box e che si sappia quali società li ottengono».

Eva Joly, ex magistrato anticorruzione in Francia, oggi europarlamentare dei Verdi, alza il tiro: «I governi dei paesi europei e le commissioni Barroso e Juncker sono responsabili di fronte ai cittadini di aver aumentato la povertà e le disuguaglianze con politiche economiche basate sull’austerità. Ci vuole un’Europa sociale che si faccia carico dei bisogni della gente e delle risorse del pianeta, piuttosto che degli interessi delle aziende private, con un ambizioso piano di investimenti per le energie pulite». Sulla lotta alla grande evasione ed elusione fiscale, però, Eva Joly confida in una «evoluzione positiva»: «Quando ero magistrato, negli anni ’90, l’importanza della lotta contro la corruzione non veniva ancora percepita dall’opinione pubblica. Oggi la corruzione non è scomparsa, ma i cittadini non la sopportano più e questo aiuta le indagini a rendere giustizia. Anche l’evasione fiscale è stata a lungo tollerata e perfino incoraggiata dai governi. Ma ora i cittadini si stanno accorgendo di quanto sia diffusa e dannosa l’ingiustizia fiscale».

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