Sull'onda lunga delle centinaia di commenti da parte dei nostri lettori, abbiamo selezionato le vostre domande più frequenti e abbiamo chiesto alla dottoressa Pier Angela Napoli della ASL Roma 2 di rispondere punto per punto

La salute dei migranti che arrivano nel nostro paese è uno degli esempi oggi più eclatanti di quello che Claire Wardle e Hossein Derakhshan, in un recentissimo rapporto pubblicato dal Consiglio d'Europa, chiamano Information disorder, come termine sostitutivo rispetto all'abusato “Fake News”. Lo è per due ordini di motivi: anzitutto perché l'accoglienza nei confronti dei migranti, è percepita da molti come una minaccia del proprio status quo, generando paura e quindi odio; secondo, perché la medicina, e più in generale la scienza, usa un linguaggio spesso complesso, la cui padronanza richiede anni di studio, dal momento che i fenomeni che spiega sono essi stessi complessi.

La conseguenza in questo caso è che risulta difficile comunicare i dati in maniera efficace, per quanto pubblici e facilmente accessibili e verificabili. Eppure questi dati sulla non-minaccia che i migranti rappresentano per la nostra salute pubblica ci sono e parlano chiaro: primo, i migranti non ci stanno portando malattie infettive. Le persone che sbarcano sono sane, se non qualche episodio di scabbia e poco altro, ma solo molto vulnerabili, specie se finiscono per vivere in condizioni di povertà e di non inclusione sociale. Secondo, il sistema di sorveglianza sanitaria nel nostro paese è solido. Chi sbarca, ma anche chi vive nei centri di accoglienza di diverso tipo, è comunque controllato ed eventualmente curato.

Abbiamo in più di un'occasione (qui) provato a fare il punto, dati alla mano e facendoci aiutare da esperti in salute pubblica che si occupano di salute dei migranti in arrivo e in transito, ma dai commenti che abbiamo ricevuto è evidente che non siamo riusciti a essere sempre efficaci nel raccontare come stanno le cose.
Fermo restando che quello che ci preme è fare informazione, abbiamo dunque deciso di estrapolare le domande più frequenti da parte dei commentatori de L'Espresso e abbiamo chiesto di rispondere in modo chiaro a ognuna di esse a una persona che si occupa ogni giorno di migranti e della loro salute a Roma, la Dottoressa Pier Angela Napoli, Direttore UOC Tutela degli Immigrati e Stranieri della ASL Roma 2.

Perché il personale adibito al loro primo contatto porta scafandri bianchi e maschere da scenario di guerra batteriologica?
In molti casi si tratta di immagini di repertorio trasmesse dai telegiornali senza alcun collegamento con situazioni di effettivo rischio infettivologico.
Per quanto riguarda i migranti che sbarcano, i dati diffusi dalla Marina militare in accordo con i dati della sorveglianza sindromica dell’ISS non hanno registrato situazioni reali di allarme, in quanto risultano assenti casi di gravi patologie infettive trasmissibili.
Ci possono essere situazioni che richiedono l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale da parte degli operatori impegnati in attività di assistenza e soccorso, ma questo rientra tra le normali misure di tutela in ambiente di lavoro previste dalla normativa italiana in presenza di rischi biologici (ai sensi del Decreto 81/2008 e ss.mm.).

Il mio medico di base, il cui ambulatorio è ubicato in un quartiere dove la percentuale di extracomunitari e in particolare africani è altissima, afferma che la maggior parte di questi ultimi non è vaccinata e che da qualche tempo si assiste alla ricomparsa di malattie un tempo da noi debellate. Come la mettete?
Gli stranieri arrivano in Italia sani, perché chi è malato non riesce ad affrontare il viaggio né ha la forza di investire in un progetto migratorio che si nutre essenzialmente di buona salute e attitudine al lavoro. A conferma di ciò, si registra a tutt’oggi una bassissima prevalenza delle patologie infettive di importazione, oltretutto con rischi minimi di trasmissione alla popolazione ospite, in assenza di vettori o comunque di condizioni favorenti il contagio. Anche i dati del sistema di sorveglianza sindromica dell’ISS non hanno evidenziato, in questi anni, alcuna situazione di reale emergenza sanitaria, nemmeno tra i profughi e i richiedenti asilo che sbarcano sulle nostre coste e che soggiornano nei centri di accoglienza distribuiti sul territorio nazionale.
Diverse indagini pubblicate dall’Istat e gli indicatori del Rapporto Osservasalute ci consegnano l’immagine di una popolazione “normale”, del tutto estranea agli esotismi sanitari, solo più esposta alle insidie della marginalità.

I controlli ci saranno anche ma quelli che sbarcano senza essere neppure fermati non sono fantasmi. Oltretutto vivono in città e nei parchi in condizioni di igiene inammissibili sia italiani che extracomunitari.
I migranti che si vedono per le strade a fare niente tutto il giorno, quelli come li controllate?
Nella nostra esperienza, accade talvolta di dover assistere persone che si trovano in situazioni di estremo bisogno, a tal punto da non riuscire nemmeno a raggiungere i servizi sanitari. E in questi casi, un approccio di offerta proattiva mediante impiego di unità mobili si rivela altamente efficace nell’ottenere significativi impatti sulla salute.
A tale riguardo, particolarmente significativa è stata l’esperienza condotta dalla mia ASL, in stretta collaborazione con l’INMP (Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà), la Croce Rossa e altre associazioni del privato sociale, sul fronte dell’assistenza alle popolazioni migranti in transito. A seguito degli sbarchi, si è registrato negli ultimi anni a Roma un aumento di migranti in transito (anche solo per pochi giorni) nel nostro Paese, molti dei quali intenzionati a richiedere asilo in altri Stati UE e diretti verso il Nord Europa. Per tale ragione, è stato sviluppato un piano di intervento, attraverso un importante lavoro di rete, che ha previsto l’invio di équipe sociosanitarie composte da medici, infermieri e mediatori culturali, per offrire attivamente visite, medicazioni, fornitura di farmaci, oltre che beni di prima necessità, direttamente nei luoghi di aggregazione spontanea. Nel biennio 2014-2015, sono stati visitati circa 12 mila persone, in prevalenza maschi (88%) e giovani (età media 22 anni), provenienti da Eritrea e Somalia. Sono state riscontrate maggiormente patologie dermatologiche non gravi e facilmente curabili (soprattutto scabbia e foruncolosi), comuni infezioni delle prime vie aeree e sindromi influenzali. Inoltre, nel 2014 sono stati segnalati 21 casi di malattie infettive sistemiche (pari allo 0,5% della casistica totale). Per quanto riguarda la tubercolosi polmonare, nessun caso è stato registrato nel 2014, e 2 soli casi nel 2015. (I dati qui, pag 304 e segg).

Esperienze analoghe sono state realizzate anche in altre città, ad es. a nel biennio 2013-14 dal Comune di Milano, in collaborazione con la ASL e diverse organizzazioni del privato sociale (City Angels, Save the Children, Naga, Medici Volontari Italiani, Opera San Francesco, GrIS Lombardia).


E la tubercolosi? Erano 70 anni che in Italia era stata debellata, oggi si ripresenta!
La tubercolosi è una malattia che in Italia era quasi scomparsa, grazie al miglioramento delle condizioni di vita, e che oggi ritorna con l’aumento diffuso della povertà. In questo senso, si può dire che la tubercolosi è una malattia infettiva solo a metà, in quanto il germe attecchisce più facilmente se trova condizioni di precarietà abitativa, scarsa igiene e malnutrizione.
Peraltro, i dati epidemiologici resi pubblici da Ministero della salute rivelano che l’incidenza della tubercolosi negli ultimi anni è in calo, anche tra gli immigrati: dal 2006 al 2016 i tassi si sono quasi dimezzati, passando da 84 a 45 su 100.000 stranieri residenti (Ministero della salute – dati Osservasalute in press). Questo vuol dire che non siamo di fronte a un’epidemia montante e che i sistemi di sorveglianza sanitaria e di presa in carico attivi nel nostro Paese si dimostrano in grado di controllare il fenomeno.
Inoltre, nello stesso periodo, non si è registrato a carico degli italiani alcun aumento dei casi di tubercolosi. (I dati qui )


Ma se l'africa è piena di malati di AIDS come facciamo a pensare che queste persone arrivino sane qua?
Se si considerano i casi di AIDS relativi a stranieri residenti in Italia, si osserva che, dopo un primo aumento dei livelli di malattia dal 1992 al 1995, si è passati da 58 casi su 100.000 stranieri (in particolare maschi, più colpiti rispetto alle donne) a 7 nel 2016. Tale inversione di tendenza si deve essenzialmente a due ragioni concomitanti: da una parte, l’arrivo delle terapie efficaci e, dall’altra, la possibilità per gli immigrati di usufruirne, grazie a una normativa che permette anche agli irregolari di accedere ai servizi.
La disponibilità di cura è in grado di arrestare la progressione dalla sieropositività alla malattia conclamata, ma riduce anche la diffusione dell’infezione, in quanto i pazienti trattati hanno una carica virale più bassa. Si sottolinea comunque la necessità di mantenere alto il livello di attenzione e di utilizzare le misure di prevenzione e protezione individuale. (I dati qui )


Ho portato mia figlia con un piccolo taglio da suturare al pronto soccorso di un notissimo ospedale romano. Ero incinta e mi hanno detto: lei qui non può stare, abbiamo un immigrato con l'ebola che gira nel reparto. Però se vuole ci lasci la bambina. Surreale, a dir poco. Come la mettiamo?
Il rischio Ebola nel nostro Paese è difficilmente ricollegabile all’immigrazione: il breve tempo di incubazione (mediamente 8-10 giorni) fa sì che l’infezione, qualora presente, si manifesti piuttosto precocemente e con ogni probabilità prima dell’arrivo in Italia. Questo anche in considerazione del fatto che molti migranti sbarcano in Italia dopo aver affrontato lunghi viaggi, attraverso Paesi attualmente non toccati dall’epidemia.
In ogni caso, le misure di sorveglianza sanitaria predisposte dal Ministero della Salute hanno la funzione di controllare e gestire al meglio il rischio di diffusione della malattia sul territorio nazionale.


In Italia abbiamo sempre avuto le zanzare e ci abbiamo convissuto tranquillamente, mentre oggi è diverso! E poi Chikungunya non mi sembra un nome italiano...chi volete che l'abbia portata?
In Italia, la prima epidemia si è verificata nel 2007 in Emilia Romagna, e adesso (a distanza di dieci anni) si sono registrati nuovi casi nel Lazio. È una malattia legata ai viaggi e non in maniera specifica alla migrazione anche per il breve periodo di tempo (circa 7 giorni) durante il quale un malato può infettare la zanzara (che a sua volta potrebbe trasmettere l’infezione ad una persona sana). Altre considerazioni sono il numero limitato di casi di Chikungunya importati, la non severità del quadro clinico, l’assenza di epidemie tra i migranti. Infine, è una malattia che si contrasta efficacemente con le precauzioni generali per difendersi dalle punture di zanzara, unitamente a un’efficace disinfestazione ambientale. (I dati qui pag. 57 e segg. )


Perché noi ci dobbiamo vaccinare contro queste malattie quando andiamo nei loro paesi?
Quando si visitano Paesi in cui sono presenti, in forma endemica, malattie infettive prevenibili con vaccino, è opportuno (in alcuni casi, come la febbre gialla, è un requisito per ottenere il visto d’ingresso) vaccinarsi per evitare di contrarle. Esistono protocolli internazionali da seguire in relazioni ai paesi visitati, e servizi di medicina dei viaggi presso le ASL cui rivolgersi per avere informazioni ed essere vaccinati.


Andatelo a dire ai genitori della bimba morta di malaria!
La malaria è una malattia in larga misura importata in Italia con il turismo, e non si diffonde in Italia per assenza di vettori. Si possono verificare dei casi isolati, non direttamente ricollegabili a viaggi in Paesi endemici, per i quali le indagini epidemiologiche non siano riuscite a identificare con certezza la fonte d’infezione; in queste rare situazioni (se ne sono contate poche unità negli ultimi 5 anni), vengono formulate diverse ipotesi collegate all’arrivo accidentale della zanzara infetta (all’interno di bagagli), spesso in prossimità di aeroporti, o all’acquisizione attraverso mezzi artificiali (trasfusioni, trapianti, contaminazioni nosocomiali).
Si tratta di una malattia curabile e da cui si guarisce nella stragrande maggioranza dei casi. È importante porre tempestivamente il sospetto diagnostico, in presenza di sintomatologia tipica. A tale riguardo, le ultime linee guida elaborate dall’INMP, dall’ISS e dalla SIMM, sui controlli sanitari da effettuare nei confronti dei migranti allo sbarco o presso i centri di accoglienza, raccomandano la ricerca attiva di segni e/o sintomi suggestivi di malaria (in particolare febbre) in persone che riferiscono di aver vissuto o viaggiato in aree a endemia malarica. Questo, al fine di attuare una sorveglianza sanitaria in grado di intercettare efficacemente i casi e curarli efficacemente.

Perché dovremmo fidarci di quello che ci racconta l'istituto superiore di sanità e dei vostri dati?
Dobbiamo fidarci, perché si tratta di flussi informativi consolidati e gestiti da istituzioni sanitarie pubbliche che agiscono secondo modalità trasparenti, all’interno di sistemi di raccolta con obbligo di notifica delle malattie infettive da parte di tutti i medici del Servizio sanitario nazionale.