C'è un mercato parallelo dei farmaci che ci danneggia tutti. Ma è legale (e vale miliardi)
In Italia vengono considerate carenti circa 1.500 medicine e la loro mancanza ?ritarda o ?rinvia la possibilità di curarsi. Il motivo? Rivenderle ai paesi del Nord Europa è più remunerativo
Se non trovate la medicina che il medico vi ha prescritto, prendetevela con le regole del libero mercato o con le autorità che non sono in grado di domarle: perché probabilmente le vostre confezioni di pillole e di iniezioni sono state esportate in Germania o in Inghilterra o in Olanda dove valgono molto di più.
Sono 1.556 i farmaci carenti in Italia, secondo l’elenco settimanale pubblicato il 28 giugno scorso da Aifa, l’agenzia di autorizzazione e controllo del ministero della Salute: di questi, 410 non hanno alternative equivalenti. Significa che la cura necessaria rischia di essere ritardata o rinviata. Mancano perfino alcuni preparati importanti per la sopravvivenza destinati alle unità di pronto soccorso degli ospedali.
Nella lista dei vuoti di magazzino appaiono anche trentacinque vaccini. Alcuni sono tra quelli previsti dalla campagna in corso che, secondo la tabella, non possono contare su formule equivalenti: gli anti-Haemophilus influenzae di tipo B diventati rari per problemi produttivi, l’Infanrix contro difterite-tetano-pertosse per cessata commercializzazione temporanea, l’Engerix contro l’epatite B per problemi produttivi, l’Imovax polio contro la poliomielite per problemi commerciali, l’Imovax tetano contro il tetano per problemi commerciali e il Varilrix contro la varicella per problemi produttivi. Si tratta di preparati delle multinazionali Sanofi-Pasteur-Europe e Glaxosmithkline.
La denuncia di Francesca Mannocchi “Io, la mia malattia e il patto spezzato”, pubblicata su L’Espresso la scorsa settimana, non riguarda soltanto le terapie a lungo termine. Ne siamo tutti coinvolti. E giugno si conclude con un ulteriore record. Soltanto una settimana prima, il 20 del mese, i farmaci carenti (tra i quali sono comunque incluse le cessate produzioni) erano 1.527, ventinove di meno. E quelli senza alternative equivalenti 398.
L’esportazione di medicinali dai magazzini italiani verso il Nord Europa è una distorsione del mercato in corso da qualche anno. Tanto che all’inizio del 2018 la Federazione delle associazioni degli informatori scientifici del farmaco e del parafarmaco ha rilanciato l’allarme sul suo sito: “Carenza e speculazione sui farmaci: quando la salute vale meno di una mazzetta”.
Sotto accusa è il mercato parallelo, considerato il principale responsabile della scarsità di medicinali in circolazione: cioè la possibilità legale per grossisti, grandi farmacie e a volte perfino ospedali di rivendere in altri Paesi dell’Unione europea, dove pagano di più, i farmaci destinati a noi. La convenienza, per gli esportatori paralleli, è data dal prezzo stabilito dagli accordi tra Aifa e le case farmaceutiche sulle medicine rimborsabili: prezzo che per Italia, Spagna e Grecia, tutti Paesi afflitti dalla carenza, è tra i più bassi in Europa.
Questo mercato fantasma, i cui effetti però si vedono benissimo, riguarda soltanto i farmaci dispensati interamente o parzialmente dal servizio sanitario nazionale: sia quelli di fascia A, disponibili in farmacia su presentazione della ricetta del medico, sia quelli di fascia H il cui impiego, tranne casi particolari, è riservato a ospedali, ambulatori o strutture assimilabili. L’esportazione non riguarda ovviamente le medicine in libera vendita il cui prezzo, anche nei Paesi del Nord Europa, è determinato dal rapporto diretto tra produttore o grossista e venditori.
Se la farmacia, anche ospedaliera, non è in grado di fornire i farmaci prescritti dal medico, il cittadino può impugnare i commi 3 e 4 dell’articolo 105 contenuto nel Decreto legislativo 219 del 24 aprile 2006. È uno strumento legale fondamentale che di fronte ai rischi per la salute non va dimenticato. Stabilisce il comma 3: «La fornitura alle farmacie, anche ospedaliere, o agli altri soggetti autorizzati... dei medicinali di cui il distributore è provvisto deve avvenire con la massima sollecitudine e, comunque, entro le dodici ore lavorative successive alla richiesta...». E il comma 4: «Il titolare dell’Aic (Autorizzazione all’immissione in commercio, cioè la casa farmaceutica) è obbligato a fornire entro le 48 ore, su richiesta delle farmacie, anche ospedaliere, un medicinale che non è reperibile nella rete di distribuzione regionale».
Davanti alle distorsioni e allo strapotere del mercato, noi pazienti siamo completamente soli. E anche quando le autorità nazionali di controllo hanno provato a intervenire, l’Unione europea ha difeso sia il mercato, sia le sue distorsioni. L’ha fatto nel 2003, con questa comunicazione della Commissione di Bruxelles: «L’importazione parallela di medicinali è una legittima forma di scambio in seno al mercato interno, fondata sull’articolo 28 del Trattato sul funzionamento dell’Ue (libera circolazione delle merci) e soggetta a deroghe relative alla tutela della salute e della vita...».
Il business è cresciuto, le deroghe sono svanite. Tanto che Polonia, Romania e Slovacchia, quando hanno tentato di limitare l’esportazione parallela di farmaci dai loro magazzini, sono state denunciate proprio da Bruxelles. Le procedure di infrazione sono state archiviate il 17 maggio scorso, finalmente con un nuovo convincimento: «La Commissione», è scritto nel provvedimento di archiviazione, «riconosce che il commercio parallelo dei medicinali può essere uno dei motivi per cui si verificano carenze di una serie di medicinali per uso umano. Conciliare il rispetto della libera circolazione delle merci con il diritto dei pazienti di accedere all’assistenza sanitaria è un compito particolarmente delicato. Dopo un’attenta valutazione, la Commissione ha riconosciuto la necessità di esaminare altre vie diverse dalle procedure di infrazione...».
Sembra incredibile: ma per Bruxelles il libero mercato e migliaia di cittadini che rischiano la vita per mancanza di medicine in Europa hanno lo stesso peso. Tanto che è necessaria una “conciliazione”.
L’obiettivo della Commissione ora è quello di «raccogliere maggiori informazioni dagli Stati membri e dalle altre parti interessate per discutere l’attuazione dell’obbligo di servizio pubblico e le restrizioni all’esportazione nell’ambito del gruppo di lavoro...». Proprio così: basterebbe attribuire a tutta la filiera gli obblighi del pubblico servizio. Con le associazioni di produttori, distributori e farmacisti, tra cui Farmindustria, Adf e Federfarma, il ministero della Salute, Regione Lazio, Regione Lombardia e Aifa avevano firmato un patto già nel settembre 2016. «La sottoscrizione di questo documento testimonia l’impegno capillare e profuso di tutte le istituzioni coinvolte nella filiera farmaceutica», diceva in quei giorni Mario Melazzini, allora presidente e oggi direttore generale di Aifa: «Non posso non sottolineare e apprezzare il grande senso di responsabilità dimostrato da tutti i soggetti intervenuti oggi a firmare questo accordo». Tanto ottimismo aveva spinto il Sole24Ore a titolare: «Mai più carenza di farmaci».
I tempi cordiali delle trattative ovviamente sono molto diversi da quelli che separano vita e morte nelle unità di pronto soccorso. Prendiamo il Flebocortid Richter prodotto dalla Sanofi: «È indicato nelle situazioni di emergenza che richiedono rapidamente un’elevata disponibilità nel sangue di idrocortisone... importante ai fini della sopravvivenza», spiega il foglietto illustrativo. Viene impiegato per gli stati anafilattici che non rispondono alla terapia tradizionale o per gli shock gravi, chirurgici, traumatici, emorragici, cardiogeni, da ustioni, resistenti alla terapia standard. Il farmaco risulta carente dal 22 maggio 2018 al 30 giugno 2018: «Problemi produttivi - Si rilascia autorizzazione all’importazione alle strutture sanitarie per analogo autorizzato all’estero», prescrive l’elenco delle carenze di Aifa. All’estero il prezzo del Flebocortid sarà quello di solito ben maggiore, dettato dalla situazione di emergenza.
Clexane, nel comune dosaggio iniettabile di 4.000 UI (unità internazionali) da sei siringhe preriempite, è invece un farmaco diventato raro dal 26 aprile 2018, sempre per problemi produttivi. Blocca la formazione di coaguli nel sangue e serve a prevenire la trombosi venosa profonda in chirurgia generale, in chirurgia ortopedica e nei pazienti a rischio trombosi costretti a letto per lunghi periodi. Il prezzo concordato da Aifa con il produttore Sanofi e pagato dal servizio sanitario nazionale è di 32,70 euro a confezione: 5,45 euro a dose. In Germania il prezzo rimborsato dallo Stato sale fino a 11,65 euro a dose, a seconda del tipo di confezione. L’elenco delle carenze contiene anche l’Igantet, farmaco importante per la terapia contro il tetano, antiemorragici efficaci e antireumatici.
«L’importazione parallela di farmaci, consentendo l’acquisto di medicinali a prezzi inferiori», spiega Fabrizio Gianfrate nella ricerca “Il Parallel Trade dei farmaci in Europa”, «rappresenta in potenza un vantaggio per i pagatori, pubblici e privati, ovvero i sistemi sanitari e le famiglie». Si stima un giro d’affari di circa quattordici miliardi di euro, il sette per cento di tutto il mercato farmaceutico europeo. Per alcuni medicinali specifici, in Germania, Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia, l’importazione parallela rifornisce tra il 55 e il 63 per cento dei consumi. Mentre si calcola che il 16 per cento dei farmaci venduti in Grecia sia dirottato verso Paesi europei più ricchi.
Anche in Italia qualunque grossista o distributore, che paga la merce al prezzo nazionale concordato, può trovare più redditizio vendere un certo farmaco sui canali dell’esportazione parallela piuttosto che distribuirlo ai farmacisti suoi clienti: ai quali basta dichiarare che il farmaco è mancante senza spiegarne la ragione. A questo punto la rete delle farmacie segnala la carenza alla Regione. E alla fine il farmaco finisce nell’elenco di Aifa. Anche se alle case farmaceutiche spesso risulta regolarmente distribuito.
Il meccanismo permette così un risparmio sulla spesa sanitaria agli Stati del Nord Europa, che in base al loro Pil (Prodotto interno lordo) hanno contrattato prezzi ufficiali più alti con i produttori. Una scorciatoia che lo studio di Gianfrate mette a nudo. In Germania il farmacista deve vendere almeno il 7 per cento di farmaci importati parallelamente e il medicinale parallelo ha un prezzo di almeno il quindici per cento inferiore al listino nazionale. In Olanda i farmacisti sono incentivati a vendere farmaci importati parallelamente poiché vengono rimborsati al 94 per cento dell’intero prezzo nazionale e possono trattenere tutta la differenza tra il valore rimborsato e quello di acquisto dal grossista, mentre il governo olandese recupera circa il 7 per cento dei ricavi del farmacista.
In Danimarca il farmacista deve informare il paziente di tutte le alternative inclusi i medicinali di importazione parallela e in Norvegia i medici sono incoraggiati a prescriverli. In Svezia le farmacie sono statali, i farmacisti devono fornire il farmaco più economico tra le alternative equivalenti e i medicinali paralleli sono i meno tassati.
Nel Regno Unito a guadagnarci sono soprattutto i farmacisti: possono trattenere la differenza tra il prezzo rimborsato dallo Stato e il prezzo scontato di acquisto del farmaco parallelo, mentre il governo recupera una parte dei ricavi dei grossisti in base alla quota nazionale di importazione. Per la Gran Bretagna sottrarre legalmente farmaci da altri Paesi europei permette un risparmio di un miliardo di sterline all’anno: un miliardo e centotrenta milioni di euro.
Il processo prevede che i medicinali siano riconfezionati per tradurre scatole e fogli illustrativi nella lingua di destinazione, senza però la supervisione delle case farmaceutiche. «Questo introduce rischi di sicurezza e qualità per il riconfezionamento, se viene effettuato inadeguatamente», avverte la ricerca di Fabrizio Gianfrate, «e favorisce il crescente fenomeno della contraffazione». Lo scorso anno Aifa ha annunciato che i furti di farmaci in Italia sono crollati dalle ottocentomila confezioni rubate nel 2013 alle ottantamila del 2016. Senza nulla togliere all’azione di contrasto messa in campo dall’agenzia e dal Nucleo antisofisticazioni dei carabinieri, potrebbe non essere una buona notizia: significa che il mercato parallelo è ormai perfino più redditizio e facile di quello illegale.