«La mafia del calcio vuol far tacere il mio cliente, ma andremo fino in fondo»
Parla William Bourdon, l'avvocato francese che difende Rui Pinto, la fonte di Football Leaks arrestato in Ungheria. Se verrà concessa l'estradizione in Portogallo: «C'è il rischio che i magistrati di altri Paesi non possano più avere accesso ai documenti in possesso del mio cliente»
William Bourdon è l’avvocato dei whistleblowers. È il legale parigino che negli anni scorsi ha raggiunto notorietà mondiale difendendo imputati come Edward Snowden il tecnico informatico che ha svelato i programmi di sorveglianza di massa del governo Usa e britannico, Herrvé Falciani, che trafugò la lista dei clienti della sede di Ginevra della banca inglese Hsbc e Antoine Deltour, al centro del caso LuxLeaks, i documenti che svelavano gli accordi tra mukltinaizonali eil governo del Lussemburgo. Adesso Bourdon è sceso in campo al fianco di Rui Pinto, il giovane portoghese (30 anni) che ha creato Football Leaks, l’archivio dei segreti del calcio, milioni di documenti che raccontano l’altra faccia del pallone: corruzione, affari sporchi e frodi fiscali.
Pinto, accusato di violazione di segreto ed estorsione, è stato arrestato il 16 gennaio a Budapest su mandato della magistratura di Lisbona che ne ha richiesto l’estradizione. In questa intervista rilasciata al settimanale tedesco Der Spiegel, che come L’Espresso fa parte del consorzio giornalistico Eic (European Invetigative Collaborations), Bourdon spiega perché i whistleblower come Pinto devono essere tutelati in virtù dell’enorme interesse pubblico delle loro rivelazioni. E spiega perché il suo cliente ha deciso di mettere a rischio la sua libertà per svelare le malefatte dei padroni del calcio.
Può dirci se Rui Pinto è John, nome in codice che identificava la fonte dei Football Leaks? «Sì, Pinto è John. Detto questo, il mio cliente non è l’unico whistleblower, Ci sono anche altre fonti coinvolte».
Da quanto tempo Pinto è suo cliente? «Dalla scorsa estate».
Perché ha accettato l’incarico? «Ho dedicato più di 30 anni della mia vita a difendere persone che avevano dimostrato uno straordinario coraggio, in particolare quando agivano a fin di bene ed erano pronte a correre rischi per il bene comune. Quindi questo mio impegno a favore dei whistleblowers mi ha portato a schierarmi anche al fianco di Pinto».
Chi la paga? «Al momento nessuno mi paga per difendere Pinto. I suoi avvocati portoghesi e ungheresi sono pagati, e mi fa piacere, ma in quanto membro del consiglio di Signals Network, una fondazione che sostiene i whistleblowers, sarebbe poco etico da parte mia ricevere un compenso».
Che impressione le ha fatto Pinto? «È una persona coraggiosa, dal carattere insieme forte e sensibile ed è anche molto giovane. È orgoglioso di ciò che ha fatto e allo stesso tempo umile. Ha bisogno di consigli perché non si rende del tutto conto delle possibili conseguenze delle sue azioni, anche se è consapevole del terremoto che ha provocato».
Pinto ha fornito a Der Spiegel e al consorzio giornalistico Eic l’accesso a più di 70 milioni di documenti e ci ha sempre negato di essere un hacker. Come ha fatto allora a procurarsi quel materiale? «Non posso spiegare come ha ottenuto quei documenti. L’unica affermazione che posso fare è che il suo impegno si spiega con il suo amore per il calcio. I fatti che ha scoperto provocavano gravi danni allo sport che ama. Ecco perché più documenti esaminava, più cresceva la sua indignazione e aumentava la sua determinazione a fare quello che riteneva il suo dovere. Cioè rivelare al mondo come il calcio, la sua grande passione, sia stato devastato da avidità, delinquenza, riciclaggio e evasione fiscale».
Può dirci se il suo cliente ha collaborato con hacker? «Non lo so».
Le autorità portoghesi accusano Pinto di estorsione. Dicono che ha tentato di ricattare Doyen (grande agenzia sportiva che rappresenta calciatori e ha stretti rapporti con molte grandi squadre, ndr) usando la falsa identità di Artem Lobuzov. Lo accusano di aver chiesto denaro in cambio del suo silenzio su documenti compromettenti su Doyen. Come risponde a queste affermazioni? «È vero che Pinto ha voluto vedere fino a che punto era disposta a spingersi Doyen. È stata una specie di scherzo infantile. Alla fine però ha rinunciato ai soldi di sua spontanea volontà. Nessuno ha pagato. Di conseguenza la criminalizzazione di Pinto è del tutto esagerata, fuori misura. Siamo convinti che non potrà essere condannato in base alla legge portoghese, come ci è stato spiegato dal suo avvocato di Lisbona, Francisco Teixeira da Mota. I suoi accusatori stanno cercando di far passare sotto silenzio il fatto che Pinto è un importante whistleblower. Stanno cercando di dipingerlo come un delinquente».
Estorsione è un’accusa grave… «Ma non si può essere condannati se il reato, per scelta spontanea dell’accusato, alla fine non è stato commesso. Questo è un principio legale fondamentale».
Ma le sembra davvero plausibile che Pinto abbia agito solo per amore del calcio, senza aver un secondo fine? «Ho conosciuto diversi whistleblowers e non tutti agivano con motivazioni puramente idealistiche come è invece il caso di Pinto. Per quanto riguarda la tentata estorsione, penso che molti al suo posto sarebbero andati fino in fondo. Non vedo avidità nel suo comportamento».
Che cosa si sente di dire a quelle persone, compresi molti appassionati di calcio, che ritengono che Pinto sia una persona che ha rubato dei dati e ha tentato un ricatto? «Pinto ha sempre pensato che il suo comportamento avrebbe portato benefici al mondo del calcio perché adesso il mondo dello sport si fonda sull’avidità. Si augura che alla fine prevalga la legge e il rispetto per i cittadini che pagano le tasse. Le sue rivelazioni hanno infatti consentito a molti Paesi europei di recuperare milioni di euro di imposte non pagate. Stiamo vedendo che in Portogallo e anche altrove, incomincia a manifestarsi un sostegno popolare verso di lui».
I giornali portoghesi hanno scritto che Pinto ha rubato 300 mila dollari da una banca nelle Caymnan Islands. Il suo cliente replica che c’è stato un accordo stragiudiziale e che la banca non lo ha mai denunciato. Ha qualche commento da fare in proposito? «È stato tutto chiarito. Se la banca si fosse sentita danneggiata non avrebbe lasciato cadere le accuse. Mi sembra evidente».
Le autorità di Lisbona stanno facendo forti pressioni per l’estradizione di Pinto in Portogallo. Perché lei si oppone? «Non è il momento di rivelare la mia linea difensiva. Il tribunale ungherese dovrà pronunciarsi sull’applicazione del principio di proporzionalità. Da una parte ci sono accuse minori, divulgazioni di informazioni riservate ed estorsione, che il mio cliente ha respinto. D’altra parte c’è il rischio che, se ci sarà l’estradizione, i pubblici ministeri e il fisco di molti Paesi non avranno la possibilità di accedere ai documenti e di interrogare il principale testimone».
Che cosa potrebbe succedere se Pinto venisse estradato? «Il Portogallo fa parte dell’Unione Europea, ma c’è nondimeno la possibilità che l’imparzialità e la neutralità del sistema giudiziario possa essere compromessa. Voglio essere prudente. Ho grande rispetto per il Portogallo e so che ci sono pubblici ministeri e autorità che hanno apprezzato ciò che Pinto ha fatto. Ma c’è anche una mafia che ostacola queste persone. Forse alla fine dovrò ricredermi, ma per il momento sarebbe ingenuo non essere scettico sul fatto che in Portogallo si voglia davvero valutare i dati di fatto e agire contro quello che appare come un mondo parallelo molto potente».
Perché lei ritiene che il suo cliente sia effettivamente un whistleblower? «Pinto ha tutte le caratteristiche del whistleblower in base alla definizione dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo. Dovrebbe quindi essere al riparo da ogni azione giudiziaria nei suoi confronti nella misura in cui ha agito nell’interesse pubblico. Il fatto insolito è che Pinto non è un whistleblower che ha denunciato reati scoperti nell’azienda dove lavorava, come Hervé Falciani nella banca Hsbc o Antoine Deltour (caso Luxleaks, ndr) nella società di revisione Pwc. Il mio cliente non faceva parte dell’ambiente del calcio, era un semplice tifoso. Questo aumenta il valore universale del suo caso. Ogni cittadino ha la possibilità di agire quando scopre comportamenti illegali».
Pinto aveva mai subito altre condanne? «No, per quanto ne so».
Ma com’è possibile definire Pinto un whistleblower se venisse provato che ha ottenuto documenti violando la legge? «Fintanto che criminalità si dimostra spietata e opera in segreto, a maggior ragione per individuare questi affari sporchi la legge deve essere reinterpretata. Il whistleblower Deltour era stato accusato (caso Luxleaks, ndr)di aver rubato documenti violando illegalmente i computer, ma alla fine è stato assolto perché ha rivelato come le grandi aziende ottenevano grandi sconti fiscali accordandosi con le autorità del Lussemburgo».
La pubblicazione dei documenti di Footbakll Leaks ha dato il via a numerose inchieste penali nei confronti di famosi calciatori, molto spesso con accuse di frode fiscale. Questa settimana lei ha confermato che Pinto sta collaborando con la procura finanziaria francese. Ha anche offerto la sua collaborazione a un procuratore svizzero. Ci vuole spiegare in che cosa consiste questa collaborazione? «Non posso entrare nel dettaglio perché le indagini sono riservate. Posso però dire due cose. Primo: l’indagine francese prosegue. Secondo: ho avuto un colloquio con Damian Graf, il procuratore svizzero nominato per occuparsi delle questioni legate alla Fifa e stiamo valutando come rendere più agevole la nostra collaborazione. Il magistrato ha espresso grande interesse. Siano anche in contatto con il procuratore federale di Bruxelles, che ha confermato la sua intenzione di contattare Pinto e, se possibile, di avere accesso al suo archivio di dati il più presto possibile».
Ci sono autorità giudiziarie di altri Paesi che si sono messe in contato con Pinto per chiedergli di collaborare? «Sappiamo che, un paio di anni fa, alcuni procuratori avevano avvicinato Pinto. Ma in quella fase, quando stava lavorando in modo del tutto anonimo, non aveva nessuno che lo consigliasse e non sapeva come gestire questo tipo di relazioni. Per questo motivo le sue risposte non sono state quelle più appropriate. Adesso invece mi ha dato mandato di prendere contatti con autorità di diversi Paesi, tra cui il Fisco tedesco e quello di spagnolo e portoghese. Quindi da una parte c’è un’inchiesta giudiziaria su Pinto, dall’altra gli investigatori lo contattano per chiedergli di collaborare con loro. È evidente il paradosso».
I documenti di Football Leaks hanno rivelato anche le accuse di stupro contro Cristiano Ronaldo e la polizia di Los Angeles ha riaperto il caso. La procura statunitense ha contattato il suo cliente? «Vista l’importanza dei documenti in nostro possesso è ovvio che molte autorità dimostrino interesse, però non posso fornire altri dettagli».
È vero che la polizia ungherese ha sequestrato il computer di Pinto e anche le schede di memoria? «Sì, è vero».
Che tipo di dati contenevano? «Non posso rispondere».
Che cosa hanno intenzione di fare con il materiale sequestrato, può dircelo? «Non ne ho idea, ma nelle leggi che regolano l’estradizione vige il principio di specialità, in base al quale è fatto divieto ai magistrati inquirenti di accedere al materiale che non abbia a che fare con il mandato d’arresto. E quest’ultimo riguarda una presunta tentata estorsione e l’accesso illegale ai computer dello Sporting Lisbona (squadra portoghese, ndr)». Quindi sarebbe assolutamente illegale permettere alle autorità di Lisbona di poter disporre di tutti dati contenuti nella memoria del computer».
Rui Pinto e lei intendete collaborare anche con organizzazioni come Uefa e Fifa, se si mettessero in contatto con voi? «Pinto desidera che tutte le informazioni di pubblico interesse vengano conosciute e, di conseguenza, abbiamo ancora molto lavoro davanti a noi».