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Vaticano, ecco le carte dello scandalo. Tra finanzieri e spa segrete in Lussemburgo

di Emiliano Fittipaldi   3 ottobre 2019

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Lo tsunami giudiziario che fa tremare il Vaticano parte da alcune operazioni finanziarie del 2011. Quando la Segreteria di Stato decide di entrare in affari con il raider italo-londinese Raffaele Mincione. Indagini dei pm del papa su una Sicav del Vaticano nel Granducato, che ha comprato immobili a Londra per centinaia di milioni di euro. Indaga anche l’antiriciclaggio

L'inchiesta dei magistrati vaticani su alcune operazioni finanziarie milionarie effettuate dalla Segreteria di Stato è un pozzo senza fondo. Se ieri, dopo una serie di perquisizioni, l'Espresso ha dato notizia dell'indagine su pezzi da novanta come don Mauro Carlino (ex segretario del cardinale Angelo Becciu e da pochi mesi capo dell'Ufficio Informazione e Documentazione della Segreteria: il monsignore è stato intercettato per settimane) e del numero uno dell'Autorità di informazione finanziaria Tommaso Di Ruzza, oggi nuovi documenti riservati spiegano la genesi dello scandalo. Che potrebbe portare a conseguenze devastanti per dipendenti laici e monsignori di primissima fila.

Gli investigatori vaticani, infatti, stanno indagando sulle operazioni finanziarie avvenute tra Roma, Londra e il Lussemburgo negli ultimi otto anni. Proprio nel Granducato, tra il 2011 e il 2012 la Segreteria di Stato (erano i tempi di Benedetto XVI, a Palazzo Apostolico comandavano Tarcisio Bertone e l'allora sostituto agli Affari generali Becciu) aveva infatti deciso di fare affari con Raffaele Mincione. Non un imprenditore qualsiasi, ma un finanziere italo-londinese assai noto alle cronache: è colui che, attraverso fondi d'investimento controllati in Italia, Russia, Malta e Jersey, da qualche mese sta provando a scalare Banca Carige, di cui è arrivato a possedere il 7 per cento delle azioni.
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Partiamo dall'inizio della storia. Da quando nel 2011 alcuni emissari vicini a Credit Suisse (che risulta essere consulente del Vaticano per il private banking, e dunque gestore di parte considerevole dei conti riservati a disposizione della Segreteria di Stato, che tra Obolo di San Pietro e Fondo Paolo VI arrivano a circa 800 milioni di euro) mettono intorno allo stesso tavolo i vertici della Segreteria di Stato e gli uomini del finanziere, gran capo della holding WRM e della società d'investimento Athena Capital Found, entrambe con sede in Lussemburgo.
Il Vaticano, inizialmente, chiede una consulenza. In merito a un possibile investimento da circa 200 milioni per l'acquisto di una piattaforma petrolifera, Un'affare, però, che non convince né la banca svizzera né i finanzieri di Mincione. Che, rilanciando, propongono al Vaticano di sottoscrivere – con i denari che si vogliono investire nell'affare del greggio - un nuovo fondo lussemburghese gestito da loro. La proposta va in porto: nel 2012 la Segreteria di Stato gira quasi 200 milioni di euro all'Athena Capital Global Opportunities, un fondo che fa negli anni investimenti di varia natura.
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Il più importante di tutti, però, è l'acquisto di alcuni immobili di pregio a Sloane Avenue, nel centro di Londra. Un business a cui partecipa direttamente sia Mincione, che con WRM compra il 55 per cento del palazzo, sia il fondo vaticano, che ne prende il 45 per cento.

Mincione, Becciu, monsignor Alberto Perlasca della segreteria di Stato sembrano gestire per anni il fondo senza scossoni e problemi di sorta. Tutto cambia, però, a fine del 2018. Quando Becciu lascia la Segreteria per diventare prefetto alla Congregazione per le Cause dei Santi e al suo posto, come sostituto agli Affari generali, il papa e Pietro Parolin promuovono monsignor Edgar Pena Parra.

Il nuovo sostituto prende le carte e nota con dispiacere che i rendimenti della Sicav vaticana in Lussemburgo sono assai meno redditizi di quello ipotizzato all'inizio con Mincione. Ne chiede conto ai suoi sottoposti (tra cui i contabili Vincenzo Mauriello e Fabrizio Tirabassi, anche loro sospesi da ieri dall'incarico) e a don Carlino. Le risposte non lo convincono.

Pena Parra (non sappiamo se con l'avallo di Parolin) decide allora di acquistare l'intero palazzo, e di uscire dal fondo lussemburghese gestito da Mincione. Il 22 novembre viene infatti firmato un accordo transattivo tra Santa Sede e i gruppi del finanziere che l'Espresso pubblica in esclusiva, con cui si perfeziona l'uscita: di fatto il Vaticano, attraverso nuove società londinesi, diventa proprietario degli immobili di pregio (che prima vengono affidati a un gestore attraverso un contratto, poi gestiti direttamente con nuove società londinesi), mentre i fondi di Mincione restano unici azionisti degli altri investimenti fatti negli anni.

Per fare l'operazione di uscita, però, spiegano altre autorevoli fonti vaticane Pena Parra avrebbe chiesto denari, tramite monsignor Carlino, allo Ior. È in quel momento che i vertici della banca – poco felici di vedere i loro conti in gestione ridursi troppo – cominciano a volere vederci chiaro. Dopo qualche mese dalla transazione, così, scatta la denuncia ai magistrati vaticani. A quella dello Ior si aggiunge presto quella del Revisione generale, di fatto l'autorità anti corruzione d'Oltretevere.

I pm del papa indagano ora non solo su eventuali irregolarità dell'operazione immobiliare londinese e di quelle della Sicav, ma pure su ipotetici giri di denaro che avrebbero arricchito alcuni mediatori e dipendenti vaticani: sono al setaccio trust e depositi sia in Lussemburgo sia in Svizzera, ma è presto per dire se siano stati o meno trovati illeciti.

Per la cronaca, non è la prima volta che in Vaticano qualcuno vuole vederci chiaro sul fondo segreto della Segreteria di Stato: tra il 2013 e il 2014 i commissari della Cosea, la commissione voluta dal papa per mettere ordine tra gli enti economici del vaticano, e in particolare membri come la “papessa” Francesca Immacolata Chaoqui e Jean-Baptiste de Franssu, oggi presidente dello Ior, avevano chiesto le carte riservate dell'operazione immobiliare. Senza mai riuscire, pare, ad ottenerne mezza.

Al netto delle ipotesi investigative tutte da dimostrare, dal gruppo di Mincione nessuno parla ufficialmente.
Ma voci interne spiegano che il business fatto con la Santa Sede sarebbe del tutto lecito e trasparente, che i fondi lussemburghesi sono controllati dalla Commissione di vigilanza del settore finanziario del Granducato, e che compensi sono stati pagati alla luce del sole solo a soggetti terzi che hanno fatto da mediatori all'inizio dell'avventura finanziaria. Aggiungendo che la transazione (firmata da monsignor Perlasca) è stata fatta davanti a importanti studi inglesi, e che il Vaticano alla fine avrebbe guadagnato dagli investimenti di Athena oltre il 10 per cento. I bassi rendimenti degli affitti degli immobili di cui si lamenta il Vaticano? «Non ci fosse stata la Brexit, le previsioni sui rendimenti sarebbero state rispettate». È il mercato, bellezza.