Football Leaks

«Così ho svelato i segreti del calcio corrotto»

di Rafael Buschmann e Michael Wulziger   1 febbraio 2019

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Parla per la prima volta Rui Pinto, il giovane portoghese che ha raccolto milioni di documenti riservati sugli affari di grandi club, calciatori e manager del pallone pubblicate dal consorzio giornalistico Eic. Denuncia le minacce che ha ricevuto "dalla mafia del calcio" e fa i nomi delle autorità giudiziarie con cui sta collaborando. Compresi gli americani che indagano sulle accuse di stupro a Cristiano Ronaldo  

Per tutti era John, solo John. E per anni, nascosto dietro questo pseudonimo, ha svelato le trame più segrete del calcio mondiale: corruzione, evasione fiscale, bilanci truccati. In poche parole, John era Football Leaks, l’archivio segreto pubblicato dal settimanale tedesco Der Spiegel insieme agli altri media del consorzio Eic (European investigative collaborations) di cui, in esclusiva per l’Italia, fa parte anche L’Espresso. Adesso, per la prima volta, John ha deciso di parlare, di raccontare la sua storia svelando la sua vera identità. Lo fa in questa intervista esclusiva realizzata a Budapest, dove la fonte del più grande scandalo del calcio mondiale si trova agli arresti domiciliari da un paio di settimane. Rui Pinto, alias John, è stato fermato dalla polizia nella capitale ungherese su richiesta dei giudici del suo Paese, il Portogallo, che lo accusano di violazione reti informatiche, in sostanza hackeraggio, e di estorsione. Nell’intervista che segue, realizzata da due reporter di Der Spiegel, Rafael Buschmann e Michael Wulzinger, e condivisa con L’Espresso, la fonte dei Football Leaks si difende dalle accuse, nega di essere un hacker, parla delle minacce ricevute, delle offerte per mettere in vendita il suo gigantesco archivio, milioni di documenti, e rivela con quali giudici sta collaborando. Tra questi anche i poliziotti statunitensi che indagano sulle accuse di stupro a Cristiano Ronaldo.


Sei un hacker?
«Non sono un hacker. Sono un informatore, un whistleblower».

Potresti dirci come hai ottenuto più di 70 milioni di documenti riservati e in alcuni casi estremamente sensibili sull'industria calcistica internazionale?
«Io ho soltanto cominciato a svelare i segreti. Ma non sono l'unico. Col tempo, si sono aggiunte molte altre persone, che hanno condiviso le loro fonti con le mie. Così il database si è arricchito.  Naturalmente, non dirò i nomi di nessuno dei miei compagni d’avventura. Questo non è il momento ideale per farlo. Adesso rispondo solo per me».

Il mandato di cattura europeo che il Procuratore Generale di Lisbona ha emesso contro di te e che ha portato al tuo arresto ti accusa di furto di dati. Questo ha a che fare con lo Sporting Club Lisbona e con la pubblicazione di e-mail confidenziali per l'anno 2015. Che cosa hai da dire al riguardo?
«Sono pronto a spiegare tutto a tempo debito di fronte ai giudici, ma respingo l'accusa di essere un hacker».

Sei stato anche accusato di aver usato le i documenti di cui eri venuto in possesso per provare a ricattare l'agenzia Doyen Sports (il grande gruppo che gestisce tra l’altro l’immagine e la comravendita di calciatori, ndr) nell'autunno del 2015.
«L’unico motivo per cui ho contattato Doyen era avere la conferma definitiva della loro condotta scorretta, vista la quantità di denaro che erno pronti a pagare per fermare le mie rivelazioni». 

Assomiglia molto a un ricatto.
«No, volevo vedere quanto fossero  preziosi, quanto fossero importanti per Doyen quelle informazioni. Pensavo che avrei potuto scoprirlo vedendo quanto Doyen era disposta a pagare per il mio silenzio. Non volevo prendere i soldi. Volevo solo smascherare Doyen».

Hai persino coinvolto un avvocato, che avrebbe dovuto stabilire un accordo per tuo conto e ha  incontrato il direttore generale di Doyen.
«Volevo vedere cosa gli avrebbero offerto. Mentre stava negoziando, ho continuato a leggere i documenti. E così facendo, mi sono detto: “Se permetterò loro di comprarmi subito, questo non mi farà apparire migliore di loro”. Così ho scritto a Doyen dicendo che si tenessero i loro soldi. Ho resistito. Non ho ricevuto neanche un centesimo. Mi sono comportato in modo molto ingenuo. Guardando indietro adesso me ne pento. Ma secondo me non ho commesso un reato».

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Hai mai fatto soldi approfittando delle tue informazioni sul malaffare nell’industria del calcio?
«Questo non l’ho mai fatto».

Hai ricevuto offerte per vendere i tuoi dati?
«Parecchie. Una volta ho ricevuto un'e-mail anonima in cui mi è stato offerto più di mezzo milione di euro. Ma ho respinto qualsiasi offerta». 

Chi critica Football Leaks sostiene che i tuoi documenti non dovrebbero essere usati perché sono stati ottenuti con mezzi illegali.
«Altri sostengono che i dati sono stati manipolati, falsificati o estrapolati dal contesto. Di conseguenza, dicono, non possono essere ammessi come prova in un tribunale. Penso che sia un'assurdità. I documenti sono autentici. Questo è ciò che conta».

Soprattutto all'inizio delle indagini di Football Leaks, hai prodotto un gran numero di  documenti su Cristiano Ronaldo. Perché proprio lui?
«Prima di tutto, questo dimostra che sono davvero imparziale. Ronaldo è il mio giocatore preferito, lo considero un calciatore completo. Tuttavia, il suo comportamento fuori dal campo deve essere valutato in modo completamente diverso. In termini di diritto penale. A questo scopo, Football Leaks è stato utile e lo è ancora. Non me ne importava molto se chiamavano in causa i miei giocatori preferiti o i miei club preferiti. Football Leaks ha agito in modo imparziale».

Hai mai avuto la sensazione che stavi facendo qualcosa di illegale?
«No. Almeno non fino ad oggi. Nel corso degli anni, il Parlamento europeo, i media di tutta Europa e molte autorità investigative hanno esaminato i miei dati.  E sono convinto che quel che ho fatto è stata la cosa giusta».

Hai mai avuto dubbi?
«Si, ne ho avuti, perché non sono stato sempre soddisfatto dei risultati ottenuti. Le autorità inquirenti, in particolare, mi hanno spesso deluso. Prendiamo, per esempio, l'evasione fiscale sistematica dell'industria calcistica in Spagna. In questo caso, gli investigatori si accontentavano quasi sempre di riscuotere pagamenti arretrati di qualche milione di euro, senza mai andare alla radice del male. Agenti, avvocati, banchieri, sono rimasti tutti impuniti. Eppure sono loro che tirano i fili. Erano loro quelli che escogitavano queste frodi».

Come hai reagito?
«Ho continuato per la mia strada. Credevo che prima o poi qualcosa sarebbe cambiato».

Finora, poco si sa su di te pubblicamente. Dove sei cresciuto in Portogallo?
«Vengo da Vila Nova de Gaia, una città sull'Atlantico, non lontana da Porto».

Cosa fanno i tuoi genitori per vivere?
«Mio padre è un pensionato. E’ stato  un designer di scarpe per più di trent’anni.  Viaggiava molto in giro per l'Europa. Mia madre invece rimaneva a casa. È morta di cancro quando avevo undici anni. E' stato un momento difficile per me».

Hai studiato storia all'università, ma non ti sei mai laureato in questa materia. Perché?
«Mentre frequentavo l'università, il mio rapporto con il Portogallo è cambiato. Molti dei miei amici hanno lasciato il paese, perché non vedevano più un futuro di fronte alla crisi economica. Uomini politici e avidi imprenditori hanno rovinato un Paese che prima andava bene».

Come hai affrontato la situazione?
«Prima di tutto, ho scelto di fare un semestre Erasmus a Budapest. Amo questa città. La luce, il Danubio, i castelli e i ponti. Mi piacerebbe vivere qui per sempre. E ho anche scoperto che qui c’era la possibilità di guadagnarmi da vivere. Mio padre commerciava in antichità e anch’io mi sono appassionato a questa attività. Ci sono molti tesori nell’Est Europa».  

Cosa ti ha dato l'idea per il lancio del tuo sito Football Leaks nell'autunno del 2015?
«Sono sempre stato un tifoso di calcio fin da quando ero bambino, e all’epoca della  sentenza Bosman mi ero già reso conto che il calcio stava andando in una direzione completamente sbagliata. I migliori giocatori giovani andavano nelle squadre più importanti e tutto si stava sbilanciando sempre di più a vantaggio dei club più grandi. L’impulso iniziale è stato lo scandalo FIFA del 2015. Oltre agli arresti nella Federazione internazionale, avevo notato irregolarità in molti trasferimenti all'interno del Portogallo. Intanto nel mondo del calcio entravano sempre più investitori. Allora ho iniziato a raccogliere dati».

Come hai fatto? Hai mai studiato informatica?
«Mai».

Come hai verificato i dati?
«Ho letto. Ho letto molto. Ogni giorno passavo ore seduto davanti ai documenti e li analizzavo. Più leggevo, più ero sconvolto».

Cosa ti aveva sorpreso in particolare?
«Molti documenti mostravano in che modo erano state create società offshore e come gli agenti sportivi si nascondevano dietro prestanome favorendo in tal modo un’evasione fiscale su larga scala».

Quando hai capito che stavi facendoti dei nemici?
«L’agenzia Doyen mi aveva messo alle calcagna investigatori privati. E lo stesso aveva fatto anche una potente associazione calcistica.  Una volta una ragazza mi aveva avvicinato ad una festa e aveva flirtato con me, ma io avevo notato che c’era qualcosa che non  andava. Mi aveva chiesto il numero di telefono e io glielo avevo dato. Volevo vedere fin dove sarebbe arrivata».

Anche lei era un detective privato?
«No, era una cronista di un tabloid e lavorava per  un giornale inglese a larga diffusione. Ma lo scoprii solo qualche settimana dopo. Quando ricevetti un  SMS in cui mi diceva: "Ehi, sappiamo che sei il ragazzo di Football Leaks. Lavoro per uno studio legale. Siamo interessati a ricevere documenti da te". Voleva incastrarmi».

Perché la polizia ha impiegato così tanto tempo a trovarti?
«Bella domanda. Avevo un appartamento qui a Budapest, dove ho vissuto una vita completamente normale».

Come e dove sei stato arrestato a Budapest?
«Era la sera del 16 gennaio. Ero appena tornato da un supermercato dopo aver fatto la spesa in compagnia di mio padre, che era venuto a trovarmi insieme alla mia matrigna. Appena imboccata la strada in cui si trova il mio appartamento, sono stato avvicinato da due agenti in borghese, che hanno controllato la mia carta d’identità e mi hanno fatto svuotare le tasche e lo zaino.  Poi mi hanno mostrato il mandato d’arresto europeo, tutto in ungherese, e mi hanno ammanettato».

Hanno frugato anche nel tuo appartamento?
«Non avevano un mandato di perquisizione, ma  hanno usato la mia chiave per entrare. La mia matrigna, che mi aveva fatto visita in quei giorni insieme a mio padre, rimase sconvolta  quando  all'improvviso si trovò davanti a nove poliziotti in cucina. Mi dissero di fare la valigia, mentre uno di loro mi avvertì che non sarei mai più tornato in quella casa».  

Eri riuscito a contattare un avvocato durante il tuo arresto?
«Me lo proibirono. Salutai i miei dicendo loro che sarebbe andato tutto bene. Poi venni portato in una stazione di polizia, dove fui rinchiuso in una cella per due persone. L'altro tizio era ok. Ma di notte, una guardia passava ogni mezz'ora e accendeva e spegneva la luce solo sopra il mio letto. E lo faceva solo con me».

Quanto tempo sei rimasto in cella?
«Due notti. Poi sono stato condotto davanti al giudice che mi concesse gli arresti domiciliari». 

La polizia ungherese ha confiscato oggetti nel tuo appartamento?
«Il mio computer, una decina di hard disk, tre telefoni cellulari e un altro paio di dispositivi elettronici».

Questi dati hanno una rilevanza pubblica, perché potrebbero rivelare reati penali?
«Sì, certamente».

Di quale volume di dati stiamo parlando?
«Dieci terabyte, circa sei dei quali non sono ancora stati analizzati».

Tu o i tuoi collaboratori avete copie di questi dati?
«Non posso rispondere a questa domanda».

Le autorità portoghesi stanno cercando di ottenere la tua estradizione. Cosa pensi che succederà ai dati confiscati se la magistratura portoghese dovesse impadronirsene?
«Gli ungheresi non dovrebbero consegnare loro questi dischi rigidi, perché il mandato di arresto elenca solo capi d’accusa risalenti al 2015. Penso che i portoghesi vogliano prima mettere le mani su tutto il materiale, per poi allestire nuove accuse contro di me».

Cosa speri?
«Mi aspetto che i pubblici ministeri in tutta Europa si riuniscano e dimostrino alle autorità ungheresi e portoghesi che le mie informazioni sono di grande interesse pubblico. E che hanno bisogno di questi documenti per le loro indagini, in modo da poter perseguire crimini che sono molto più gravi dei reati che di cui sono accusato». 

Con quali autorità investigative europee sei già in contatto?
«Con diversi organismi inquirenti. So che il mio avvocato William Bourdon ha parlato con magistrati belgi e svizzeri. Finora però ho incontrato solo gli investigatori francesi».

Quando è avvenuto il primo incontro?
«A fine 2018, a Parigi».

In quel momento, era stato richiesto il tuo aiuto solo come testimone anonimo o avevi già pensato di rivelare la tua identità?
«Avevamo preso in considerazione tutte le opzioni possibili».

Hai rivelato la tua identità alle autorità francesi l'anno scorso?
«Sì. Ho detto loro che dietro Johnla fonte di Footbal Leaks, c’ero io».

Hai già consegnato documenti alle autorità francesi oppure quelli più rilevanti si trovano nel materiale che ti è stato confiscato?
«L’unica cosa che posso dire è che stiamo collaborando».

Che ne è delle indagini su Cristiano Ronaldo, accusato di stupro da una donna americana, accuse che Ronaldo respinge?
«So che c’è un’indagine in corso ma non posso commentare».

Sei stato contattato dalle autorità statunitensi?
«Sì».

Le autorità investigative ti avevano già contattato dopo le prime rivelazioni di Football Leaks nel 2016?
«Avevo ricevuto alcune e-mail dalle autorità fiscali, tra cui una dalla Germania, da Monaco di Baviera».

Come ti eri comportato in quell’occasione?
«Alcune delle domande erano piuttosto arroganti. Gli investigatori finanziari britannici volevano innanzitutto sapere il mio nome e il luogo in cui vivevo. Questa è una follia per un informatore che desidera rimanere anonimo. Naturalmente non ho risposto. Allora non avevo avvocati e avevo bisogno di tempo e di una strategia che garantisse la mia sicurezza personale. Anche quella volta l’interessamento più credibile arrivò dalla Francia».

Perché?
«Le autorità inquirenti di quel paese sembravano molto determinate e professionali. Avevano  messo in chiaro che intendevano perseguire seriamente casi di corruzione, riciclaggio di denaro ed evasione fiscale nel calcio. Ebbi la sensazione di potermi fidare di loro e avevo bisogno di un partner forte. I funzionari francesi sono in grado di avviare indagini tramite Eurojust. Posso condividere i miei dati con loro ed essi possono quindi trasmetterli. Ho capito che Eurojust è uno strumento molto utile per le autorità di Paesi diversi per coordinare la loro attività. Un contatto è sufficiente. Se altri paesi desiderano condurre seriamente delle indagini, potranno contare sulla Francia. Ed anche su di me».

Dopo le rivelazioni di Football Leaks, c’è stata qualche federazione calcistica che ha cercato di mettersi in contatto con te?
«Football Leaks non è mai stato contatto né dalla FIFA né dall’UEFA. Questo è frustrante. Nelle  interviste che ho rilasciato sotto lo pseudonimo di "John", ho chiarito ripetutamente che avrei trasmesso documenti per far luce sui fatti, se mi avessero fatto qualche richiesta. Ma non ne ho mai ricevuta neanche una».

Perché ti stai opponendo all’estradizione nel tuo paese d'origine?
«Sono abbastanza sicuro di non ricevere un processo equo in Portogallo. La magistratura portoghese non è del tutto indipendente; ti vai a scontrare con molti interessi occulti. Naturalmente ci sono pubblici ministeri e giudici che prendono sul serio il loro lavoro. Ma questa mafia del calcio è ovunque. Vogliono mandare il messaggio che nessuno dovrebbe combattere contro di loro».

Temi che in Portogallo ti venga inflitta una condanna al carcere in Portogallo?
«Sono nervoso perché sono un bersaglio di attacchi, soprattutto da parte dei tifosi del Benfica di Lisbona. Dall'autunno scorso, ho ricevuto moltissime minacce di morte su Facebook. Quando ho incontrato gli investigatori francesi, le ho mostrate loro. Mi hanno detto che dovrebbero esser prese molto sul serio. Temo che se mettessi piede in una prigione portoghese, soprattutto a Lisbona, non ne uscirei  vivo».