Derivati milionari in perdita.Che sono stati venduti alla regione. Il reato è “provato al di là di ogni dubbio”. Però nessuno ha ancora pagato per i danni pubblici. Ma ora le motivazioni del verdetto, firmate dal giudice  riaprono il caso.

cuffaro2-jpg
La mafia. La mala politica. Le banche internazionali. La turbo-finanza. Le valigie piene di denaro. La crisi economica. Il debito pubblico. La sanità in deficit. L’evasione fiscale. C’erano tutti gli ingredienti, i numeri e i fatti nelle carte processuali per arrivare a condanne esemplari. Invece non ha pagato nessuno. Neppure i beneficiari immediati di un tesoro nero che un magistrato di Palermo ha definito «la tangente più grande della storia siciliana». Uno scandalo che sembrava insabbiato dalla prescrizione, ma ora è riaperto dalle motivazioni di una sentenza a sorpresa, depositata nei giorni scorsi dai giudici del tribunale di Palermo.

Questa è la storia di una regione indebitatissima del nostro Sud, che secondo l’Istat è al secondo posto in Italia per numero di famiglie indigenti (dietro alla Calabria) tra quartieri degradati, discariche esaurite e ospedali al collasso, che riesce a regalare più di cento milioni di euro a un colosso della finanza mondiale. Che per aggiudicarsi quel maxi-affare con un ente pubblico distribuisce almeno 16 milioni, segretamente, ai consulenti e tesorieri di un politico eccellente, condannato per favoreggiamento a Cosa nostra. Tutti arricchiti, a spese dei cittadini siciliani, grazie ai derivati: proprio quei contratti ad altissimo rischio e bassissima trasparenza che da più di un decennio, da quando è esplosa la crisi economica, sono additati come simbolo della finanza tossica, dei peggiori eccessi del capitalismo moderno. Che la giustizia finora non è mai riuscita a colpire.

Il sipario si apre a Palermo, nel gennaio 2006, in un processo per mafia. Presidente della Regione Sicilia è Salvatore Cuffaro, democristiano, in carica dal 2001 con il centrodestra berlusconiano. Il tribunale sta processando un imprenditore ricchissimo, Michele Aiello, diventato il re della sanità privata negli anni d’oro di Cuffaro. In aula depone Francesco Campanella, un collaboratore di giustizia importante, perché era un politico alleato dei più potenti boss corleonesi. È lui che ha procurato il documento di copertura (una vera carta d’identità compilata con un nome falso) utilizzato da Bernardo Provenzano, reggente di Cosa nostra dopo l’arresto di Riina, per andare a operarsi in Francia. Le sue confessioni aprono la pista che nel 2006 porterà alla cattura del vecchio padrino dopo 43 anni di latitanza. E sono determinanti anche per la condanna definitiva di Aiello, che farà scattare la confisca del suo impero sanitario. Davanti ai giudici Campanella parla anche di Cuffaro. E del suo «consulente per l’economia, banche e finanziamenti», Marcello Massinelli, che dal 2002 è entrato anche nel consiglio di amministrazione del Banco di Sicilia, poi assorbito da Unicredit.

Il pentito mette a verbale che il governatore e il banchiere sarebbero legati da «rapporti d’affari» mai dichiarati. I magistrati aprono un fascicolo. Verificano che Massinelli è stato tesoriere elettorale di Cuffaro. Ha aperto una società privata di consulenza, cointestata a un suo collaboratore, Calogero Fulvio Reina. Ed è diventato consulente finanziario del suo amico governatore, con apposito decreto regionale. Alla direzione nazionale antimafia arriva anche una lettera anonima, scritta da qualcuno che di finanza se ne intende, ma non vuole (o non può) esporsi. L’anonimo punta il dito s>ui derivati stipulati dalla Regione Sicilia con Nomura, un colosso bancario giapponese. Sono contratti complicatissimi, che riguardano i crediti della sanità. L’anonimo accusa: quei derivati sono truccati, sono contratti fuorilegge architettati per garantire alla banca profitti esagerati. E poi dividersi la cresta. La lettera precisa che il colosso giapponese sta restituendo una grossa fetta dei guadagni ai due consulenti di Cuffaro, «su conti esteri». E una parte dei soldi viene riportata in Sicilia «in contanti», di nascosto. Per distribuire «tangenti a uomini politici».

L’esposto anonimo non vale nulla in un processo, ma si rivela informatissimo. L’antimafia verifica che i rappresentanti italiani di Nomura hanno effettivamente siglato contratti derivati con la giunta Cuffaro per cifre in grado di far saltare il bilancio regionale. La Sicilia arriva a ritrovarsi esposta per oltre 313 milioni di euro: la banca giapponese è diventata il primo creditore della Regione. E l’effetto finale si annuncia disastroso: quei contratti hanno indebitato le casse pubbliche fino al 2034. I derivati, in sostanza, permettono al governo in carica di scaricare sulle generazioni future l’esplosione del passivo della sanità, che a quel punto sarà ancora più grave. Quindi l’antimafia trasmette per competenza l’indagine finanziaria alla procura di Milano, dove ha sede la filiale italiana di Nomura.

Ad approfondire le verifiche è la Guardia di Finanza. Il nucleo di Milano riesce a sequestrare documenti interni e messaggi di posta elettronica da cui risulta che i funzionari italiani di Nomura considerano già acquisiti profitti per decine di milioni. Per questo tipo di contratti, è un’anomalia assoluta, che agli inquirenti sembra quasi una confessione anticipata. Tutti i derivati, in generale, assomigliano a scommesse finanziarie, che dovrebbero avere risultati incerti. L’andamento futuro dovrebbe dipendere da molte variabili, come i tassi d’interesse. Invece nella scommessa siciliana si sa già chi vincerà: Nomura, secondo i dati raccolti dalle Fiamme Gialle, è sicura in partenza di incassare oltre 104 milioni.

Le indagini seguono la pista dei soldi. La prima scoperta è che i due consulenti siciliani, Massinelli e Reina, hanno incassato da Nomura un fiume di denaro: almeno 18 milioni e mezzo di euro, versati non solo dalla sede di Milano, ma anche da Londra. La banca internazionale li ha assunti in via riservata come «procacciatori di clienti» e li paga come «mediatori» proprio per i derivati siciliani. Massinelli però era già consulente della Regione, per cui avrebbe dovuto lavorare per l’interesse pubblico. Lui stesso, deponendo come testimone della difesa in un altro processo per mafia, conferma la sua carica: «In quei mesi vedevo Cuffaro quotidianamente. Lo conoscevo da 15 anni, per la comune militanza nella Dc giovanile: ero stato nominato consulente finanziario della Regione dietro sua richiesta».

Dopo il conflitto d’interessi, saltano fuori i conti esteri. Massinelli e il suo collaboratore Reina hanno una società italiana di consulenze, Rossini srl, ma controllano anche una cassaforte offshore, chiamata Profitview Ltd. La banca Nomura ha versato circa tre milioni alla loro ditta italiana. E altri 15 e mezzo all’anonima società estera: soldi «mai dichiarati al fisco italiano», come ora conferma la sentenza di Palermo che ricostruisce l’intera vicenda. Il verdetto sottolinea altri due elementi chiave. La Profitview (traduzione libera: profitti in vista) dichiara «attività non precisate» e «non risulta avere alcun dipendente», quindi è una società di comodo, creata solo per emettere fatture cartacee. Che non hanno contenuti reali: Massinelli e Reina «non hanno svolto alcuna effettiva consulenza per Nomura», scrive sempre il tribunale, visto che «non è stato rinvenuto neppure un documento che la attesti». In quegli anni il vero ruolo dei consulenti di Cuffaro, conclude la sentenza, «consiste nel garantire a Nomura le coperture di carattere politico-istituzionale, all’interno della Regione Sicilia». Tanto è vero che la banca paga ai due mediatori la prima «commissione di risultato» (success fee) ancora prima di aggiudicarsi il derivato iniziale: 250 mila euro versati al buio, senza neanche un pezzo di carta, per una curiosa «aspettativa di contratti futuri».

La offshore con i conti esteri, ovviamente, serve solo a distribuire di nascosto i soldi. Più di tre milioni e mezzo passano da Londra a Lugano. E poi finiscono in Italia. Due spalloni italo-elvetici (Pietro S. e Massimo C.) ammettono di aver ritirato non meno di tre milioni e 541 mila euro nella filiale svizzera di una banca lombarda e di averli portati in Sicilia a Massinelli e Reina. Un traffico di valigie di contanti che prosegue per almeno cinque anni. Una parte delle tangenti viene divisa con il funzionario italiano di Nomura che seguiva i derivati siciliani: anche lui incassa dalla offshore dei consulenti 800 mila euro in Lussemburgo, senza dichiararlo al colosso giapponese, per cui viene licenziato. Mentre gli altri banchieri milanesi vengono premiati con bonus milionari, per lo stesso grande affare che mina i conti siciliani. Altri due milioni e 200 mila euro vengono girati dai consulenti siciliani, sempre all’estero, a un altro mediatore italiano, che ha assicurato a Nomura altri derivati d’oro, questa volta con la disastrata Regione Calabria.

Dopo aver scoperto tutti questi traffici di denaro in nero, l’indagine nata nel 2006 resta incredibilmente ferma per anni. Trasferita da Roma a Milano, all’inizio viene coordinata, insieme ad altri fascicoli sui derivati, dall’allora pm Alfredo Robledo, che poi si perde in un interminabile scontro personale, per altre vicende, con il suo procuratore capo Bruti Liberati. Ritrasferita a Palermo per competenza, l’indagine arriva in tribunale tardissimo: l’interrogatorio del testimone d’accusa più importante, il tenente Domenico Siravo, è del novembre 2018. Nella sentenza del 20 febbraio scorso, al tribunale non resta che dichiarare la prescrizione di tutte le accuse. Ma ora le motivazioni del verdetto, firmate dal giudice Lorenzo Matassa, riaprono il caso.

La sentenza spiega che i consulenti di Cuffaro hanno potuto evitare la condanna solo per scadenza dei termini legali di durata del processo, ma sottolinea che i reati rimangono «provati al di là di ogni ragionevole dubbio». E conclude che uno scandalo così grave non può restare impunito. Quindi il giudice ordina tre nuove istruttorie.
La Procura di Palermo dovrà aprire una nuova indagine per «associazione per delinquere finalizzata alle truffe finanziarie», visto che era una rete organizzata a spacciare, in vari enti pubblici, quei derivati «ingannevoli, viziati da costi occulti e contrari alla legge»: contratti che in Sicilia «continuano a produrre danni anche nell’attualità», per cui la prescrizione non vale.

La Corte dei Conti di Palermo, inoltre, dovrà attivarsi per «recuperare l’immenso danno erariale», «quantomeno simile al risarcimento multi-milionario che la Regione Calabria ha ottenuto dalla stessa banca Nomura». Mentre i giudici del tribunale delle misure di prevenzione vengono invitati a dichiarare Massinelli e Reina «evasori abituali» e a confiscare i loro beni.

L’indagine-madre di Palermo ha portato nel 2011 alla condanna definitiva di Cuffaro per favoreggiamento della mafia. L’ex governatore, che avvertiva i boss delle intercettazioni in corso, è uscito dal carcere nel gennaio 2015 e ora raccoglie donazioni per i bimbi africani, radunando benefattori nei teatri di Palermo.
La banca Nomura ha cambiato i suoi funzionari italiani e ha restituito almeno 24 milioni alla Calabria, ma in Sicilia non ha rimborsato un soldo. Reina, inseguito da pignoramenti milionari, è socio di una compagnia elettrica e gestisce una cooperativa a Palermo. Mentre il suo capo Massinelli non ha mai smesso di fare soldi con le banche e la finanza d’assalto: in autunno, al culmine del processo siciliano, era in missione a Genova per l’affare Carige.