
Con una decisione depositata a fine novembre, a undici mesi dalla richiesta degli inquirenti, il Tribunale federale svizzero ha infatti respinto il ricorso delle parti e ha inviato in Vaticano parecchie carte bancarie che serviranno a ricostruire passaggi di denaro, consulenze e obbligazioni che hanno causato una voragine nei conti della Segreteria di Stato e dell’Obolo di San Pietro, ricoperta solamente grazie ad un emolumento assicurativo dello Ior - contrariamente a quanto dichiarato dal Presidente dell’Apsa, Monsignor Nunzio Galantino.
Le carte trasmesse sono centinaia e riguardano i protagonisti dello scandalo dell’acquisizione del Palazzo londinese di Sloane Avenue 60: Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi ed Enrico Crasso e società a loro riferibili. Poi Maddalena Paggi (moglie di Mincione), Fabrizio Tirabassi, Andrea e Riccardo Crasso, Luciano Capaldo, Nicola Squillace. Inoltre vi si trovano relazioni sui movimenti bancari in conti dove avevano potere di firma, oltre a Crasso e Tirabassi, monsignor Angelo Becciu e monsignor Alberto Perlasca.
Un puzzle composito che permetterà agli investigatori di ricostruire le fittissime trame economiche che si snodano a partire dall’affare immobiliare londinese e arrivano a toccare svariati interessi nel mondo della sanità. Proprio su questo versante Papa Francesco, a metà novembre, sgombrando il campo da eventuali operazioni speculative intorno all’Ospedale Bambin Gesù, ha riconfermato la presidente uscente, Mariella Enoc, divenuta la nemica numero uno della rete dell’ex Sostituto Becciu. Una partita che Bergoglio ha voluto chiudere molto prima della scadenza naturale, per mandare un segnale chiaro agli ambienti che in questo autunno hanno cercato di mettere le mani sull’ospedale romano e il suo immenso indotto. È stata la stessa Enoc a parlare della propria riconferma qualche giorno fa in un messaggio inviato ai dipendenti della struttura. Si tratta di un reincarico non scontato: sono stati infatti molti i tentativi di delegittimare l’autorevolezza della sua guida nel corso di questi anni, tentativi pianificati dall’ufficio di Becciu, come ha ammesso lo stesso monsignor Perlasca, che di Becciu era uno stretto collaboratore, in numerose deposizioni.
Sembra uscire sconfitto da questa partita di nomine l’uomo della sanità del cardinale Becciu, Guido Carpani. Capo di Gabinetto della ministra della Pubblica Amministrazione, Fabiana Dadone (M5S). Già Capo di gabinetto di Giulia Grillo al ministero della Salute nel precedente governo, Carpani vanta il prestigioso primato di essere stato nominato da due Stati differenti all’interno di due consigli di amministrazione. Da una verifica sul sito del governo si appura che nel corso del 2018 il sempreverde Carpani è stato nominato, dalla Segreteria di Stato della Santa Sede vicepresidente dell’Istituto Toniolo (l’ente fondatore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore che ha il compito di garantirne il perseguimento dei fini istituzionali, in particolare in ordine alle scelte strategiche e culturali, nonché agli indirizzi ideali e formativi dell’Ateneo); e poi consigliere di amministrazione e rappresentante del governo italiano (nominato dall’ex ministra dell’Istruzione e Università Valeria Fedeli) dentro il consiglio di amministrazione dell’Università Cattolica. Anche se a livello giuridico, per via dell’eccezionalità della situazione, non si ravvede un vero e proprio conflitto di interessi, emerge tuttavia una questione di opportunità.
La domanda è: di chi cura davvero gli interessi Guido Carpani, della Santa Sede o del governo italiano?
Ma l’interrogativo che si agita dentro le Mura Leonine riguarda anche i rapporti che Carpani ha intrattenuto nel corso di questi anni con alcuni dei protagonisti delle vicende legate al Palazzo di Londra, come Giampiero Milanese, presidente della Cooperativa Osa cui la Segreteria di Stato concesse un prestito obbligazionario. Legato a doppio filo a Fabrizio Tirabassi e Monsignor Mauro Carlino, Milanese avrebbe avuto un potere di influenza nella Segreteria di Stato tale da riuscire ad imporre, tra l’altro, la società incaricata di rifare il sito dell’Obolo di San Pietro, la Mito Group.
Un filo rosso, quello tra crediti sanitari e mercato immobiliare, che emerge chiaramente nell’inchiesta: l’unico comune denominatore sembra essere infatti prendere i soldi dalle casse vaticane ed usarli per spericolate operazioni finanziarie. È il caso di Raffaele Mincione, vero dominus dell’affare del palazzo di Londra. L’ingresso di Mincione in Vaticano avviene per il business mai realizzato del petrolio angolano: a portarlo dentro le Mura fu Enrico Crasso su indicazione di Alessandro Noceti, ex Credit Suisse ora in Valeur. Il modo di agire di Raffaele Mincione ora sta diventando sempre più decifrabile. Il finanziere di Pomezia ha sempre utilizzato una stessa tecnica: riceveva fondi dati in collocazione per investimenti, spesso infruttiferi, e provvedeva invece a utilizzarli per business di suo interesse.
Ad esempio il famoso palazzo di Sloane Avenue viene acquistato attraverso gli investimenti di Enasarco, l’ente previdenziale degli agenti di commercio. Nel 2011, sotto la presidenza di Brunello Boco e la tesoreria di Carlo Felice Maggi, viene conferito in gestione a Mincione un fondo di investimenti di 170 milioni di euro: soldi che saranno depositati nel suo fondo, denominato Athena, e utilizzati (60 milioni) per l’acquisto di immobili a Londra, tra cui il palazzo di Sloane Avenue. Le altre risorse, circa 110 milioni, saranno girate da Athena nel 2012 alla società “Time and Life”(sempre di proprietà di Mincione) per la scalata della Banca Popolare di Milano di cui acquista il 5% delle azioni.
Questo tipo di investimenti speculativi porta ad una perdita considerevole del valore del patrimonio dato in gestione da Enasarco. A questo punto l’ente, vigilato dal Ministero del Lavoro, decide di licenziare il tesoriere Carlo Felice Maggi e di ristrutturare gli investimenti, conferendo le quote del fondo Athena al fondo Europa, che inizia una lunga trattativa per riavere i 170 milioni. Al momento dell’inizio della contrattazione, la gestione di Mincione aveva procurato 30 milioni di perdite: alla fine l’ente riesce a chiudere una transazione lasciando sul campo solo 7 milioni di euro.
Mincione restituisce i soldi ad Enasarco, ma il denaro non è suo, bensì del Vaticano. Infatti, grazie al sodalizio con Enrico Crasso e alla pianificazione dell’affare del palazzo di Sloane Avenue, è la Santa Sede ad acquistare le posizioni azionarie del fondo Athena. Attraverso questa operazione di finanza creativa, consistente nell’acquisto delle posizioni azionarie di Mincione in Banca Popolare di Milano e avvalorata dall’aumento strumentale del valore immobiliare delle case londinesi, il finanziere riesce a farsi assegnare dalla Segreteria di Stato nel 2015 oltre 200 milioni di euro, che servono per la restituzione al fondo Europa, e quindi ad Enasarco, e per avviare la scalata a Banca Carige.
Nel frattempo, in Enasarco nel 2016 la governance cambia: viene eletto Gianroberto Costa, Giovanni Maggi diviene tesoriere ed entra in consiglio di amministrazione Alfonsino Mei, uomo di fiducia di Raffaele Mincione (che lo inserirà nella scalata Carige). Sin dal giorno del suo insediamento, Mei inizia un’opera di pressione su Costa per affidare nuove risorse a Mincione che vuole completare la scalata in Banca Popolare di Milano. Secondo quanto riportano fonti interne, Mei chiede che l’Ente conferisca altri 300 milioni a Mincione.
Costa e Maggi comprendendo il legame tra i due, chiedono un incontro con l’ex sostituto Angelo Becciu, al quale viene spiegato il modus operandi in corso. Ma Becciu non allerta né la Gendarmeria e né i suoi uffici, che continuano a riporre fiducia in Mincione. Intanto, i 300 milioni da Enasarco non arrivano. Allora inizia un attacco mediatico contro il presidente Gianroberto Costa che permette a Mei di lanciare la propria campagna per la guida dell’Ente: e con successo, perché la sua lista in Enasarco risulta la più votata, prima che il Tar del Lazio sospenda i risultati per una denuncia di irregolarità da parte delle altre liste.
Un’intersezione di interessi enormi che dimostra quanto l’inchiesta sul palazzo di Londra abbia disvelato un meccanismo corruttivo unico nel suo genere, con una portata transnazionale e affari che hanno toccato punti distantissimi tra di loro. Mondi che cercano in queste settimane una vicendevole copertura e che vorrebbero mantenere le mani sul potere, in attesa che la burrasca si plachi e tutto possa tornare come prima. Ma le riforme volute da Papa Francesco vogliono portare la Chiesa e il futuro delle finanze vaticane molto lontano da paradisi fiscali e isole offshore.