
L’emergenza di queste settimane sta mostrando la fragilità della globalizzazione. Da questa crisi nasceranno certamente nuovi equilibri internazionali, di cui si vedono già le anticipazioni per il momento ancora riservate ai rapporti non dichiarati tra capitali ed emissari orientali. Poiché finora anche la salute degli Stati Uniti dipende dai componenti chimici importati, l’Europa e l’Italia questa volta dovranno probabilmente cercare aiuto a Est: solo i governi e le multinazionali che hanno i migliori canali diplomatici con Nuova Dehli o Pechino potranno curare meglio i loro cittadini-pazienti.
L’epidemia Covid-19 provocata dal virus Sars-Cov-2 non è trattabile con farmaci specifici, che si stanno ancora studiando. I medici cinesi, che ci precedono di circa due mesi in questa drammatica esperienza, hanno curato i malati più gravi con impieghi off-label, cioè attraverso l’utilizzo sperimentale di medicinali per indicazioni diverse da quelle per le quali sono stati autorizzati: si va dall’antivirale certificato per curare i malati di Ebola alla clorochina, un comune antimalarico che ha prezzi molto contenuti e forse proprio per questo non figura per ora nei principali protocolli occidentali.
Martedì 3 marzo, quando buona parte d’Italia ritiene che il focolaio sia un problema lombardo e il resto d’Europa una minaccia solo italiana, è l’India a scuotere il mercato farmaceutico. La direzione generale del Commercio estero di Nuova Delhi annuncia il blocco delle esportazioni di numerosi ingredienti. Si va dal comune paracetamolo, il principio attivo di medicinali antipiretici e analgesici, ad antivirali come l’acyclovir, ad antibiotici come la neomicina. La notizia fa il giro del mondo e nelle stesse ore l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, predispone nuovi ordini per scongiurare il rischio di carenze nell’assistenza ai malati più gravi di Covid-19: alcune delle forniture di emergenza arrivano proprio dall’India, oltre che dalla Bulgaria.
Il Pharmaceuticals Export Promotion Council, un organismo istituito dal ministero per il Commercio e l’industria indiano, giustifica il provvedimento con il fatto che «alcune di queste molecole potrebbero affrontare una carenza nei prossimi due mesi e se le conseguenze del virus peggiorano, la carenza potrebbe diventare acuta».
L’India importa dalla Cina circa il settanta per cento dei suoi ingredienti e dei farmaci finiti, che successivamente confeziona per l’esportazione nel resto del mondo. A loro volta le industrie degli Stati Uniti producono in India il quaranta per cento del loro fabbisogno di medicinali. La Francia ha praticamente nazionalizzato tutta la disponibilità di farmaci, dispositivi di protezione individuale e macchinari ospedalieri per far fronte a una inesorabile epidemia, come l’ha definita il presidente Emanuel Macron. Così ha fatto la Germania, dove tra l’altro passa la maggior parte delle macchine importate e poi certificate Ue per l’assistenza alla respirazione, che alimentano le Cpap (Continuous positive airway pressure), gli apparati per la ventilazione meccanica a pressione positiva continua con cui viene somministrato ossigeno ai pazienti. Queste ristrettezze hanno già fatto lievitare i prezzi delle materie prime farmaceutiche sul mercato internazionale tra il dieci e il cinquanta per cento.
«I nostri malati di polmonite vengono trattati con terapie di supporto», racconta un medico dal reparto di rianimazione di un piccolo ospedale lombardo: «Soltanto i centri più specializzati somministrano ai pazienti i farmaci antiretrovirali di cui si è parlato in questi giorni. Le forniture di medicinali comunque per il momento arrivano, ma a fatica. Le farmacie ospedaliere si stanno soprattutto prodigando per procurarci i dispositivi di protezione individuale monouso: per quelli l’approvvigionamento è ancora difficoltoso rispetto alle necessità».
Tra le grandi case farmaceutiche, al momento Novartis Sandoz si è impegnata a mantenere prezzi stabili per i medicinali generici, gli antibiotici e i preparati di largo consumo impiegati nella catena di trattamento per l’epidemia di Covid-19. L’Agenzia europea per il farmaco ha istituito un gruppo di monitoraggio in collaborazione con la Commissione europea e le autorità nazionali: «Al momento», sostiene Noël Wathion, vice direttore esecutivo di Ema, «non vi è alcuna indicazione che la fornitura di medicinali sia influenzata dall’epidemia di Covid-19. Questo si basa sulle informazioni fornite dall’industria farmaceutica e dagli Stati membri, nonché sulle informazioni, sebbene limitate, delle autorità sanitarie cinesi. Riconoscendo le incognite legate alla quantificazione dell’impatto sulle forniture di medicinali al mercato dell’Ue, l’attenzione dell’Ema è in primo luogo sull’analisi della banca dati dell’agenzia. Tale analisi ha dimostrato che il numero di siti di produzione attivi in Cina, nonché il numero di sostanze attive importate direttamente dalla Cina, è notevole».
La situazione però cambia di giorno in giorno con una diffusione ancora esponenziale dell’epidemia. Quale sarà il fabbisogno di grandi Paesi come Francia, Germania e Stati Uniti, che sono molto più indietro dell’Italia nel calendario dell’emergenza? E quale sarà il nostro fabbisogno?
Da inizio marzo l’Aifa, per far fronte alla carenza di antivirali, ha autorizzato l’importazione di circa cinquemila confezioni di lopinavir/ritonavir: un farmaco certificato per trattare le persone che hanno contratto il virus dell’immunodeficienza acquisita Hiv-1, che però sembra funzionare anche contro il virus Sars-Cov-2. Il costo, in base alle quantità e al produttore, varia tra i 375 e i 536 euro a confezione, con un ricavo per l’industria tra i 227 e i 325 euro. Anche il tocilizumab, il medicinale per l’artrite reumatoide, sperimentato in Cina e ora anche a Napoli per i casi gravi di Covid-19, ha costi molto elevati: tra i 211 e i 1.482 euro a confezione, con ricavi per l’industria fino a 897 euro.
La speranza, soprattutto per i Paesi economicamente più deboli come l’Italia, è che venga estesa e confermata la sperimentazione a base di clorochina: una confezione da 30 compresse rivestite da 250 milligrammi costa al pubblico 3,59 euro, con ricavi per l’industria di 1,91 euro. L’antimalarico diffuso in tutto il mondo è stato impiegato su oltre cento malati gravi di Covid-19 in Cina da Janjun Gao, Zhenxue Tian e Xu Yang, medici del dipartimento di Farmacia dell’ospedale municipale e del dipartimento di Farmacologia dell’Università di Qingdao, che ne ha pubblicato i risultati il 18 febbraio. Anche in Europa la clorochina era stata impiegata come antivirale, anche se non per il coronavirus, da un gruppo di ricercatori dell’Università di Aix-Marseille, in Francia.
L’idea di usare la clorochina contro il coronavirus della Sars fu lanciata da Andrea Savarino, ora ricercatore dell’Istituto superiore di sanità, nel 2003: «L’ipotesi», spiega il sito dell’Iss, «si basava su un’analisi della letteratura da cui si evinceva un effetto antivirale ad ampio spettro della clorochina. Inoltre quest’ipotesi teneva conto delle proprietà immunomodulanti del farmaco, usato talvolta con successo nel trattamento dell’artrite reumatoide. L’anno successivo, dopo che l’epidemia di Sars si fu esaurita, il gruppo di Marc Van Ranst della Katholieke Universiteit Leiven in Belgio dimostrò gli effetti inibitori della clorochina in vitro sul coronavirus della Sars. L’effetto fu poi confermato indipendentemente da altri gruppi di ricerca».
Per l’attuale epidemia di Covid-19 bisogna però attendere la conferma dei risultati: «Invito tutti alla massima cautela», dichiara Savarino, «perché spesso effetti osservati in vitro ed in modelli animali non si rivelano poi riproducibili quando traslati all’uomo e anche se i primi risultati sui pazienti sembrano positivi, ci vorrà tempo per avere un’indicazione definitiva. Il sito web dove è stata annunciata la sperimentazione clinica purtroppo non riporta il dosaggio di clorochina cui verranno sottoposti i pazienti. Sulla base di una pregressa analisi della letteratura, raccomanderei un dosaggio di 500 mg al giorno. Dosaggi inferiori di clorochina, almeno quando somministrata in monoterapia, hanno una bassa probabilità di esercitare effetti antivirali ed immunomodulatori significativi». In attesa che la sperimentazione annunci l’efficacia di questa terapia a basso prezzo, l’unico rimedio a buon mercato e sicuro contro la diffusione del contagio per ora è rimanere chiusi in casa.