La nomina del capitano Ultimo ad assessore è stata la mossa per la neogovernatrice Jole Santelli per dare una patente di legalità alla sua squadra. Ma le inchieste colpiscono esponenti di Fratelli d'Italia, Forza Italia e Lega

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Se con la nomina dell’assessore Ultimo la neogovernatrice calabrese Jole Santelli sperava di consegnare una patente di legalità alla sua futura Giunta, la cronaca è arrivata assai presto a scombinarle i piani. Non solo il passaggio in politica di Sergio De Caprio, uno dei pochi ufficiali che ha pubblicamente negato la trattativa Stato-mafia, non è stato poi così ben visto tra inquirenti e investigatori, ma ancor prima di ufficializzare la squadra di governo, la maggioranza di Santelli ha perso pezzi e guadagnato imbarazzi causa arresti.

Ai domiciliari per scambio elettorale politico mafioso è finito Domenico Creazzo, neoconsigliere regionale di Fratelli d’Italia e la stessa richiesta è arrivata per il senatore Marco Siclari di Forza Italia, Giunta per le autorizzazioni permettendo. Ma a uscire con le ossa rotte dall’inchiesta Euphemos della procura antimafia di Giovanni Bombardieri è tutto il centrodestra, anzi tutto l’arco politico. Che in via più o meno diretta si è seduto a chiacchierare di voti e preferenze con gli uomini del clan Alvaro.

Un casato storico, che fra i suoi ranghi annovera soggetti come Cosimo Crezzo, mezzo secolo da affiliato all’attivo e tanto anziano da ricordare i tempi della picciotteria, quando gli sgarristi portavano il muffeddhu (fazzoletto) al collo. A Sinopoli, Sant’Eufemia e in quel pezzo di Aspromonte, gli Alvaro comandavano allora e comandano oggi. E si sono dimostrati il partito che tutti si affrettano a scegliere, quale che sia lo schieramento ufficiale. A partire dal neoconsigliere di Fratelli d’Italia, Domenico Creazzo.

DAL PD A FRATELLI D’ITALIA, PASSANDO PER LA ‘NDRANGHETA
Eletto sindaco di Sant’Eufemia con il centrosinistra, un mese dopo aver firmato un appello per chiedere la ricandidatura dell’ex governatore dem Mario Oliverio silurato dal Pd nazionale, Creazzo è apparso in lista con i meloniani. Motivo? «Devo andare in un posto dove sono sicuro di essere il primo – spiega intercettato - e là si deve prendere il seggio». A corteggiarlo erano in tanti, ma il suo cuore batteva per la Lega, salvo poi trovare parcheggio in Fratelli d’Italia. Una scelta definita insieme al clan Alvaro.

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A gestire tutto, il fratello Nino, che insieme al mandatario elettorale del clan, Domenico Laurendi ha negoziato «non solo l'appoggio elettorale» scrive il giudice ma anche «la migliore scelta di campo politico per il Creazzo, la cui candidatura, quindi, diveniva affare comune e di tutti». In cambio di voti e in nome e per conto del fratello, Nino Creazzo faceva promesse, esaudiva desideri, assicurava corsie preferenziali nell’aggiudicazione di appalti e posti di lavoro. Ma soprattutto si impegnava ad aggiustare sentenze in Corte d’Appello a Reggio, come in Cassazione a Roma. Il canale? Un funzionario pronto ad obbedire a comando e «che è un fratello». Di loggia? Forse, ma toccherà alla procura di Catanzaro capirlo. Anche perché proprio in quel periodo Laurendi è stato assolto dopo una condanna per mafia in primo grado.

Medesime promesse di addomesticare i tribunali, a detta di Creazzo le avrebbe distribuite il diretto competitor del fratello, Giuseppe Neri (che si sappia non indagato). Anche lui ex Pd, anche lui finito in Fratelli d’Italia, anche lui – racconta Creazzo – sostenuto da grandi elettori di ‘ndrangheta. Rimasti però assai scontenti. «A Bagnara – lo sente dire la Squadra Mobile, che con il commissariato di Palmi ha sviluppato l’indagine - hanno promesso a Laurendi che non so cosa gli avrebbero fatto! Ha preso duecento voti e l'hanno arrestato». E a Sinopoli «a questi dei Violi, che quella volta hanno preso a coltellate a quello a Bagnara, ha promesso che gli buttava a terra il processo in Cassazione ed ha preso l'ergastolo! No, venti anni!».

Parola di Nino Creazzo, che ‘ndranghetista non lo è per nascita, ma come tale si comporta. «Deve dire tutta la verità» ha detto la moglie Ivana Fava, carabiniera e figlia del brigadiere Nino, nel gennaio ’94 assassinato dai clan insieme al collega Cecè Garofalo. Ma anche lei (non indagata) non sembra aver mai avuto remore nel dividere cene e selfie con parenti di boss o nell’aiutare imprenditori a strappare certificazioni antimafia su richiesta del marito.

Di certo, per metodi Nino Creazzo nulla aveva da invidiare agli uomini dei clan che spesso frequentava fra “mangiate” in Aspromonte e conclave elettorali. Intercettato, gli investigatori lo ascoltano riferire soddisfatto del ricatto che avrebbe permesso al fratello di strappare l’appoggio dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti, in carcere per aver taroccato il bilancio comunale di Reggio Calabria, minacciato con «dati e documenti che, ove resi pubblici, avrebbero fortemente danneggiato sotto il profilo giudiziario lui e i suoi più fidati collaboratori». E secondo indiscrezioni, l’appoggio ci sarebbe stato, con buona pace di Tilde Minasi, fedelissima di Scopelliti e capolista della Lega, eletta per miracolo con poco più di duemila voti.

IL CANDIDATO CHE IMBARAZZA LA LEGA E IL SENATORE CHE FA ARROSSIRE FORZA ITALIA
Di un contatto fra il Carroccio e il mandatario elettorale degli Alvaro per trattare il sostegno a Creazzo la traccia c’è. È il febbraio 2019. L’allora aspirante consigliere si è già affidato agli Alvaro che, con la Lega in testa nei sondaggi, lo vogliono in lista con il partito di Salvini.

«Li conosco a tutti, vengono tutti per qua» dice il mandatario elettorale degli Alvaro. Però vuole un canale sicuro per assicurarsi la candidatura del suo uomo, per questo si rivolge al leghista Nino Coco. E lui non si tira indietro. «Ho il contatto diretto con una donna che è il braccio destro, uno dei bracci operativi Salvini, che è la Bergonzoni di Bologna – dice intercettato Coco - Aldilà che è una bella donna, è anche omissis, ok. Che prima di tutto voglio sapere gli omissis che sono molto importanti .. quindi vediamo come evolve». I due sono sulla stessa linea d’onda. Ragionano nello stesso modo. Anche per Coco, sul candidato «come hai detto, noi garantiamo ma ci deve garantire». E Laurendi non può che assentire.

Ma in fondo non è una novità trovare terreno fertile per l’uomo degli Alvaro. Alle politiche del 2018 anche i fedelissimi del senatore Marco Siclari di Forza Italia lo hanno contattato per mendicare voti. Graziosamente concessi dopo aver incontrato anche il senatore, in cambio di assunzioni, raccomandazioni e favori, incluso un posto di lavoro creato ad hoc per la nipote di un affiliato degli Alvaro. Per la procura, materiale sufficiente per chiedere i domiciliari. Per la neogovernatrice Santelli, che dopo i proclami iniziali sulla legalità non può sbagliare, un guaio. Con travagli interni dei partiti della sua coalizione a complicare la situazione.

La neo eletta presidente della Regione Calabria Jole Santelli (D) durante la conferenza stampa per presentare la nomina di Sergio De Caprio (Capitano Ultimo) (S) ad assessore con delega alla Tutela dell'Ambiente nella giunta della Regione Calabria, Camera dei Deputati, Roma, 18 febbraio 2020. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

FRATELLI D’ITALIA O FRATELLI DI ‘NDRANGHETA?
In Fratelli d’Italia, subito si è cercato di mettere più gradi di separazione possibile fra l’imbarcata di imbarazzanti transfughi – Creazzo in primis, con Neri a seguire – e Giorgia Meloni, in stato di grazia per la crescita nei sondaggi. A immolarsi è stato il commissario regionale Edmondo Cirielli, deputato e questore della Camera. «La decisione di candidare Creazzo è stata solo mia» ha ammesso, salvo poi tentare di scaricare la responsabilità sulla commissione parlamentare antimafia, accusata di non aver segnalato il pericolo. Peccato che non potesse farlo, come gli ha brutalmente ricordato Angela Napoli, ex senatrice di An, da tempo lontana dai vecchi camerati. «Cirielli "ci sei o ci fai?" Sei un Ufficiale dell'Arma dei Carabinieri! Quale uomo del tuo Partito calabrese ti ha consigliato questa e le altre candidature?». Il seguito è rissa social, con reciproche accuse di svendita per far carriera.

Ma Creazzo è solo l’ultimo di una lunga serie di uomini della Meloni arrestati per mafia. Nell’agosto scorso, Sandro Nicolò, considerato organico al clan Libri di Reggio Calabria. Poco dopo, Giancarlo Pittelli, noto penalista, massone ed ex parlamentare di Forza Italia, al suo passaggio in Fdi salutato da Meloni come «valore aggiunto» e poi arrestato come braccio economico, finanziario e istituzionale del superboss Luigi Mancuso. Fuori Calabria, l’assessore regionale piemontese Roberto Rosso, anche lui in manette per ‘ndrangheta. Meloni nulla commenta e i suoi colonnelli tacciono. Ma questo non significa che a Roma non ci si ragioni, magari pensando con terrore a come riempire le caselline della Giunta in Calabria.

FRA SILENZI E COMMISSARIAMENTI, LA VIA PILATESCA DI SALVINI
Alla Lega non va certo meglio. Dopo aver tuonato contro la ‘ndrangheta per tutta la campagna elettorale, il Capitano non ha proferito fiato sugli incontri pericolosi del suo candidato Nino Coco. Tanto meno sulle trattative che avrebbero dovuto portare Creazzo nel Carroccio. Silenzio anche sul suo deputato Domenico Furgiuele, che con l’inchiesta sugli Alvaro non ha nulla a che fare ma, come di recente raccontato dall’Espresso, risulta ben inserito nella galassia societaria prossima al genero Salvatore Mazzei, “re dell’autostrada” condannato per estorsione e destinatario di una confisca antimafia. Insomma, il tanto proclamato «sostegno ai magistrati come Nicola Gratteri» ancora non si è visto.

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Ma dalle parti di via Bellerio qualche preoccupazione sembra esserci. E forse non a caso, il commissariamento del partito in Calabria non sparisce ma raddoppia. Come la “pena” per il deputato bergamasco Cristian Invernizzi, per oltre un anno condannato a governare il partito calabrese da commissario e adesso incoronato segretario «in carica per 3 anni». A marcarlo stretto il «nuovo vice-responsabile nazionale agli enti locali Walter Rauti» -recita la stringatissima nota ufficiale - con cui «procederanno a incontrare le varie realtà del territorio per procedere alla ristrutturazione del partito e degli enti locali». E se questo si tradurrà in un ridimensionamento di soggetti palesemente incompatibili con la propaganda antimafia del Capitano, saranno anche le nomine in Giunta a dirlo.

Con l’appoggio del neoeurodeputato Vincenzo Sofo, di recente catapultato a Bruxelles causa Brexit, Furgiuele e i suoi stanno spingendo il neoconsigliere regionale Pietro Molinaro, ex presidente di Coldiretti in Calabria, verso l’assessorato all’Agricoltura. Un endorsement di cui il diretto interessato sembra fiero e grato, come dimostra la romantica torta che ha voluto regalare al “suo” eurodeputato, piombato in Calabria proprio mentre sono in corso le trattative per la Giunta. Peccato che Invernizzi e Rauti non si siano mai fatti vedere alle iniziative organizzate in fretta e furia sul territorio, a testimonianza di una guerra che le nuove nomine non hanno né sopito né interrotto.
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IL GARANTISMO DI SANTELLI E IL SILENZIO DI ULTIMO
Bisticci interni che forse alla Santelli vanno anche bene. La neogovernatrice ha bisogno di tempo per studiare le mosse, anche se il 9 marzo – data in cui dovrà essere tassativamente convocato il primo Consiglio regionale – è ormai alle porte. Nel frattempo si dichiara «garantista» perché «ritengo che occorra estrema prudenza e, soprattutto, sia sempre necessario evitare condanne preventive». E il suo assessore Ultimo, che alla lotta alla mafia deve fama e gloria dopo l’arresto di Totò Riina, come polemiche e sospetti dopo la mancata perquisizione del covo del boss? A quanto pare nulla ha da dire. Adesso è prestato alla politica, ma da carabiniere magari è ancora «uso a obbedir tacendo».