Farmaci vietati, mascherine truffa e prezzi folli: la grande speculazione online intorno al Covid
Dispositivi di protezione venduti su Facebook, medicinali senza ricetta, prodotti contraffatti. Così la pandemia ha alimentato l’e-commerce nero. In cui provano a entrare tutti: dalle pizzerie alle casalinghe, dai pr alla criminalità organizzata
Mentre i numeri dei contagiati dal Covid-19 in Italia continuano a calare, c’è un’altra emergenza che non è finita e alimenta un business su cui si allunga anche l’ombra della criminalità organizzata: quello dello spaccio di farmaci anti-coronavirus su internet. Siti con server all’estero, nomi dei gestori oscurati, annunci truffa sui social formano una rete in cui molti italiani, spaventati dalla pandemia, rischiano di rimanere intrappolati.
Solo negli ultimi mesi i Carabinieri del Nas, guidati dal generale Adelmo Lusi, hanno oscurato 41 portali in cui venivano venduti illegalmente, - perché si tratta di farmaci per cui è obbligatoria la ricetta o di cui non è consentito il commercio nel nostro Paese - dispositivi e principi attivi come clorichina e idrossiclorichina utilizzati contro la malaria, Darunavir/Cobicistat e Lopinavir/Ritonavir per il trattamento dell’hiv e l’Umifenovir, antivirale utilizzato per il trattamento influenzale (non autorizzato in Europa). «Per quanto non siano al momento emerse chiare evidenze investigative - spiega una fonte - è concreta la possibilità che organizzazioni criminali, tanto nazionali quanto straniere, traggano vantaggi economici dai numerosi utenti della rete che si rivolgono a siti con server collocati in aree extra Ue che propongono rimedi “miracolosi” e medicinali non autorizzati assumendoli senza controllo medico e con grave pericolo per la salute».
Quello dei medicinali è solo l’ultimo e più pericoloso esempio di un “ecommerce nero” dell’emergenza da cui molti hanno provato e provano ancora a trarre profitto. «Abbiamo denunciato all’Autorità Garante della concorrenza e al mercato oltre che al Ministero della Salute tamponi fasulli per il Covid. C’è stata una fase in cui si proponevano tamponi venduti a prezzi anche sostenuti e che non avevano nessuna validità, nessuna autorizzazione - spiega Emilio Viafora, presidente di Federconsumatori - Poi sono scomparsi, ma fino a che non è intervenuta l’Autorità molte persone li hanno usati». Viafora punta il dito anche contro i controlli troppo blandi o la lentezza a intervenire della piattaforme digitali. «Non è possibile che ci siano gruppi su una piattaforma che possono dire e fare quello che vogliono. Questo è un dibattito aperto in tutto il mondo. Siamo contrari a un controllo pubblico, ma bisognerebbe avere una codificazione e aumentare la possibilità per le autorità di intervenire rapidamente. C’è anche una responsabilità di chi gestisce la piattaforma». Solo a giugno i Nas hanno sequestrato 656 test rapidi diagnostici per rilevare la presenza di anticorpi, rinvenuti in laboratori non registrati o autorizzati: 20 in una azienda tessile a Firenze, 281 in una parafarmacia e 199 in un ambulatorio a Bologna, 118 in un laboratorio analisi a Udine e 38 a Treviso. A dimostrazione di un fenomeno esteso su tutto i territorio nazionale.
L’assalto al business del Covid è iniziato ancora prima del lockdown: mentre le farmacie di tutta Italia appendevano il cartello “Mascherine esaurite”, in rete c’era già chi speculava. Milioni di italiani alla ricerca di un dispositivo di protezione in quel momento introvabile, sono presto diventati l’obiettivo di truffe e offerte di ogni tipo. Avventurieri, mediatori, truffatori da ogni paese si sono riversati su siti e social network per vendere mascherine, guanti e protezioni. Trasformando il web più che in una grande opportunità, in un moltiplicatore di paure e illegalità. A volte con risvolti grotteschi, altre con gravi pericoli per la salute delle persone che le utilizzano.
Basta una sola ricerca online per essere “targettizzato” dagli algoritmi e diventare bersaglio di centinaia di annunci e pubblicità specifiche. Così su Facebook ci si imbatte in una pizzeria indiana che vende anche mascherine di due tipologie, da ordinare comodamente dal sito. Oppure, attraverso una pagina aperta il 20 marzo, per soli 1.500 euro si possono ricevere 500 “copri bocca filtranti”. Nei gruppi chiusi del social network è ancora peggio: pr, casalinghe, venditori ambulanti, vicini di casa e terzisti propongono kit in lingua cinese per diagnosticarsi il Covid-19, oltre che gel igienizzanti, termoscanner, tute protettive, «merce già a terra, pagamento anticipato, no perditempo».
CACCIA GROSSA SU FACEBOOK «Già a Milano, mascherine FFp2 e FFp3 a 2.50 e 3.50 euro. Minimo 100.000 pezzi», si legge sul gruppo Facebook “Compro/vendo mascherine e test anti-covid”. Qualcuno sotto l’annuncio fa notare che la spesa finale sarebbe di 250 e 350mila euro. La Fase 1 della pandemia è stata anche una corsa alla truffa; ma con la fine del momento più acuto dell’emergenza gli affari non si sono fermati. Diversi gruppi chiusi, alcuni con oltre duemila iscritti, ospitano ora annunci di venditori con “sconti per inutilizzo”, “vero certificato originale”, dibattiti su “contrassegno o pagamento anticipato su Paypal”, merce “bloccata in dogana”.
Quanto il business possa dimostrarsi remunerativo lo dimostrano anche gli investimenti fatti dai venditori stessi. Sono centinaia gli “annunci sponsorizzati”, cioè che un utente paga affinché vengano visti da più persone su Facebook, raccolti dall’Espresso. Molti di questi annunci rimandavano a portali con domini registrati in Canada o negli Stati Uniti solo poche settimane prima, spesso con il vero nome dei gestori oscurati o con descrizioni false, del tutto assenti o copincollate da altre pagine legali. Come è successo al Comitato Maschere Italiane, associazione nata per promuovere Pulcinella, Arlecchino e le altre figure della tradizione nazionale, ritrovatosi citato a sproposito (con tanto di indirizzo e numero di telefono) nelle pagine “Chi siamo” di decine di siti truffa che vendono ancora oggi mascherine a prezzi decuplicati.
Una situazione nota anche a Facebook. «Abbiamo rimosso milioni di inserzioni pubblicitarie, post, pagine e annunci su Marketplace per la vendita di mascherine, disinfettanti per mani, salviette disinfettanti per superfici e kit di test Covid - spiega l’azienda - A marzo abbiamo temporaneamente vietato le inserzioni pubblicitarie e gli annunci commerciali per la vendita di mascherine sulle nostre app per aiutare le persone a proteggersi da truffe, dichiarazioni mediche fuorvianti, carenza di forniture mediche, prezzi gonfiati e accaparramento».
Molti venditori hanno però trovato il modo di aggirare le limitazioni del social network, tanto che sempre da Facebook ammettono che «Abbiamo ancora prove di comportamenti predatori, come prezzi gonfiati, truffe ricorrenti o vendita di prodotti difettosi». Sul Marketplace (il mercatino privato tra utenti su Facebook) il divieto temporaneo sulla vendita di mascherine mediche, chirurgiche e N95 si può ad esempio aggirare inserendo chiavi di ricerca diverse e non vietate dalla piattaforma come “copriviso” al posto di mascherine.
CAOS CERTIFICAZIONI A peggiorare la situazione ci si è messa anche la confusione generata dalle diverse certificazioni e dalle normative. Il decreto “Cura Italia” del 17 marzo ha aperto una prateria in cui poco dopo è stato necessario piazzare recinti e paletti. «È consentito produrre, importare e immettere in commercio mascherine chirurgiche e dispositivi di protezione individuale in deroga alle vigenti disposizioni», recita l’articolo 15. Nei fatti, questa legge ha incentivato i grandi broker, tramite gli incarichi delle centrali acquisti, o i negozi e le piccole imprese attraverso fornitori e percorsi già consolidati, a rivendere partite della merce acquistata a prezzi esorbitanti online.
Di base, per essere commercializzati in Italia, i Dpi (dispositivi di protezione individuale) e i dispositivi medici devono ottenere il marchio Ce che ne certifica la “conformità europea”. Marchiatura non necessaria per le mascherine generiche, sottoposte invece al Codice del Consumo che impone di indicare: produttore, materiali e assenza di sostante nocive, indicazioni in lingua italiana, eventuale importatore o fabbricante se fuori dalla Ue. «Con la deroga, se vuoi produrre o importare mascherine chirurgiche o Dpi puoi farlo presentando la documentazione attestante la bontà di quella mascherina, saltando quindi la parte della marcatura Ce, a Inail per Dpi e Istituto Superiore di Sanità per i Dm, ricevendo poi o meno l’autorizzazione per la messa in commercio - spiega Pietro Romano responsabile del Siac, sistema informativo anti-contraffazione della Guardia di Finanza - Inail e Iss hanno poi stabilito, avallati dal Mise che per evitare fraintendimenti le mascherine in deroga non dovessero riportare il marchio Ce: il consumatore deve sapere che il prodotto che sta acquistando non è marcato ma è comunque sicuro e in deroga».
Con la deroga, il caos autorizzazioni e il già noto problema della somiglianza tra i marchi Ce e China Export, la rete è stata invasa di ogni mercanzia. Anche «panni antipolvere con due elastici sono stati venduti come protezioni», conclude Romano.
«Abbiamo trovato merce con certificati inesistenti, fasulli, o non validi. I Dpi conformi e validi devono avere attestazione di conformità da organismo notificato con sede in Ue. Sulla rete li abbiamo trovati con certificati rilasciati da cinesi che non hanno alcun valore in Italia e in Europa».
A Pordenone la Guardia di Finanza a maggio ha fermato un’auto con 14.000 mascherine FFP2 contenute in due scatoloni e una certificazione riconducibile a un apparecchio per “schiumare” il latte. A Bagheria, il monitoraggio dei social network ha portato all’individuazione di un’impresa che produce imbottiture per feretri e che annunciava l’imminente produzione di “mascherine coronavirus”. A Torino un “Coronavirus shop” sul web garantiva immunità totale dal Covid, oltre a guanti e mascherine, kit, occhiali, copri-sanitari e integratori alimentari. In totale la Finanza ha sequestrato 26,3 milioni di mascherine e Dpi, di cui 607mila requisite dal commissario straordinario e redistribuite tra ospedali, enti e Protezione Civile. Per il reato di manovre speculative su merci è stato sequestrato un milione di beni con ricarichi fino al 6.000 per cento.
L’emergenza non è finita: e chiuso un profilo, un sito o una pagina, se ne apre subito un altro.