
A Roma, però, si apriva la prospettiva, per un irregolare come lui, di potersi finalmente mettere a posto. Uno spiraglio chiamato sanatoria, figlia della pandemia e di un apparente moto di giustizia sociale per i migranti, che è diventata per Ficou e per altri 600 mila uno dei pochissimi accessi al permesso di soggiorno. Il problema, però, è che per attivare la procedura - introdotta con il decreto Rilancio e accessibile dal 1 giugno al 15 agosto 2020 - bisognava lavorare in uno di questi tre settori: agricoltura, lavoro domestico e assistenza alla persona. Chi si guadagnava da vivere in altri campi, come l’edilizia e la ristorazione, è rimasto escluso. E così si è creato un mercato di contratti falsi, venduti da datori di lavoro italiani a cifre che arrivano fino a 8 mila euro, grazie all’aiuto di intermediari stranieri che hanno approfittato delle difficoltà dei connazionali per raggirarli. Una vera e propria “compravendita delle indulgenze”, in cui si è promesso il paradiso a costi altissimi per centinaia di migliaia di lavoratori. Le lacrime commosse della ministra del Lavoro Teresa Bellanova sembrano lontanissime da quello che è successo in strada e online, dove si sono moltiplicati i datori di lavoro disposti a spacciare contratti falsi a prezzi esorbitanti.
«Quando scegli solo tre settori costringi le persone a fingere di lavorare in quelle categorie: in tantissimi per poter inoltrare la domanda hanno dovuto trovare finti contratti, che costano cifre assurde. Chi può permetterselo? Deve essere uno che ha le spalle coperte o che opera nella criminalità», denuncia Stephen Ogongo, coordinatore nazionale dell’associazione di avvocati immigrazionisti Cara Italia.
Le storie si ripetono tutte uguali: chi aveva un contratto regolare in un settore diverso dai tre indicati dalla legge è corso a cercarne uno nel campo dell’agricoltura o del domestico. Peggio ancora il caso di M., che nel giugno del 2019 ha firmato un contratto come “operaio addetto alla raccolta di prodotti orticoli” e un anno dopo si è ritrovato a spedire una richiesta per la sanatoria con un contratto falso, comprato, sempre nel settore dell’agricoltura. Questo perché la sanatoria prevede che non ci sia un contratto in corso, ma deve essere siglato nel periodo previsto dalla legge o, se in nero, regolarizzato.

I numeri delle richieste di regolarizzazione certificano che la sanatoria, chiusa il 15 agosto dopo una proroga di un mese, non ha funzionato come si sperava. Secondo una stima iniziale del ministero dell’Interno, la misura avrebbe dovuto interessare circa 220 mila persone. I numeri delle richieste hanno rispettato le aspettative del Viminale, con 207 mila domande presentate. Di queste, però, l’85 per cento riguarda il lavoro domestico (176.848) e solo il restante 15 per cento il settore agricolo, con appena 30.694 domande.
Il fallimento più grande è rappresentato proprio da questa sproporzione. Un provvedimento inizialmente pensato per sopperire alla mancanza di braccianti provocata dalla chiusura delle frontiere a causa del coronavirus e per combattere lo sfruttamento e il caporalato nei campi, solo marginalmente ha interessato questi lavoratori, sfociando in un mercato illegale a spese degli ultimi.
Basti pensare che solo il 20 per cento dei migranti irregolari che lavorano nei campi ha fatto la domanda per la sanatoria. A pesare su questo fallimento il ruolo giocato dai datori di lavoro. Si moltiplicano le segnalazioni di “padroni” che hanno scelto a chi concedere il contratto, ancora una volta dietro lauto compenso. «Una quarantina di ragazzi da Terracina, Anzio, Nettuno e Civitavecchia sono venuti da noi per denunciare che il loro datore di lavoro ha concesso loro il contratto, a patto che lavorino gratis tutta la stagione», racconta Nure Alam Siddique detto Bachu, portavoce dell’Associazione bengalese Dhuumcatu. Sei mesi di lavoro nei campi, non retribuiti.
Nell’Agro pontino è successo invece che ad accedere alla sanatoria sono stati soprattutto i caporali, che già godono di un occhio di riguardo dei datori di lavoro, ma, soprattutto, hanno la possibilità economica di comprarsi quei contratti. Al contrario, i braccianti più poveri si sono rivolti proprio a loro: i caporali continuano a fare da intermediari, ma stavolta invece di procurare il lavoro, procacciano contratti. Sono diverse le storie di caporali che hanno “prestato” il denaro per comprarsi l’accesso alla sanatoria. E così lo sfruttato tra i campi diventa vittima due volte: di caporalato e di usura.
Ficou è la vittima ideale del sistema dei contratti falsi: senza una rete forte attorno a sé, senza un datore di lavoro in uno dei tre campi richiesti dalla sanatoria, è stato preda facile degli approfittatori. Da giugno lavora in uno stabilimento balneare del litorale laziale. È lì che un amico gli ha parlato di Massimo. «Ha un’azienda agricola, ci può aiutare», gli ha detto. Con mille euro ti assicura la garanzia di stare in Italia. Ficou è stanco e accetta la proposta di Massimo. Insieme a lui altri quattro gambiani. Sborsano mille euro a testa e si assicurano un pezzo di carta che li dovrebbe portare verso la sanatoria. Quell’italiano di mezza età, però, scompare, come quei cinquemila euro. «È un mese che lo chiamo e non mi risponde mai», dice Ficou. La mascherina colorata alzata sul naso gli nasconde mezzo volto, ma l’insofferenza per un paese che lo relega tra gli ultimi traspare lo stesso. «In Italia c’è tanta mafia, non si può vivere così. Ci sfruttano perché sanno che non possiamo difenderci in nessun modo. Ho perso due mesi di lavoro e nel mio paese quella è una cifra esorbitante. In più non posso andare a denunciare questo Massimo, perché io qui sono irregolare. Come faccio ad andare dalla polizia?».
In tanti provano a rivolgersi ad avvocati immigrazionisti, proprio come ha fatto lui, che davanti a un Caf (Centro assistenza fiscale) della periferia romana aspetta il suo turno, sperando in una soluzione che difficilmente arriverà.
Pierluigi Franchitto, avvocato immigrazionista che opera nel basso Lazio, parla di subalternità tra connazionali. Nella comunità bengalese romana - la più organizzata e la più cospicua in termini di numeri - si sono ripetuti episodi in cui alcuni personaggi si sono proposti di “aiutare” chi è nel Paese da meno tempo ed è alle prese con la sanatoria. Alcuni sono arrivati dai Caf che costellano i quartieri più multietnici della capitale, presentandosi come facilitatori nell’ottenimento del nuovo contratto di lavoro falso. E lo hanno fatto sapendo che alla fine una fetta di quella torta sarebbe andata anche a loro.

L’avvocato Franchitto racconta di intermediari che da Roma si sono spinti fuori provincia, nelle zone in cui di aziende agricole ce ne sono di più, in cerca di imprenditori pronti a vendere posti di lavoro fittizi. «Un bengalese è arrivato a Cassino perché aveva così tante richieste che voleva coprirne il più possibile. Il lucro in comunità come quella bengalese c’è perché si creano dei rapporti di dipendenza tra forti e deboli. I più furbi, i famosi “zii”, parlano perfettamente l’italiano, sono qui ormai da anni e per ogni domanda di sanatoria arrivano a mettersi in tasca fino a 800 euro».
A parlare di questo meccanismo perverso è un membro stesso della comunità bengalese. «Un mio amico ha comprato un contratto di lavoro, c’è uno che fa da intermediario tra il migrante e il datore di lavoro italiano. L’intermediario ha detto che a suo cugino serviva il contratto e il datore di lavoro ha detto “va bene, se lo paga”. Gli ha chiesto quasi 7-8 mila euro. Deve dare metà prima, poi quando prende il permesso di soggiorno dà l’altra metà».
A facilitare il tutto arrivano i social: su Facebook, un gruppo nato per l’auto mutuo aiuto tra i membri bengalesi in città si è trasformato negli ultimissimi mesi in un vero e proprio mercato. «Gli intermediari scrivono che sono disposti ad aiutare gli altri. Non tutti i bengalesi capiscono l’italiano, e così queste persone promettono di aiutarli, ma in realtà li sfruttano. Quando si incontrano di persona, se vedono che la persona capisce poco di burocrazia, allora possono raggirarla».
Vittime di italiani e vittime dei loro connazionali, i migranti in cerca di regolarizzazione in Italia finiscono nel tritacarne del malaffare più facilmente di quanto immagini chi ha scritto la legge sulla sanatoria.
«Gli immigrati la chiamano “satanaria”, perché dentro ci sono gli impicci di Satana», spiega Bachu mentre osserva la pila di pratiche sulla scrivania da smaltire nelle ultime ore disponibili. Tutte le problematiche legate ai requisiti venute a galla sono rimaste insolute e ci si aspetta che molte delle domande inviate vengano respinte. Bachu spiega bene che il problema sta anche nel modo confuso in cui la legge è scritta. Districarsi nel groviglio di parole della norma è difficile già per un addetto ai lavori, per un migrante che non conosce bene la lingua diventa inaccessibile.
Una legge che è un cortocircuito continuo. Se la modalità principale di regolarizzazione prevedeva che a presentare la domanda fosse il datore di lavoro, una seconda opzione permetteva al cittadino straniero, titolare in passato di un permesso di soggiorno, di ottenerne uno nuovo. Era però necessario che il vecchio permesso di soggiorno fosse scaduto dalla data del 31 ottobre 2019 - una data giudicata “illogica” da molte associazioni - senza essere rinnovato, che il cittadino straniero risultasse presente sul territorio nazionale dall’8 marzo 2020 e che avesse lavorato prima del 31 ottobre 2019 in uno dei tre comparti lavorativi a cui è vincolata la regolarizzazione. Costo totale a carico del migrante: circa 180 euro. Il permesso di soggiorno temporaneo ottenuto è valido solo nel territorio nazionale e consente di svolgere attività lavorativa solo ed esclusivamente nei comparti lavorativi a cui è vincolata la regolarizzazione. Se ad attivarsi era invece il datore di lavoro, quest’ultimo doveva versare un contributo forfettario da 500 euro per ogni lavoratore: poteva presentare una domanda per assumere un lavoratore straniero già presente in Italia prima dell’8 marzo, oppure per regolarizzare un rapporto di lavoro già in essere, instaurato irregolarmente.
Parla di ostruzionismo, Bachu, e a fargli eco è anche un altro membro della comunità bengalese romana, Mohamed Taifur Rahman Shah, presidente dell’associazione Italbangla e operatore in un Caf di Torpignattara. «Ogni giorno vengono centinaia di persone a chiederci come funziona. Non puoi concedere a una persona di regolarizzarsi e a un’altra no solo perché fa un lavoro diverso. È una legge contraddittoria: mette una persona nella condizione di diventare irregolare, non il contrario».
Rhaman denuncia poi il problema dei richiedenti asilo, in attesa della lunga trafila burocratica per ottenere lo status di rifugiati. Tecnicamente anche loro hanno diritto a richiedere la sanatoria, ma il decreto su questo punto non è chiaro. E così ogni ente dà una diversa interpretazione del provvedimento, creando un effetto discriminatorio. «Alcune questure chiedevano addirittura di rinunciare alla domanda di asilo per presentare richiesta. Come fai a rinunciare senza sapere se questa domanda andrà a buon fine o no?», si chiede Ogongo.
Il mercato non si è fermato ai contratti falsi, però. Per accedere alla domanda di sanatoria il migrante doveva presentare anche un certificato di idoneità alloggiativa, una difficoltà addizionale che non ha fatto altro che alimentare un altro giro d’affari, quello della compravendita degli indirizzi falsi. In quel caso il migrante ha dovuto sborsare 2-3 mila euro, per una via da indicare sulla domanda, in cui, ovviamente, non vive.
La ciliegina sulla torta è stata la data di scadenza per presentare la domanda: il 15 luglio prima, il 15 agosto poi. Nel giorno di Ferragosto tutti i servizi erano chiusi, Poste comprese. Commenta Bachu: «Siccome noi negri siamo cittadini di terza classe, siamo uno strumento usa e getta. Per questo abbiamo presentato una denuncia contro ignoti: io ho diritto di presentare la domanda fino all’ultimo giorno, ma se il Paese è chiuso diventa impossibile».
Il fallimento della sanatoria presentata dal governo come soluzione alla condizione di irregolarità dei migranti in Italia è palese. Lo dicono i dati sul sito del ministero e lo raccontano, soprattutto, le storie dei migranti. Questa sanatoria ha regalato la possibilità ad alcune persone di arricchirsi, mentre i lavoratori irregolari, a parte alcune nel settore del lavoro domestico, restano tali e più poveri e indifesi di prima.
«Abbiamo mandato migliaia e migliaia di mail alle caselle postali dei ministri, ci hanno ignorato», conclude Bachu. «Non possiamo parlare, non possiamo urlare, non possiamo scrivere. Viva la discriminazione, viva la schiavitù».
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