Più della metà delle 893 azioni terroristiche compiute dal 1994 ad oggi negli States sono state organizzate da gruppi razzisti e di estrema destra, che si sono anche infiltrati dentro polizia e forze armate. Oggi minacciano la democrazia e sono una delle prime emergenze per il presidente Biden (Foto di C. Morris e M. Peterson)


Odio politico. Armi facili. Razzismo. Leggi deboli. Propaganda incontrollata su Internet. Fake news. Crisi economica e sanitaria. Cospirazionismo. Complicità tra militari, poliziotti e politici reazionari. E coperture che per la prima volta hanno coinvolto un presidente degli Stati Uniti. È una combinazione di fattori che, dopo la sconfitta di Donald Trump e l’insediamento di Joseph Biden, rischia di innescare una miscela esplosiva. I democratici hanno vinto le elezioni conquistando anche la Camera e il Senato, ma l’America resta divisa e ferita, con spaccature territoriali, sociali e ideologiche che sembrano insanabili. In questo clima avvelenato, gli esperti temono nuove ondate di violenza politica. E una possibile escalation del terrorismo interno. Eversione di destra. Con appoggi anche dentro le istituzioni. Come negli anni più neri della democrazia italiana.

A lanciare l’allarme su una riproduzione americana della “strategia della tensione” è la stessa polizia federale. «Negli ultimi anni abbiamo avuto più morti causati dal terrorismo interno che da quello internazionale», ha dichiarato il vice-direttore dell’Fbi, Michael Mc Garrity, in un’audizione parlamentare nella quale denunciava, già nel giugno 2019, la pericolosità dei suprematisti bianchi: «Gli estremisti più violenti stanno utilizzando i social network in misura sempre maggiore per diffondere la loro propaganda, reclutare nuovi adepti, selezionare i bersagli e spargere messaggi di odio su scala globale». I dati aggiornati segnalano un aumento della capacità omicida di molte fazioni dell’estrema destra statunitense. I ricercatori del Center for strategic international studies (Csis) hanno schedato tutti gli attentati realizzati o sventati (con sequestri di armi e ordigni) negli Usa dal 1994 ad oggi: lo studio, aggiornato al maggio 2020, ne ha contati 893. Più di metà sono stati organizzati da neonazisti, razzisti o sovranisti. Per 14 anni tutte le vittime sono state uccise da terroristi di destra. Che negli ultimi 18 mesi hanno perpetrato più del 90 per cento degli attentati.
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In queste settimane decine di formazioni di ultra-destra stanno pubblicando video e proclami che accusano i democratici di frodi elettorali, anche se tutte le accuse di Trump sono risultate false, e inneggiano apertamente alla «guerra civile». Parole che toccano corde profonde, in una nazione federale ancora segnata dallo storico conflitto (con oltre 600 mila morti) tra gli stati schiavisti del sud e l’unione anti-secessionista del nord. I movimenti razzisti restano radicati e oggi si uniscono ai gruppi neonazisti, reazionari e integralisti religiosi, che postano su internet, ogni giorno, valanghe di messaggi incendiari contro democratici, immigrati, ebrei e ogni tipo di minoranze, chiamate alle armi di «veri patrioti», liste di «nemici da combattere», appelli a «sparare a politici e giornalisti», elenchi di repubblicani moderati additati come «traditori di Trump». E ora le indagini sul clamoroso assalto alla sede del Parlamento di Washington, che il 6 gennaio ha interrotto la rituale convalida dell’elezione di Biden, stanno rivelando che tra i rivoltosi c’erano decine di militari, poliziotti, veterani di guerra e funzionari di apparati statali. Tra gli arrestati ci sono anche leader e attivisti delle più note formazioni di estrema destra: Proud Boys, Oath Keepers, Three Percenters, Boogaloo e altri. Dalle loro milizie armate sono usciti in questi anni diversi terroristi.

Un altro dato allarmante è che l’attacco a Capitol Hill era previsto: Trump stesso ne aveva fissato il giorno e l’obiettivo, nei famosi messaggi che gli sono costati il bando dai social network e il secondo impeachment. L’Fbi aveva intercettato in diretta tutti i preparativi del corteo e arrestato in anticipo uno dei leader dei Proud Boys, l’organizzazione nazi-fascista (che in questi giorni pubblica frasi di Mussolini contro la democrazia) da mesi schierata con Trump. Di fronte a un assalto annunciato, l’impreparazione delle forze di sicurezza, unita alla scoperta di troppi rivoltosi in divisa, sta invece sollevando pesanti sospetti di infiltrazioni della destra eversiva nei corpi di polizia che dovrebbero combatterla.
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Un problema denunciato apertamente dalla Commissione per i diritti civili del Congresso americano. Nella sessione speciale del 29 settembre scorso il suo presidente, il repubblicano Jamie Raskin, ha reso pubblica per la prima volta la versione integrale di un dossier dell’Fbi (in precedenza coperto da omissis), con questo monito: «L’infiltrazione del suprematismo bianco nei ranghi della polizia può generare abuso di autorità e tolleranza passiva nei confronti del razzismo».

La Commissione ha chiamato a testimoniare, tra gli altri, un ex neonazista, Frank Meeink, classe 1975, oggi pentito. La sua vita ha ispirato anche un film, “American History X”. Frank cresce a Filadelfia in una famiglia disastrata: madre alcolizzata, patrigno drogato e violento. A 13 anni aderisce ai naziskin e in breve ne diventa un leader, fiero dei suoi tatuaggi: una svastica sul collo «per dimostrare eterna fedeltà» e la parola s-k-i-n-h-e-a-d impressa lettera per lettera sulle nocche. A 17 anni viene arrestato per un sequestro di persona e il tentato omicidio di una donna. Condannato a tre anni di carcere, ne esce profondamente cambiato. Scrive libri, gira gli Stati Uniti per raccontare la sua «discesa agli inferi». E oggi può fornire ai parlamentari un racconto dall’interno. «Nel 1991, alla Temple University di Filadelfia, ho incontrato una ventina di affiliati alla White Students Union. Ci dissero: “Tagliatevi i capelli, levatevi i tatuaggi e arruolatevi nell’esercito o nella polizia”. Due di loro sono poi diventati poliziotti». A Baltimora, a un raduno di due gruppi neonazisti (National-socialist movement e SS action), Frank si sente spiegare perché è importante vestire una divisa: «Per poter inventare reati commessi dai neri, con due obiettivi: impedire loro di votare e detenere armi». Il compleanno di Hitler viene festeggiato a Lehigh, in Pennsylvania, con il “Christian posse comitatus”: «Il capo, Mark Thomas, ci teneva lezioni sulla Bibbia. Poi ci allenavamo nel suo giardino a sparare, per “distruggere Sodoma e Gomorra”. Dovevamo militarizzarci per entrare nelle forze di polizia». Anche «in Alabama, a Montgomery», ricorda Frank, «eravamo in cento a un’adunata del Fronte della gioventù ariana e uno dei capi, Bill Riccio, ci raccomandava di farci reclutare nell’esercito».
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Nelle audizioni in Parlamento anche Mike German, ex agente dell’Fbi, inserito per anni sotto copertura nei gruppi neonazisti, oggi docente della New York University, ha confermato la gravità delle infiltrazioni: «Le nostre indagini interne hanno accertato fin dal 2000 collegamenti tra suprematisti bianchi e funzionari di polizia: legami con militanti dell’estrema destra sono stati denunciati in Alabama, California, Connecticut, Florida, Illinois, Louisiana, Michigan, Nebraska, Oklahoma, Oregon, Texas, Virginia, Washington, West Virginia». Informato delle indagini, il capo dell’antiterrorismo gli ha però risposto che non si poteva fare niente, «perché la nostra Costituzione tutela la libertà di pensiero anche per gli agenti di polizia».

German ha elencato anche molti episodi recenti: dagli sceriffi della California che, durante le proteste contro le uccisioni di neri, indossano giubbotti antiproiettile con i simboli degli Oath Keepers; ai poliziotti di Filadelfia che in un loro raduno fraternizzano con i Proud Boys. La sua drammatica testimonianza ha spinto la deputata democratica Alexandra Ocasio Cortez a chiedergli perché nella polizia si trovano tanti suprematisti bianchi: «Continuiamo a parlare di questo problema senza risolverlo. Perché è così grave?». Risposta di German: «È difficile per i pubblici ministeri indagare sui poliziotti, soprattutto per il modo in cui sono scritte le leggi. E il Dipartimento di giustizia non ha nessuna strategia».
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Eppure tutti i terroristi si richiamano a ideologie precise, propagandate da organizzazioni conosciute. I neonazisti fanno parte della galassia dei suprematisti, che comprende storiche formazioni razziste come il Ku Klux Klan: a unificarli è la tesi della superiorità dei bianchi. Una sua evoluzione è la teoria della «grande sostituzione», propugnata anche dall’estrema destra europea, che ipotizza una cospirazione globale degli immigrati per prendere il posto dei bianchi occidentali. Queste tesi hanno ispirato i peggiori terroristi degli ultimi anni, come Patrick Crusius, il razzista texano che il 3 agosto 2019 ha ucciso 23 ispanici in un supermercato a El Paso; e Dylan Roof, il 19enne che nel 2015 ha assassinato 9 fedeli in una chiesa di Charleston simbolo dell’emancipazione dei neri. A quei due stragisti si sono poi richiamati i responsabili di molti altri attacchi contro sinagoghe, moschee e luoghi di ritrovo delle minoranze. Nell’era di internet, i massacri più spaventosi creano ondate di emulatori. Brenton Tarrant, che nel marzo 2019 ha trucidato 50 musulmani a Christchurch, in Nuova Zelanda, si è ispirato ad Anders Breivik, il suprematista che nel 2011 ha ucciso 77 innocenti in Norvegia. Su un caricatore, Tarrant aveva scritto anche il nome di Luca Traini, il neofascista italiano (ex candidato della Lega) che nel 2018 ha sparato nelle vie di Macerata ferendo a caso 6 immigrati. L’impulso all’imitazione ora preoccupa gli inquirenti di Washington: l’assalto al Parlamento potrebbe scatenare altri attacchi. Mentre le leggi americane rivelano gravi lacune.
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Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, che restano di gran lunga i più gravi (2.977 vittime), repubblicani e democratici votarono insieme norme severissime contro Al Qaeda, applicabili anche all’Isis e a qualsiasi forma di terrorismo internazionale. Le agenzie di spionaggio possono fare intercettazioni di massa e la polizia può incriminare con reati associativi anche gli affiliati che si limitano a fornire un telefonino o un indirizzo internet. Queste norme però non si applicano al terrorismo interno. L’estrema destra attacca la democrazia, ma approfitta delle libertà costituzionali di pensiero e associazione. I giudici autorizzano la polizia a intercettare cittadini americani solo per reati gravi. Sorvegliare organizzazioni politiche è proibito. Quindi le indagini si concentrano sugli esecutori di omicidi e stragi. Raramente vengono incriminati gli ideologi che li hanno indottrinati e radicalizzati. E per il futuro gli esperti si aspettano più attentati. E più odio politico.

Nei suoi quattro anni di potere e continue bugie, Trump ha sdoganato e difeso i gruppi suprematisti. Ha spostato il partito repubblicano verso l’estrema destra, isolando i moderati. Ha attaccato l’Fbi e le altre agenzie federali, per difendere sé stesso. E ha combattuto e insultato gli immigrati. Esaltati dai messaggi del presidente, i leader razzisti hanno a loro volta alimentato un boom dei «reati di odio» (hate crimes) contro afroamericani, immigrati e minoranze in genere. Nel 2019 l’Fbi ne ha registrati più di 7 mila di livello federale (20 al giorno), a cui si aggiungono innumerevoli casi nei singoli Stati. Trump ha difeso pure il diritto di comprare armi, anche al supermercato. E ha riempito la Corte suprema di giudici ultra-conservatori. Nomine a vita che compromettono i progetti democratici di limitare le armi e ridurre i tassi di omicidio, tra i più alti del mondo.
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La sua eredità rischia di ipotecare anche le inchieste presenti e future. Un famoso veterano dell’Fbi, Thomas O’ Connor, che ha lavorato per 23 anni nella task force contro Al Qaeda e Isis, ma ha arrestato anche molti terroristi americani, ha descritto a ProPublica, in un’intervista del 7 gennaio, la «frustrazione e demotivazione» dei poliziotti che indagano sulla destra eversiva: «Se hai un presidente che non manda alcun messaggio per contrastare questi gruppi, anzi fa il contrario, non avrai nessun entusiasmo», perché «le leggi non ti aiutano» e «il comandante in capo non ti supporta».