L’inchiesta

La grande speculazione del fotovoltaico sui terreni agricoli

di Antonio Fraschilla   30 agosto 2021

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Le Regioni non hanno individuato le aree idonee e le aziende offrono cifre da capogiro agli agricoltori. Con il rischio di stravolgere il paesaggio e di perdere produzione agricola. Il ministro Cingolani: “Convocheremo i governatori, per me vanno utilizzate le aree dismesse”

Battono palmo a palmo le campagne più belle offrendo una montagna di soldi agli agricoltori sfiancati da un mercato che li mette sempre più ai margini. Dal Veneto all’entroterra siciliano gli imprenditori vendono così la loro terra ai grandi intermediari delle aziende, conosciute e spesso sconosciute, che vogliono realizzare mega impianti di fotovoltaico sfruttando il far west delle regole e delle autorizzazioni in materia nel nostro Paese. Con il rischio concreto di una perdita di produzione agricola importante e uno stravolgimento del paesaggio in alcune aree a causa di una concentrazione di pannelli fotovoltaici che non avrà pari nel resto d’Europa.


L’Italia è la terra del sole e l’Europa chiede al nostro Paese di raddoppiare da qui al 2033 la produzione elettrica da energia solare: una partita che vale 2 miliardi di euro di investimenti privati per raggiungere questo obiettivo, ai quali si aggiungono quasi 4 miliardi di incentivi messi a disposizione dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Un fiume di denaro con la conseguente pressione, fortissima, sia delle aziende che vogliono realizzare questi impianti e preferiscono i terreni agricoli perché già pronti all’installazione, sia dello stesso governo Draghi che vuole raggiungere gli obiettivi chiesti dall’Ue. Non a caso, anche qui senza molto clamore, sono passate in Parlamento norme che consentono a Palazzo Chigi di autorizzare direttamente gli impianti superiori ai 10 megawatt, con tanto di possibile esproprio dei terreni per pubblica utilità nel caso in cui le Regioni siano lente nel dare il via libera. Ma c’è di più: con un’altra norma il governo «ha introdotto delle deroghe al divieto di fruizione degli incentivi statali per gli impianti solari fotovoltaici con moduli a terra in aree agricole».


Il governo Draghi accelera forte del fatto che, dati alla mano, per raggiungere il risultato di raddoppiare la produzione da energia solare ed eolica al massimo si dovrebbe occupare «solo lo 0,7 per cento del suolo del Paese». Peccato però che lo 0,7 per cento è una cifra elevata, se si tolgono le aree già cementificate, e senza regole i grandi impianti si concentreranno in alcune valli e colline stravolgendone davvero il paesaggio come temono diverse associazioni ambientaliste. Ma se è vero che l’Europa fissa dei target ambiziosi, è anche vero che esplicitamente Bruxelles ha chiesto di fare prima una «localizzazione delle aree idonee» a ospitare questi impianti. In Italia invece, complice il caos delle competenze in materia tra enti locali e Stato, le principali regioni interessate al fotovoltaico, Veneto, Lazio, Sardegna, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia, non hanno fatto alcuna mappatura delle aree idonee e il governo Draghi, guarda caso, ha accentrato tutte le competenze tranne una: quella sulla localizzazione delle aree idonee. Così in Italia oggi è in corso la grande vendita dei terreni agricoli con il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che a L’Espresso ammette la situazione e aggiunge: «Convocherò al più presto un tavolo con i governatori per accelerare sulla localizzazione delle aree, ma non possiamo intervenire direttamente».

LA CORSA ALLA TERRA
L’Italia oggi produce energia da sole per 21 gigawatt. Entro il 2033 deve arrivare a quasi 50 gigawatt. In termini di aree occupate significa 82 mila ettari, pari a 117 mila campi da calcio. Il governo ha quindi previsto procedure veloci per dare le autorizzazioni ai grandi impianti, con poteri sostitutivi in capo al ministero della Transizione ecologica in caso di inerzia delle Regioni. Negli ultimi mesi sono arrivate centinaia di domande per realizzare grandi impianti: oltre duecento solo in Sicilia (la regione con la maggiore esposizione solare nel giorno), cento in Sardegna, settanta in Veneto, una cinquantina in Puglia e Calabria, altrettante nel Lazio dove è appena stata votata in Consiglio regionale una moratoria fino al 2022 a nuove autorizzazioni dopo che alcune zone, come quella del Viterbese, sono state già riempite di pannelli fotovoltaici.

fotovoltaico, rinnovabili, pannelli solari

Per chiedere l’autorizzazione, le aziende interessate devono dimostrare di avere dei contratti di acquisto o affitto delle aree dove vogliono realizzare questi impianti. Da qui la corsa a farsi cedere i terreni migliori e già pronti all’uso. In Veneto il governo Zaia ha dato il via libera a un parco fotovoltaico da 50 ettari (70 campi da calcio) nelle campagne di Rovigo. La società che ha ottenuto l’autorizzazione è la Marco Polo Solar 2 che vede come amministratore unico l’ex presidente dell’Istituto regionale Ville Venete Luciano Zerbinati. Dietro questa iniziativa c’è la Shell, il colosso petrolifero inglese e olandese, che ha una opzione sulle azioni dei soci della Marco Polo Solar 2. Una secondo impianto a breve sarà autorizzato a Porto Viro per undici ettari e, ancora, altri terreni agricoli sono stati ceduti ad aziende di fotovoltaico nelle aree di Occhiobello. Scene che si ripetono in molte regioni.


In Sicilia la domanda pendente per uno degli impianti più grandi riguarda la Big Fish srl del gruppo Falck, che ha presentato un progetto da 256 megawatt con panelli solari che occuperebbero un’area di 560 ettari tra Catania, Lentini e Motta Sant’Anastasia. Nella domanda ha allegato i preliminari di affitto dei terreni: come quello con il proprietario S.T. per 36 ettari di terreni al canone annuo di 84mila euro. Tra le aree interessate da mega impianti anche le terre narrate dal Verga tra Vizzini, Mineo e Buccheri con domande pendenti per mille ettari di terreni agricoli. Tra le società che hanno presentato domanda c’è la Sun Project, di proprietà a sua volta della Innovazione energia srl, partecipata da Maria Papa e Maria Carmela Bevacqua, entrambe di Messina. Qualche mese fa hanno venduto tutto a un gruppo di energie rinnovabili danese, European Energy, che vuole investire 150 milioni di euro. In Sicilia ha presentato diverse domande per mega impianti nell’ennese anche il colosso tedesco Ib Vogt. Un altro progetto è stato invece già in parte autorizzato nel Val di Noto per 100 ettari in pieno sito Unesco. Dal Veneto alla Sicilia le cifre di prelazione sui terreni sono simili: 2-3 mila euro di affitto all’anno per un ettaro con opzione di acquisto da 20 a 30 mila euro.

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LE AREE DISMESSE E LE PROTESTE
Nessuna delle Regioni maggiormente interessate dalle domande di fotovoltaico ha approvato la localizzazione delle aree idonee. Il governatore Luca Zaia tiene fermo nel cassetto il suo piano, lo stesso fanno i colleghi delle altre regioni. Così, nel frattempo, non ci sono paletti e le aziende decidono in totale autonomia dove fare gli impianti. In Italia però, dati Istat alla mano, ci sono 9 mila chilometri quadrati di aree industriali dismesse, per non parlare dei tetti degli edifici non di pregio: «Prendiamo la Sicilia: nel piano energetico regionale, ancora non approvato, sono state inserite aree industriali dismesse, ex discariche e cave per un totale di 1.265 siti che potrebbero ospitare 4.600 ettari di fotovoltaico con raddoppio della potenza installata in questa regione. Certo, ci sarebbe un piccolo extra costo a carico delle aziende per sistemare cave e miniere, ma sarebbe ampiamente compensato dai tempi di autorizzazioni veloci», dice Mario Pagliaro, ricercatore del Cnr.

Il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani


Invece si vendono i terreni agricoli. La Coldiretti ha avviato una battaglia nazionale e il presidente Ettore Prandini al meeting di Rimini di Comunione e liberazione ha fatto un intervento durissimo: «Pongo una questione chiave al governo italiano, noi vogliamo che il fotovoltaico vada sui tetti delle aziende agricole e non accettiamo che si tolga un solo ettaro di terreno destinato alla produzione di cibo, diciamo no a scenari speculativi».


Italia Nostra sta sostenendo le proteste delle comunità locali contro il pannello selvaggio in tutto il Paese. Come racconta la presidente Ebe Giacometti: «Siamo convinti che se tutte le Regioni fossero dotate di Piani paesaggistici operativi la pianificazione in campo energetico avrebbe strumenti di reale controllo sulla trasformazione del nostro paesaggio.


Una trasformazione che rischia di stravolgere asset importanti dell’economia italiana ma soprattutto di condannare all’oblio luoghi celebrati per la loro bellezza. Con lo stravolgimento del paesaggio rischia di evaporare una ricca fetta del nostro Pil collegato alle attività connesse al turismo e al settore agroalimentare, che ha un valore pari al 25 per cento del Pil. Italia Nostra insieme ad altre 15 associazioni ha chiesto al governo di individuare le superfici e le aree idonee e non idonee per gli impianti da fonti rinnovabili guardando al minimo impatto sull’ambiente, sul territorio e sul paesaggio. Ad oggi non sono arrivate le risposte».

IL MINISTRO CINGOLANI
Il volto della transizione ecologica in Italia, il ministro Roberto Cingolani, si dice preoccupato per quanto sta accadendo: «Di certo c’è che dobbiamo potenziare le rinnovabili, altrimenti tutto il resto diventa un sogno.

Dobbiamo stare dentro gli accordi di Parigi e non abbiamo né esiste un piano B. Qui se cominciano a dire “no nel mio giardino o nel mio territorio” sbagliamo di grosso. Detto questo, purtroppo i piani di localizzazione delle aree dipendono non solo dalle Regioni, ma anche dalle mappe solari e del vento. Adesso accerteremo con le varie Regioni lo stato dell’arte sapendo bene che occorrerà molta attenzione. Io sono per realizzare questi impianti nelle aree industriali dismesse e per sostenere l’agrifotovoltaico, cioè per far diventare le aziende agricole autosufficienti sul consumo energetico attraverso pannelli sulle stalle e sui capannoni: non a caso abbiamo messo quasi 2 miliardi di euro di incentivi in questo preciso settore».

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