Sui tornanti della statale che dall’autostrada sale verso Polizzi Generosa a un tratto nonostante la giornata di sole abbagliante tutto si fa scuro. Gli alberi con i loro rami sembrano volersi abbracciare da una parte all’altra della strada, ma sono braccia secche, senza foglie, sottili e nere. I tronchi con grandi buchi sul dorso sembrano imploranti aiuto in un urlo strozzato. Questo angolo delle Madonie la sera dell’11 agosto è stato attraversato da un grande fuoco che ha bruciato tutto. Il paese arroccato su un costone roccioso, nel secolo scorso noto per aver dato i natali all’intellettuale antifascista Giuseppe Antonio Borgese e oggi conosciuto più per averli dati allo stilista Domenico Dolce, è stato assediato per ore dalle fiamme. «Siamo stati circondati dal fuoco, in poche ore qualcuno ha appiccato incendi a nord e a sud, e mentre arrivavano i soccorsi vedevamo partire altri roghi come se ci fosse stata una regia, un coordinamento del male», dice il sindaco Gandolfo Librizzi mentre passeggia in via Itria, un budello che costeggia il versante nord. Entra in un appartamento che dà sulla vallata: «Qui quella sera siamo arrivati con il tubo dell’autobotte attraverso la cucina per spegnere le fiamme che salivano dal fondovalle». Affacciandosi da questa balconata non si viene più accecati dal giallo delle dolci colline da secoli coltivate a grano, ma si resta impressionati dal nero che colora tutto a perdita d’occhio. Una scena che si ripete a macchia di leopardo in tutta l’isola nei paesaggi più belli ridotti a cenere, dagli Iblei ai monti che circondano Palermo. In Sicilia da gennaio ad agosto sono andati in fumo 80 mila ettari di boschi, campi di grano e macchia Mediterranea. Quasi quanto l’intera Grecia, che nell’anno dei record delle fiamme in terra ellenica è arrivata a 110 mila ettari. Con una piccola differenza: l’isola ha una estensione di 25 mila chilometri quadrati, la Grecia di 130 mila. Di fronte a questi numeri le temperature record, con i 48 gradi di Floridia nel Siracusano che hanno fatto registrare il picco storico in Europa, non bastano certo a giustificare una terra messa a fuoco e fiamme. Dietro c’è la mano dell’uomo. Non a caso, nell’area del demanio tra Polizzi Generosa e Gangi, sono stati trovati dagli operai forestali degli inneschi: sacchetti di plastica con dentro della benzina e una sorta di miccia.
Ma chi ha dato fuoco a questo pezzo di Madonie? Anzi, chi ha dato fuoco alla Sicilia? Raccogliendo documenti e testimonianze di chi sta indagando vengono fuori storie di pastori, di agricoltori sfiancati dal mercato, di precari forestali e di interessi speculativi in riserve e contrade che valgono oro per la fertilità dei terreni. Storie vere.
“IL FUOCO SISTEMA TUTTO“
Poco prima di Ferragosto i carabinieri di Siracusa coordinati dal capitano Simone Clemente hanno fermato due pastori, Salvatore e Franco Coniglione, padre e figlio. L’indagine nasce dalla segnalazione di altri due pastori che negli incendi dello scorso anno avevano perso bestiame e pezzi di azienda. Il 28 luglio scorso l’auto dei Coniglione entra nell’area demaniale Bosco Pisano, tra Buccheri e Vizzini. Poco dopo parte un incendio vasto in tutta la vallata con più focolai. Intercettato, il figlio dice al padre: «Due minuti e lì bum bum, tutto a fuoco». Un pomeriggio, davanti alla Sughereta di Buccheri, Salvatore con un suo amico inizia a vantarsi: «Qui dal confine fino a varco Pisana ho pulito quattro salme (sette ettari, ndr)», dice. «Poi ci fu quello che partì da Vizzini e si pulirono altre quattro salme», aggiunge riferendosi a un incendio del 30 luglio. Pulire significa bruciare. Salvatore minaccia di appiccare un grande incendio per Ferragosto: «Ci sarà da piangere per Buccheri… pulisco altre quattro salme… il fuoco sistema tutto… la prima volta avevo bruciato mezza salma poi i figli di buttana l’hanno spento». Ma perché questi pastori danno fuoco a tutto? Lo spiega lo stesso Coniglione: «Le vacche», dice, «dove le devo tenere per loro, nella strada? Ma se la facessero ficcare in culo… tutti questi terreni dove non ti fanno entrare, ma che è giusto? Qui se non fai così terreno non ce n’è, le vacche le devi fare furriare (girare, ndr). E poi per un camion di fieno ci vogliono 1.300 euro. Così brucio tutto». Spesso alcuni allevatori non dichiarano tutti i capi di bestiame che hanno: quindi non possono comprare foraggio per tutti e con regolari ricevute. Allora hanno bisogno di spazi e di terreni, e nei campi incendiati alle prime piogge cresce subito spontaneo proprio il foraggio.
Ecco una prima mano che ha dato fuoco alla Sicilia e la pista degli allevatori è seguita anche nel Palermitano per spiegare gli incendi tra Piana degli Albanesi, Altofonte e San Giuseppe Jato. Ma quella di alcuni pastori non è stata la sola mano in azione. Nell’Ennese gli inquirenti stanno seguendo una pista particolare: nella provincia considerata davvero il granaio di Sicilia quest’anno sono andati in fumo 1.400 ettari, in gran parte terreni coltivati a cereali. A quanto pare molti produttori non avevano fatto alcun lavoro di prevenzione. Perché? Il sospetto è che qualcuno (pochi tra i tanti imprenditori onesti) abbia preferito intascare i soldi dell’assicurazione e sperare magari in qualche contributo per gli incendi che arriverà da Palermo o da Roma, piuttosto che vendere al mercato il grano. A maggio il prezzo era bassissimo, 25 centesimi al chilo, e solo alla fine di agosto è salito oltre i 45 centesimi, quando la produzione era ormai diminuita anche a causa delle fiamme.
GLI INTERESSI SPECULATIVI SULLE RISERVE
Gli agenti del Corpo forestale stanno indagando inoltre sugli strani incendi iniziati già a maggio, con temperature non elevate, in alcune aree del Siracusano: Pantalica, la riserva di Vendicari e l’area dei laghetti di Avola. Raccontano gli inquirenti: «Lì gli incendi sono iniziati in un periodo anomalo, la cosa ci ha colpito e abbiamo fatto delle verifiche. Ad esempio abbiamo scoperto che qualcuno non ha gradito alcuni limiti al transito nell’area dei laghetti di Avola. E quindi per ripicca ha dato fuoco all’area. A Vendicari stiamo verificando alcuni interessi speculativi: lì la riserva è nata quando c’erano già diverse abitazioni. Ad alcuni è stato consentito di fare dei lavori negli anni, ad altri no. Questa cosa non è stata gradita così hanno appiccato incendi». C’è poi un’altra storia che circola nel Siracusano e che gli inquirenti stanno verificando: la politica, regionale e locale, aveva promesso di dare in concessione le stazioni ferroviarie dismesse a privati che erano pronti a realizzare locali e ristoranti. Poi l’affidamento è stato sospeso e qualcuno per lanciare un segnale ha dato fuoco proprio nell’area attorno alle stazioni.
Il procuratore di Messina, Maurizio De Lucia, negli anni scorsi ha coordinato invece indagini sui grandi incendi avvenuti tra il 2017 e il 2018 nel parco dei Nebrodi con migliaia di ettari di bosco andati in fumo. In tre sono stati fermati perché avevano dato fuoco a delle sterpaglie nelle loro terre in giornate di scirocco facendo poi nascere mega incendi: «Quindi una bonifica costante dei territori è fondamentale. Poi, è chiaro, ci sono spesso interessi speculativi e criminali: non si riunisce la Cupola per gli incendi, ma qualche legame con mafiosi c’è, in alcuni casi, grazie alla forza di intimidazione che certi personaggi hanno».
LA MAFIA C’ENTRA?
Le parole di De Lucia trovano conferme. Un’altra area andata a fuoco, dove ha perso la vita anche un agricoltore che cercava di spegnere le fiamme, è stata quella delle campagne di Paternò, in provincia di Catania. In particolare in una contrada che si chiama Sciddicune: qui lavora ed è molto attivo un giovane imprenditore agricolo, Emanuele Feltri, già nel 2013 vittima di attentati intimidatori perché qualcuno non aveva gradito il suo voler chiedere attenzione per queste terre dove i caporali facevano coltivare gli ortaggi ad immigrati senza alcun rispetto delle regole. Ma questa volta gli incendi, che hanno distrutto gli allevamenti e i terreni non solo di Feltri ma anche di altri agricoltori e pastori della zona, sembrano avere altre motivazioni. La pista seguita dai carabinieri è quella di un forte interesse a questi terreni, considerati tra i più fertili del Catanese, da parte di qualche altro agricoltore che vorrebbe averli ceduti a prezzi di comodo. Personaggi magari con precedenti mafiosi. Come il volto apparso nei giorni delle fiamme tra Bronte e Castiglione di Sicilia. Le uniche aree in Sicilia non bruciate sono state quelle dei vigneti, tranne in questo scorcio dell’Isola alle falde dell’Etna. Guarda caso, il giorno nel quale sono stati appiccati diversi roghi attorno ad alcuni vigneti, al bar del crocevia è stato notato un operaio forestale precario conosciuto per i suoi precedenti penali perché legato al clan Brunetto: chiedeva il pizzo agli agricoltori della zona. Una presenza anomala, quasi a voler dire “io sono qui e a me dovete chiedere protezione”. Il fatto è stato segnalato alle forze dell’ordine che stanno facendo verifiche su questo operaio forestale. Ecco, a proposito di operai forestali (il bacino da 20 mila precari chiamati ogni anno a lavorare nei boschi e nelle campagne demaniali), il sospetto che tra loro qualche isolato delinquente abbia contribuito al caos di questa estate c’è. La gran parte è intervenuta quasi in maniera eroica, senza mezzi, per spegnere gli incendi, rischiando la vita. Ma a quanto pare non tutti i precari quest’anno sono stati chiamati in servizio, soprattutto quelli che fanno al massimo 78 giornate lavorative. Già a febbraio un operaio forestale precario di 61 anni era stato fermato sui Nebrodi in flagranza di reato. Voleva iniziare la stagione dei fuochi in anticipo sperando così in una chiamata in servizio da parte della Regione.
Queste sono le piste investigative, che raccontano bene il clima che si respira nelle terre di Sicilia (e d’Italia) date alle fiamme in questa calda, caldissima, estate.