Farmaci approvati in Africa non coperti da brevetti, il caso di successo di Cuba, l’antidoto ideato anche da un’italiana in Texas che rinuncia a ogni compenso. Tutti medicinali che potrebbero immunizzare il mondo con costi irrisori. Ostacolati da chi sta incassando miliardi

«L’Africa ha creato il suo primo vaccino mRna», annuncia Petro Terblanche, direttrice di Afrigen Biologics, laboratorio all’avanguardia di Città del Capo che da mesi lavora a un antidoto contro il Covid-19 per immunizzare il continente.

 

Il team di Terblanche è partito sfruttando le informazioni pubblicate dalla casa farmaceutica Moderna sul proprio vaccino a mRna: «Ma non l’abbiamo copiato», puntualizza la dottoressa. Precisazione necessaria perché la kEnup, la fondazione legata a Moderna che inizialmente aveva dichiarato di rinunciare a usare i brevetti per proteggere il proprio monopolio, sta facendo pressione contro la creazione dell’hub in Sudafrica per produrre in loco il siero, finanziato dall’Oms.

 

L’antidoto open source sudafricano ha il vantaggio di non dover essere conservato a temperature bassissime, come invece quelli di Pfizer e Moderna. Se supererà tutte le fasi di approvazione, consentirà di proteggere dal Sars-Cov-2 parte degli 1,37 miliardi di africani, che al momento sono esposti al virus al 90 per cento. Succede perché i Paesi ricchi e le case farmaceutiche hanno per ora dimostrato di essere bravissimi nella costruzione di un apartheid sanitario, lasciando il Sud del mondo senza vaccini, test diagnostici e cure.

Maria Elena Bottazzi

Dall’altra parte dell’Oceano l’italiana Maria Elena Bottazzi e l’americano Peter Hotez, entrambi ricercatori del Baylor College of Medicine del Texas, hanno creato il vaccino Corbevax, per il quale i due scienziati hanno rinunciato a depositare brevetti e sarà quindi open source. Si tratta di un siero a base proteica, simile a quello per combattere l’epatite B: sfrutta quindi una tecnologia semplice, collaudata ed efficace al 90 per cento. L’India l’ha approvato per immunizzare un settimo della popolazione mondiale e presto verrà usato in Bangladesh, Botswana e Indonesia.

 

Poi c’è Cuba, che ha messo a punto il vaccino a base proteica Soberana, ha immunizzato tutta la popolazione e avviato accordi con il Messico. Il siero sta dando ottimi risultati ma non viene esportato da noi perché «l’iter di autorizzazione per accedere in Europa è troppo costoso», spiega Andrés Càrdenas O’Farrill dell’Institute for Economic Thinking, invitato al Gran Sasso Institute a illustrare il successo di Soberana.

 

Il dinamismo di tutta questa ricerca scientifica open source, che sta facendo veloci progressi e offre all’umanità soluzioni innovative, è azzoppato dalla scelta di Europa e Stati Uniti di vincolarsi mani e piedi al siero di Pfizer BioNTech, impegnandosi all’acquisto di dosi almeno fino al 2023 e garantendo alla multinazionale il proprio voto contrario a una sospensione dei diritti di proprietà intellettuale per i vaccini Covid-19. Eppure garantire il monopolio farmaceutico a Pfizer e Moderna vuol dire innescare un cortocircuito globale i cui esiti sulla salute pubblica sono ancora incerti. Andiamo con ordine.

 

Grazie ai vaccini anti Covid-19, Pfizer ha guadagnato 37 miliardi di euro nel 2021, diventando la prima azienda farmaceutica al mondo e ha raddoppiato il fatturato a 81,3 miliardi, con oltre 22 miliardi di profitti. La società americana prevede un 2022 da record: 54 miliardi di vendite fra vaccino e pillola Paxlovid, che contrasta la malattia. «Un simile monopolio è pericoloso perché la Commissione Europea, impegnandosi ad acquistare un vaccino tanto costoso almeno fino al 2023, si preclude la possibilità di intraprendere alternative. Sono gli stessi scienziati e gli economisti a lanciare l’allarme», spiega Marc Botenga, eurodeputato olandese membro della Sinistra Unitaria Europea.

 

Al Parlamento Europeo sta stretta la decisione della Commissione Europea di aver firmato accordi segretissimi con Pfizer e Moderna e di non sapere a quanto ammonta l’esborso economico complessivo.

Petro Terblanche

Dice Botenga: «Sappiamo che Pfizer ha aumentato in corsa i prezzi dei vaccini e che la Commissione ha accettato i rincari, senza negoziare. Eppure l’aumento della domanda da un lato e la riduzione dei costi di produzione dall’altro, dovrebbero far scendere il costo dei vaccini, anziché favorirne l’aumento», ma essendo il vaccino anti Covid-19 un monopolio nelle mani di Pfizer, è l’azienda a dettare il prezzo.

 

A indispettire i parlamentari, anche la segretezza sugli sms scambiati tra il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, e il capo di Pfizer, così come l’indisponibilità della Commissione a fornire al Parlamento tutti i documenti di Hera, l’autorità per l’emergenza sanitaria.

 

Nicola Magrini, direttore di Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, spiega che «oggi si comincia a riflettere sul fatto che, probabilmente, gli accordi firmati dall’Europa con le case farmaceutiche non sono stati i migliori possibili. Premesso che la campagna vaccinale ha avuto risultati eccellenti, quegli accordi sono stati secretati e c’è stata scarsa contrattazione economica, dal momento che il costo dei vaccini è addirittura aumentato in contraddizione alle regole di mercato a fronte di una maggiore domanda. Ci si aspetta quindi che l’Europa e la presidente Von der Leyen, consigliata da Peter Piot, un virologo di altissimo valore che scoprì Ebola e direttore di una delle più importanti scuole di sanità pubblica di Londra, avviino una discussione di lungo termine in un’ottica di sanità pubblica, in cui l’Europa sia parte attiva assieme all’Oms delle politiche globali da attuare per un “build back better” e non un semplice ritorno alla normalità. Andrebbe comunque fatta una riflessione politica approfondita sul diverso prezzo (di dieci volte) dei vari vaccini e della scelta etica fatta da AstraZeneca e Università di Oxford di dare accesso a un vaccino più economico, di altissima qualità e più sostenibile a livello globale. Più in generale servono investimenti pubblici nella giusta direzione, serve cioè la creazione di un’infrastruttura di ricerca a partecipazione pubblica per rendere l’Italia e il vecchio continente indipendente nella creazione di nuovi vaccini e farmaci innovativi. Una importante iniziativa in tal senso è stata avviata proprio con l’ultima legge di bilancio e l’Italia ha già un proprio know how sulla scoperta e produzione di vaccini mRna».

 

Magrini ritiene che in futuro avremo ancora bisogno di vaccini, probabilmente di un richiamo annuale: «Fare previsioni è azzardato e di solito in assenza di evidenze solide assai fallace, ma quello a cui andremo incontro dipenderà molto da ciò che succederà in Africa, dove oltre un miliardo di persone non è vaccinato, e nell’altro emisfero durante la prossima estate dove è possibile che si sviluppino varianti ad alto livello di diffusione ma non per questo peggiori».

 

Cosa dobbiamo attenderci lo racconta a L’Espresso Giuseppe Remuzzi, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: «Lo scenario più favorevole è che gran parte della popolazione mondiale incontri la variante Omicron, favorendo l’endemia, quindi la convivenza col virus. Ma potrebbe sorgere una nuova variante, aggressiva ma controllabile come Delta. Oppure ne potrebbe nascere una estremamente contagiosa e aggressiva. Non possiamo escluderla, perché in passato abbiamo sì affrontato delle pandemie, ma non in uno scenario globale come quello attuale». Infatti, mentre la curva epidemica è in regressione in venti Paesi del mondo, nell’Est Europa e nel Sudest asiatico i casi sono in rapida crescita.

 

«Finché gran parte dei Paesi poveri non sarà vaccinata, possono svilupparsi nuove varianti resistenti anche ai vaccini», avverte Remuzzi, che invita a uscire dall’idea di supremazia delle nazioni occidentali: «La pandemia non può essere affrontata indipendentemente da quello che succede nei Paesi in via di sviluppo. Concretamente, solo grazie agli scienziati del Sud Africa, che hanno sequenziato Omicron e condiviso i dati, sappiamo che la totalità dei casi Covid-19 lombardi deriva proprio da quel ceppo». Dati offerti gratuitamente all’Oms, su cui Pfizer e le altre case farmaceutiche stanno lavorando per offrire un nuovo e costoso vaccino. Remuzzi, insieme all’economista Massimo Florio, ha lanciato una petizione su Change.org per creare subito un Fondo Europeo di solidarietà all’Africa: «Il Journal of American Medical Association racconta che in Africa i bambini al di sotto dell’anno di vita hanno una probabilità di morire per Covid-19 cinque volte maggiore rispetto ai 15-19enni. Se non vacciniamo l’Africa, da lì potrebbero venire nuove varianti più aggressive nei confronti dei soggetti deboli, cioè i bambini, che con maggiore frequenza sviluppano la sindrome da infezione multisistemica». Un appello finora inascoltato dagli Stati e dalle multinazionali, tanto che il progetto Covax, il programma internazionale per un accesso equo ai vaccini, è stato un flop: su 3,2 miliardi di vaccini necessari per immunizzare i Paesi poveri ne è stato consegnato circa un miliardo. Un cieco egoismo dell’Occidente, visto che il Fondo Monetario Internazionale sottolinea che la diffusione di una nuova variante può far arretrare il reddito globale di quasi il cinque per cento, con una perdita di 4.500 miliardi di dollari, mentre vaccinare tutto il mondo costerebbe 50 miliardi. «Il costo per vaccinare l’Africa è di otto euro per ogni cittadino africano, offrendo logistica, vaccini, monitoraggio e una campagna di informazione: servono dieci miliardi di euro ma bisogna agire adesso», spiega Remuzzi, che invita la Commissione Europea a valutare seriamente questa proposta, poiché l’Europa è l’area su cui geograficamente impatterà prima e più velocemente che altrove la prossima variante.

 

Tuttavia il cappio che l’Occidente si è auto imposto, legandosi al monopolista Pfizer, impedisce di trovare una rapida soluzione. Già oggi, sfruttando i vaccini anti Covid-19 open source messi a punto da diversi centri di ricerca scientifici, si potrebbe lavorare alla produzione di fiale per immunizzare il mondo. Per la preparazione dei futuri antidoti al Covid-19 ci si potrebbe affidare anche alla rete pubblica dei 110 istituti di ricerca della Global Influenza Surveillance Network, Gisn, che dalla fine degli anni Quaranta, attraverso l’Organizzazione Mondiale della Sanità, crea e aggiorna semestralmente i vaccini contro l’influenza stagionale. Il Gisn ha l’esperienza per analizzare le varianti, per determinare quale potrebbe essere la più pericolosa, è in grado di lavorare sulla realizzazione di nuovi vaccini e pure sulla loro messa in produzione. Ma le cose potrebbero andare diversamente, visto che Pfizer intende arrivare all’autunno con un nuovo vaccino anti Covid-19 parallelo all’influenza. Il rischio è che la Commissione Europea, priva di un’alternativa, si vedrà costretta a comprare a prezzi altissimi il nuovo siero Pfizer, abbandonando il servizio pubblico offerto dall’Influenza Network e contribuendo quindi a smontare una rete sanitaria mondiale che opera sfruttando un modello open source. Un assist alle multinazionali del farmaco per portarsi a casa il ghiottissimo business dei vaccini antinfluenzali. Del resto, la lobby farmaceutica è riuscita finora a muovere le sue pedine magistralmente, ad esempio mettendo all’angolo il vaccino AstraZeneca, poco costoso e che aveva sì manifestato alcuni problemi per le donne vaccinate, ma che, come evidenziato dall’Economist, ha salvato più vite dei sieri concorrenti. E oggi uno studio Aifa dice che il tasso di eventi avversi gravi è di 0,94 ogni centomila per AstraZeneca, 0,66 per Pfizer, 0,61 per Moderna e 1,87 per il vaccino americano Johnson&Johnson. Si è quindi demonizzato il vaccino di AstraZeneca, che in realtà ha dato risultati in linea con gli altri. Ma è successo anche per altri prodotti, sostenendo ad esempio che il vaccino russo, quello cinese e quello cubano fossero di serie B rispetto a quelli mRna. La verità è che non esiste alcuno studio scientifico comparativo sull’efficacia dei 33 vaccini approvati. E la Commissione Europea, non avendo una propria infrastruttura dotata di capacità scientifiche, tecniche e negoziali per intraprendere una propria strategia vaccinale e farmaceutica, continua a essere catturata dal monopolio Pfizer, lasciando le alternative, come il vaccino sudafricano, quello cubano e il vaccino texano Corbevax, ai Paesi in via di sviluppo. Il problema non è solo economico, ma anche sanitario, perché Pfizer ha affermato di essere in grado di produrre in tre mesi un nuovo vaccino contro un’eventuale futura variante. Ma questo vuol dire tornare ciecamente ogni volta dalla casa farmaceutica statunitense, senza considerare le decine di alternative in commercio che sono sicuramente meno costose e potrebbero essere anche più efficaci.