Esclusivo
ViIle, alberghi, locali storici: il tesoro italiano degli oligarchi di Putin. Nascosto in società anonime
Le proprietà in Toscana dei Rotenberg, i finanziatori segreti di Putin. Le case di lusso in Costa Smeralda di Usmanov e Abramovich. I miliardari russi controllano decine di immobili e aziende in Italia. Ma i soldi e le azioni sono al sicuro nelle offshore nei paradisi fiscali
Tutti al mare, in Sardegna, come ogni anno. Anche la scorsa estate i più importanti oligarchi russi, da sempre legatissimi a Vladimir Putin, si sono radunati per le vacanze in Costa Smeralda. L'elenco dei super miliardari di Mosca che controllano ville spettacolari in questo paradiso per vip è lungo: i più famosi sono i fratelli Arkady e Boris Rotenberg, i magnati dell'industria Oleg Deripaska e Alisher Usmanov, il re della vodka Roustam Tariko, l'ex patron del Chelsea Roman Abramovich. Nella marina di Porto Cervo si è fatto notare anche lo yacht da 36 milioni di dollari comprato a Montecarlo da Gennady Timchenko, il padrone di Rossiya Bank, il banchiere più vicino al presidente russo. Con lui è stata avvistata, secondo testimonianze raccolte sul posto, anche una bella signora, Svetlana Krivonogikh, socia d'affari proprio di Timchenko nella banca russa ora sanzionata e in altre ricche imprese: è la madre di Elizaveta, una presunta figlia segreta di Putin.
Per gli oligarchi russi l'Italia è un tesoro. Hanno case di lusso, tenute agricole, controllano alberghi, bar, ristoranti e aziende di ogni tipo dalla Sardegna alla Toscana, dal Lago di Garda a Roma. Sono tra noi, da anni, eppure non risultano proprietari quasi di nulla. I loro nomi non vengono registrati al catasto. Si nascondono dietro muraglie legali di società estere, chiamate offshore, che offrono due preziosi vantaggi. Hanno sede nei paradisi fiscali, dove le tasse non esistono. E permettono ai titolari di restare anonimi. Negli atti societari compaiono solo i loro fiduciari-prestanome. Una schermatura che oggi rende molto più difficile applicare le sanzioni decise da tutte le nazioni occidentali dopo la guerra e l'invasione dell'Ucraina. Una dimostrazione concreta dell'efficacia di questo scudo offshore arriva da una serie di email riservate, ottenute da L'Espresso, che mostrano quanto sia facile, anche per un oligarca vicinissimo a Putin, farsi beffe delle minacce di sequestro dei beni e tenersi i soldi nei paradisi fiscali. E le proprietà in Italia.
Al centro del caso c'è uno dei tre nomi che hanno aperto la lista nera del governo britannico, il primo che ha varato le sanzioni contro Mosca. Oltre a colpire una serie di banche, tra cui Rossiya Bank, il premier Boris Johnson ha annunciato, la sera stessa dell'attacco all'Ucraina, il congelamento dei patrimoni di tre individui, i più clamorosamente legati a Putin: il banchiere Timchenko e i miliardari Boris e Igor Rotenberg. I due familiari hanno interessi milionari in Italia. Igor Rotenberg, in particolare, controlla una villa da almeno dieci milioni di euro sulla spiaggia di Castiglione della Pescaia e una sontuosa tenuta agricola sull'Argentario, con diversi rustici ristrutturati, parco, eliporto privato, piscine e lago artificiale in mezzo a 220 ettari di oliveti. Nulla però è intestato a lui personalmente: le proprietà toscane fanno capo a una rete di società offshore. Rigorosamente anonime. L'oligarca, che secondo la classifica di Forbes ha un patrimonio personale di oltre un miliardo, era stato bersagliato già nel 2018 dalle sanzioni americane, per cui in teoria avrebbe potuto già allora perdere tutto. Invece il problema, almeno in Italia, si è risolto con un'email. Che indica una soluzione ancora valida anche per gli altri miliardari del cerchio dorato di Putin: nei pochi casi in cui le autorità di controllo riescono a collegare a un oligarca una tesoreria anonima, basta cambiare offshore e il gioco è fatto.
A scriverlo nero su bianco, in un messaggio in caratteri cirillici finora inedito, è Yana Ivanova Marchenko, la direttrice della Npv di Mosca, la centrale operativa di Igor Rotenberg. La manager risponde all'amministratrice delle proprietà in Toscana, che aveva sempre ricevuto i soldi da una offshore delle British Virgin Islands (BVI), ma in quell'estate 2018 non riesce più a pagare le fatture «perché le banche bloccano i bonifici». Un avvocato russo con lo studio in Italia, senza usare la parola sanzioni, avverte che «è una questione di controlli anti-riciclaggio». Sciagura? Catasfrofe legale? No, bisogna solo usare un'altra offshore, ancora sconosciuta alle autorità. E così, pochi minuti dopo, Yana da Mosca ordina di «cambiare l'intestazione delle fatture». D'ora in poi, a pagare le spese in Italia sarà «una società di Honk Kong», Artmax Holdings Ltd, con il suo «conto operativo in rubli alla Interprogress Bank di Mosca».
Il cambio di offshore dopo le sanzioni americane è l'ultimo atto conosciuto di una commedia degli inganni che dura da anni e coinvolge tutta la famiglia di sodali dello zar di Mosca. Il numero uno dei Rotenberg è Arkady, padre di Igor e fratello di Boris. Amico d'infanzia di Putin, è diventato multimiliardario sotto la sua presidenza, acquisendo società privatizzate e colossali appalti pubblici. Il suo gruppo ha costruito anche i ponti e altre opere simbolo dell'annessione della Crimea. Quindi gli Stati Uniti, nel 2014, hanno sanzionato i fratelli Arkady e Boris. Ma sotto sequestro è finito pochissimo. Non si trovavano i soldi. Nel 2016 l'inchiesta giornalistica Panama Papers ha svelato una costellazione di offshore usate dai Rotenberg per nascondere somme enormi nei paradisi fiscali. E per versare oltre 200 milioni di dollari a Sergei Roldugin, un violoncellista molto amico di Putin, che da allora è considerato il tesoriere-prestanome del presidente e oggi è sotto sanzioni. In Italia si arriva passando dalle Isole Vergini Britanniche, dove i Rotenberg hanno una cassaforte esentasse chiamata Highland Ventures. Fino al 2014 era totalmente anonima. Poco prima delle misure americane, se ne è assunto la paternità Igor, il figlio non ancora sanzionato. Che nello stesso periodo ha rilevato dal padre anche le società del gas, petrolio e appalti con la Gazprom. E questo è solo il primo giro di valzer degli intestatari.
Nell'Unione Europea, dove la lobby filorussa è sempre stata forte, la guerra in Crimea ha fatto finire nella lista nera solo Arkady Rotenberg, con l'accusa, tra l'altro, di aver finanziato di persona le milizie separatiste. Gli altri familiari, no. Con risultati paradossali: in Italia è stato sequestrato solo il 50 per cento di un palazzo di otto piani nel centro di Roma, in via Aurora, che ospita il Berg Luxury Hotel. L'altra metà del fabbricato, iscritto a bilancio per 17 milioni, è rimasta a Boris Rotenberg. Sequestro dimezzato, per il solo fratello sanzionato, anche per un edificio a Tarquinia. Blocco totale, invece, per una villa di 342 metri quadrati a Porto Cervo e altre due case a Cagliari e Villasimius, intestate a una società di Cipro che una lunga e complicata indagine della Guardia di Finanza è riuscita a collegare per intero ad Arkady Rotenberg.
Suo figlio Igor è invece rimasto il dominus delle ville in Toscana, dove passa le estati tra bagni, cene e feste con ospiti russi. Gli Stati Uniti hanno esteso le sanzioni anche a lui solo nel 2018. L'Europa no. A quel punto Igor ha venduto le società dell'energia alla sorella Lilia, non sanzionata. E per prudenza ha smesso di usare anche la tesoreria offshore bruciata dai Panama Papers. Anche qui è bastata una mail. La fedelissima Yana ha spedito da Mosca una dichiarazione nella quale si legge che una nuova società delle Isole Vergini, Gremarana Project Limited, «d'ora in poi pagherà tutti i conti e le fatture della Highland Ventures». In effetti proprio la Gremarana ha poi pagato, ad esempio, 615 mila euro per sistemare il giardino della villa all'Argentario. In Maremma tutti i dipendenti sanno che il padrone è Igor Rotenberg. Ma un'eventuale indagine dovrà partire da zero: come si fa a dimostrare a chi appartiene una società anonima?
A Porto Cervo, l'estate scorsa, è approdato anche Roman Abramovich, a bordo del suo Solaris, 140 metri di lunghezza, valore stimato 600 milioni dollari. Patron del Chelsea da vent'anni, pochi giorni fa ha trasferito a una fondazione la squadra di calcio, creando una possibile barriera legale contro il rischio di sanzioni. Poi è diventato uno dei negoziatori tra Russia e Ucraina. In Italia, comunque, Abramovich non corre pericoli. Nell'amata Sardegna ha comprato una villa faraonica a Cala di Volpe, più di mille metri quadrati, ma da tempo non ne è più il proprietario: l'ha donata all'ex moglie Irina, come regalo d’addio per il divorzio.
Alisher Usmanov è forse il più ricco degli oligarchi, con aziende dall'acciaio alle miniere, dall'editoria alla telefonia mobile. Ha un patrimonio personale di oltre 15 miliardi. Già due anni fa L'Espresso, con l'inchiesta Fincen Files del consorzio Icij, ha svelato la sua passione per le offshore, descrivendo le società esentasse utilizzate dal super miliardario russo tra British Virgin Islands, Cipro e Belize. Nell'agosto scorso Usmanov è tornato in Costa Smeralda con il suo Dilbar, uno yacht di 150 metri, dopo aver passato, come informa La Nuova Sardegna, «quindici giorni sul Mar Nero tra Sochi e la villa di Putin». Il magnate si è fermato per alcune settimane nella sua residenza da sogno: villa Violina, più di 500 metri quadrati vista mare sul Golfo Pevero. L'Espresso gli ha chiesto, tramite il suo portavoce, cosa ne pensa della guerra in Ucraina, delle sanzioni e della crisi del gas, di cui Usmanov è un esperto, essendo stato per 14 anni direttore generale della Gazprom Investholding, la finanziaria del colosso energetico russo. Risposta: «No comment». Ora è nella lista dei sanzionati.
Anche il re della vodka, Roustam Tariko, che è proprietario tra l’altro di una banca russa, è un habitué della Costa Smeralda. In Italia ha comprato e rilanciato la Gancia, storica azienda vinicola. In Sardegna, nel 2004, ha acquistato villa Minerva, a Punta Volpe. Il contratto reca la firma di un venditore d'eccezione: Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario, moglie dell'allora primo ministro Silvio Berlusconi. Il rogito, 118 pagine, descrive nei dettagli quella villa di 817 metri quadrati con 25 vani, 8 camere da letto, garage, piscina, verande e seminterrato. Il prezzo: 15,5 milioni di euro alla signora e 155 mila, per la sua quota, a Berlusconi. Quel giorno Tariko, classe 1962, si presenta di persona dal notaio. Ma non è lui a diventare proprietario. La villa viene intestata a una società delle solite Isole Vergini Britanniche: E&A Estates. L'immancabile offshore. L'oligarca ne è soltanto il rappresentante, con tanto di procura firmata da un fiduciario. E gli azionisti? Anonimi, come sempre. Tariko però deve conoscerli bene, visto che anche l'estate scorsa è tornato a villa Minerva.
A Cerveteri, tra i siti etruschi e le colline con panorama sul mare, c'è un rustico con piscina che nel 2011 è stato comprato da una offshore delle Isole Vergini Britanniche, Gilroy Trading Limited, che ha speso 900 mila euro per l'acquisto e almeno altrettanto per ristrutturarlo. I Panama Papers rivelano che dietro quella società c'è Konstantin Malofeev, l'ex banchiere che a Mosca sostiene i nazionalisti ultra-ortodossi e il Congresso mondiale delle famiglie, ma ha finanziato anche la destra europea filo-russa, dal partito di Marine Le Pen ai separatisti serbo-bosniaci. Un suo ex manager è uno dei tre russi che hanno partecipato alla famosa trattativa all'hotel Metropol per finanziare la Lega di Matteo Salvini. Da almeno tre anni nella residenza di Cerveteri vive una cittadina russa con permesso di soggiorno illimitato. Un portavoce dell'oligarca, interpellato da L'Espresso, ha dichiarato che «Malofeev non ha nessuna proprietà in Italia». Ma alla richiesta di indicare il vero titolare della offshore che ha comprato la villa, non ha risposto.
Igor Bidilo è un miliardario soprannominato lo zar di Siena, perché ha acquistato i bar e ristoranti più noti della piazza del Palio, palazzi d'epoca e famose imprese dolciarie come il gruppo Nannini. Ha comprato un’altra decina di immobili anche a Roma, Milano, Arezzo e Firenze, dove controlla lo storico bar Giubbe Rosse, il caffè Scudieri e la caffetteria di Palazzo Pitti. Bidilo ha fatto montagne di soldi con il gas e il petrolio: compra da società statali russe, Bashneft e Lukoil, e rivende a prezzi più alti. Con il fratello Eugeni domina il gruppo Atek, con attività nell'energia, costruzioni, trasporti e alberghi in mezza Europa, dalla Finlandia all'Austria. Bidilo è il meno oscuro degli oligarchi: il suo nome è regolarmente registrato come azionista di controllo della società italiana Sielna, che fa da capogruppo. Il problema è la provenienza dei soldi: a Siena è indagato per riciclaggio. Secondo l'accusa, ha reinvestito in Italia, tramite società offshore, soldi sottratti al fisco dell'Estonia, dove ha la sua base operativa. L'indagine estera riguarda circa 600 milioni di dollari accumulati in una tesoreria esentasse delle BVI, la Somitekno Ltd. Igor Bidilo respinge ogni accusa e i suoi avvocati sono riusciti a limitare i sequestri convalidati dai giudici alla somma complessiva di 3 milioni e 162 mila euro. La Procura e la Guardia di Finanza continuano a indagare. Ma per ora il suo caso giudiziario lancia un segnale confortante a tutti gli oligarchi: se ti accusano di aver rubato 600 milioni, al massimo rischi di perderne tre.