San Siro o Sesto San Giovanni? Per Inter e Milan l’importante è che si faccia presto. Ma il sindaco neoambientalista Sala è prudente e aspetta le consultazioni con i comitati civici a fine settembre. Fra preventivi raddoppiati, capitali stranieri e interessi delle grandi immobiliari ecco a che punto è la telenovela sportivo-edilizia

Italia-Brasile del Mondiale 1982 è una partita storica giocata in uno stadio che non esiste più perché a posto del Sarrià, a monte della Diagonal di Barcellona, è stato costruito un quartiere di lusso.

 

In questi giorni di caldo micidiale a Milano si progettano le partite storiche a venire dentro uno stadio che non esiste ancora e che forse non esisterà mai. Secondo gli scettici, il progetto di un nuovo impianto nell’area delle ex acciaierie Falck a Sesto San Giovanni è una fuga in avanti, parte bluff e parte minaccia, per accelerare sull’unica possibilità concreta di Inter e Milan, che è San Siro.

 

Già, ma quale San Siro? Sarà l’attuale Meazza ristrutturato, sull’esempio del Real Madrid con il Bernabéu, oppure un impianto realizzato ex novo sulle ceneri del vecchio, come hanno fatto Tottenham e Arsenal a Londra? Per l’ipotesi radicale c’è già un progetto dello studio Populous. Ma un rendering non si nega a nessuno e allo studio architettonico Usa ha replicato un’altra macchina da guerra come Norman Foster. Dopo la Cattedrale di Populous è arrivato il disegno dell’archistar britannica che cura lo sviluppo dell’area Milano Sesto, uno spazio da 1,5 milioni di metri quadrati a nord dell’eldorado del mattone, la metropoli dove la bolla immobiliare non smette di gonfiarsi, indifferente a guerre e pandemie.

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Ma per capire come finirà la guerra del Meazza è opportuno presentare i personaggi del conflitto sportivo-economico, che sono tanti e di peso. Ruolo per ruolo, le formazioni partono dai protagonisti cioè i due club milanesi e l’amministrazione comunale di centrosinistra che a fine ottobre 2019 ha dichiarato la pubblica utilità del progetto poche settimane prima che il Covid-19 iniziasse a uccidere in Lombardia.

 

Fra palazzo Marino e i club il rapporto è all’insegna dello strappa e cuci. Il sindaco Beppe Sala, ex city manager della giunta di centrodestra di Letizia Moratti confermato dal voto dell’ottobre 2021, ha salde in mano le redini della sua città-Stato e da palazzo Marino offre udienza ai nuovi progetti politici di qualunque orientamento, inclusa l’avventura nascente di Luigi Di Maio. Sala, che non esclude di organizzarsi in proprio, si dichiara ambientalista e ha ridenominato l’assessorato all’Urbanistica in assessorato alla rigenerazione urbana. Il 15 giugno l’assessore Giancarlo Tancredi ha presentato a palazzo Marino il nuovo studio d’area “Mosaico San Siro”. È un progetto che mira ad assumere un ruolo attivo nella configurazione della città senza subire i diktat degli operatori privati, ansiosi di trasformare Milano nella nuova Montecarlo.

La svolta ambientalista ha frenato Sala rispetto a una demolizione integrale del Meazza che avrebbe un impatto micidiale sul quadrante ovest di Milano con la produzione di oltre 210 mila tonnellate di Co2, secondo i calcoli di Paolo Pileri, docente del Politecnico.

 

Ma Paolo Scaroni, confermato presidente del Milan dal nuovo proprietario Usa Gerry Cardinale, e Alessandro Antonello, ad dell’Inter controllato dal gruppo Suning con i finanziamenti del fondo Oaktree, hanno fretta. Le due società non hanno preso bene la scelta del sindaco di consultare i comitati civici con il coordinamento di Andrea Pillon di Avventura Urbana. I colloqui, in effetti, saranno fulminei, da settembre a fine ottobre, quando il team di Pillon dovrà consegnare le sue conclusioni.

 

Con il calciomercato in pieno corso e il derby di Milano in programma per il primo fine settimana di settembre, è passata in secondo piano la cartella esattoriale da 10 milioni di euro spedita dal Comune ai campioni e vicecampioni d’Italia per affitti arretrati. Le società avevano ottenuto una riduzione del canone da 9,4 milioni all’anno, di cui metà scontabili in manutenzione, a 7,2 milioni per la stagione del lockdown (2019-2020). Ma nel campionato seguente il prezzo è tornato alla normalità, nonostante le giornate di apertura parziale usate dai club come ragione per non pagare.

 

Il contenzioso sull’affitto è stata altra benzina sul fuoco della miccia Sesto, un comune molto più piccolo dove il sindaco uscente, il forzista Roberto Di Stefano, è stato confermato lo scorso giugno proprio sbandierando l’arrivo del grande calcio e la visita a Sesto San Giovanni del nuovo azionista Cardinale. Il fondatore del fondo RedBird è molto esperto del mercato dei diritti sportivi ma poco pratico delle dinamiche sportivo-immobiliari italiane dove si sono già impantanati i connazionali Jim Pallotta e Daniel Friedkin. Eppure la telenovela dell’As Roma potrebbe essere replicata in grande stile dalla vicenda milanese.

 

La situazione dell’area ex Falck, dove un tempo la classe operaia garantiva al Pci maggioranze da Patto di Varsavia, è la tempesta perfetta del capitalismo immobiliarizzato così in voga nei dintorni della Madonnina. Lo ha spiegato bene Massimo Ferrari, che è insieme consigliere del Milan e direttore generale di Webuild, l’impresa di edile numero uno in Italia interessata a realizzare il nuovo impianto. Ferrari ha dichiarato che i vecchi calcoli del nuovo Meazza sono da buttare nella spazzatura della storia. Le vecchie stime indicavano in 700 milioni di euro i lavori del solo impianto più 500 per la riqualificazione dell’area che rappresenta il vero business immobiliare. Secondo Ferrari, con l’aumento dei prezzi delle materie prime ci vuole circa il triplo, oltre 3 miliardi di euro. Lo stadio, che costerebbe oltre 2 miliardi, è ovviamente a carico dei club.

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Oltre a questo, ci vuole lo spazio che è stato individuato al T5, comprato Concordia, dove sorgeva l’altoforno Tagliaferri. In realtà il masterplan dell’ex area industriale è già parecchio affollato di strutture come la Città della salute, con il Besta e l’Istituto tumori, la seconda sede del San Raffaele tanto caro a Silvio Berlusconi, la stazione a ponte di Renzo Piano e una quota di spazi verdi concepiti per evitare l’ennesima orgia di cemento.

 

Il cambiamento in corsa è poco agevole ma non impossibile, anche se la MilanoSesto è una creatura curiosa sotto il profilo della governance. Negli ultimi vent’anni è passata di mano dalla famiglia Pasini a Luigi Zunino, poi a Bizzi&partners che nel 2019 ha venduto per appena 50 milioni e al saudita Fawaz al Hokair, uscito anche lui dopo essere stato indicato come possibile acquirente del Milan. Le sorti della società sono affidate a tre soggetti.

 

Prelios, l’ex Pirelli Re che ha come socio di riferimento la holding Lavaredo del fondo Davidson Kempner capital management (38 miliardi di dollari di patrimonio gestito), ha il ruolo di fund manager. Il gruppo americano Hines, guidato in Italia da Mario Abbadessa, fa da partner industriale. L’azionista che controlla MilanoSesto è una piccola srl con 15 mila euro di capitale sociale interamente impegnato dalle banche Intesa, Unicredit, Bpm e intestato personalmente a un gruppo di manager di Prelios: Fabrizio Palenzona, ex vicepresidente di Unicredit, Luigi Aiello, Angelo Cattaneo, Sergio Cavallino e Nicolò Denaro.

 

Nella partita delle porte girevoli l’ex ad di MilanoSesto Giuseppe Bonomi, avvocato varesino e storico esponente della Lega, ha lasciato la poltrona a Luciano Carbone, suo ex braccio destro nella Sea, la società di gestione degli aeroporti milanesi. Bonomi è stato ingaggiato come superconsulente di Inter e Milan per il nuovo stadio. Nel cda è rimasto un altro superconsulente, Enrico Laghi, professionista dai mille incarichi (Telecom, Ilva, Alitalia, Benetton, Gedi, Cinecittà, Astaldi, Prelios stessa) accusato di corruzione dalla procura di Potenza e messo agli arresti lo scorso settembre.

 

Stando così le cose, l’ultima parola dovrebbe spettare alle banche che hanno orrore dei passi falsi, piuttosto frequenti nelle vicende recenti dell’immobiliare milanese. L’area di Sesto non ha lontanamente l’appeal immobiliare del quartiere San Siro dove proprio Hines sta sviluppando l’area dell’ex ippodromo del trotto. In più, c’è la questione dei collegamenti. San Siro ha due linee di metropolitana già attive. Sesto ha la linea rossa abbastanza vicina ma è anche a pochi chilometri dallo stadio Brianteo di Monza, il club di Silvio Berlusconi che l’anno prossimo giocherà la sua prima stagione in serie A guidato dal monzese doc Adriano Galliani. Anche qui potrebbe entrare in gioco Webuild. L’impresa di Pietro Salini e della Cdp ha l’appalto della nuova linea 4 della metro e sarebbe il candidato ideale, se non unico, per l’allungamento della M5 fino a Monza con 1,25 miliardi di euro del Pnrr.

 

Come ennesimo elemento di complicazione, i nemici della demolizione di San Siro sono tanti e influenti. Berlusconi si è detto contrario. Idem per l’ex presidente dell’Inter del triplete Massimo Moratti, invitato bruscamente dal sindaco, peraltro tifoso interista, a comprarsi San Siro e ristrutturarlo lui. Infine, c’è l’economista Carlo Cottarelli, ex mister Spending review, che guida la società dei piccoli azionisti nerazzurri Interspac e che molti considerano un buon candidato alle regionali del prossimo anno contro le panzerdivisionen del centrodestra abituate a trionfare in Lombardia da decenni.

 

Con buona pace di Scaroni e Alessandro, l’unica certezza è l’allungamento dei tempi. A San Siro sono partiti lo scorso autunno i lavori sull’ex area del Trotter. A Sesto il primo lotto privato è stato inaugurato a gennaio su uno spazio di 250 mila metri quadrati con un finanziamento da 500 milioni di euro della Kia, il fondo sovrano del Kuwait. Il cronoprogramma prevede la consegna delle prime opere per il 2025 e la parola fine a dicembre del 2032, fra più di dieci anni.

 

Ma ci sono scadenze urgenti. Il presidente del Coni Giovanni Malagò è stato imperativo nel dichiarare che i giochi invernali Milano-Cortina 2026 saranno inaugurati al Meazza e che non potranno esserci né gru né impalcature a rovinare lo scenario della festa. Che promette di essere indimenticabile anche per un attore economico ormai inserito in modo pacifico nel tessuto produttivo locale. Forse impropriamente ormai, si chiama ‘ndrangheta. Controlla locali alla moda, ristoranti, farmacie, imprese edili. A metà giugno è stato arrestato Pietro Paolo Portolesi, uomo dei clan Platì, che stava lavorando allo scalo di Porta Romana dove sarà realizzato il villaggio olimpico. È un’impresa sporca fra tante pulite, si dice a Milano. A furia di dirlo, si rischia che sia un’impresa sporca fra tante ugualmente sporche.

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