Inchiesta

I soldi del Pnrr per gli asili nido non stanno affatto colmando le disuguaglianze

di Gloria Riva   5 settembre 2022

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La burocrazia impedisce ai progetti finanziati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza di ottenere i risultati sperati. Abbiamo calcolato cosa sta succedendo sul territorio, lontano dalle dichiarazioni della campagna elettorale

Enrico Letta lancia l’idea di estendere la scuola dell’obbligo dai tre ai 18 anni. La terzopolista Mara Carfagna gli risponde che i nidi - che accolgono bambini fino a tre anni, ndr - non ci sono per tutti e quindi l’idea del Pd è follia. Il dialogo surreale tra i due candidati viene coronato dall’intervento di Matteo Salvini che, limpidamente, propone di copiare il modello ungherese di Orban, dove la donna, dopo il terzo figlio, ha un sacco di vantaggi fiscali: e addio parità di genere. Ciliegina sulla torta: Giorgia Meloni promette più soldi alle famiglie con figli, in barba alle finanze pubbliche.

Scuola e famiglia diventano strampalati slogan elettorali che la dicono lunga sulla distanza siderale della politica romana dalla vita reale. Non un candidato che si sia preoccupato di verificare se l’assegnazione dei 4,6 miliardi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza per la creazione di asili nido, che si è materializzata con la pubblicazione delle graduatorie da parte del ministro dell’Istruzione lo scorso 16 agosto, centra l’obiettivo, ovvero garantire il diritto a un posto in un asilo nido ad ogni bambino da zero e tre anni.

Ci ha pensato L’Espresso, andando a verificare se la ripartizione dei fondi ridurrà le disuguaglianze fra aree come l’Emilia Romagna, dove c’è una copertura pubblica del 28 per cento, e la Sicilia, che ha 6,7 posti ogni 100 bambini. I piccoli di Palermo, grazie agli interventi del Pnrr, avranno gli stessi diritti di quelli emiliani? La risposta è no.

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In base ai dati elaborati per L’Espresso da Christian Morabito, esperto internazionale di politiche educative per l’infanzia presso Nazioni Unite, Ocse e Commissione Europea, la Sicilia potrebbe arrivare al 15 per cento circa di copertura pubblica, mentre l’Emilia Romagna supererà abbondantemente la soglia del 33 per cento. La pioggia di miliardi del Pnrr migliora la condizione del Sud, perché il 55 per cento delle risorse è stanziato da Roma in giù, ma non riduce in modo sostanziale le disuguaglianze non solo fra regioni, ma anche all’interno di uno stesso territorio. Come succede in provincia di Imperia, all’estremo ponente ligure, proprio al confine con la Francia, che storicamente ha una copertura molto bassa di servizi per l’infanzia.

Fino a un decennio fa c’era un solo nido privato a Dolceacqua, gestito da una cooperativa di donne che ha alzato bandiera bianca perché i costi di gestione erano improponibili e i genitori non potevano permettersi tariffe da 600 euro al mese. Ora si scopre che in quell’area un solo comune ha fatto richiesta. Si tratta di Camporosso, poco più di cinquemila abitanti, con oltre 200 bambini nella fascia zero-tre anni che, promette il sindaco Davide Gibelli, entro il 2024 avranno un nido da trenta posti. Ma bisogna andarci piano con le promesse. La fase di progettazione è andata liscia, soprattutto perché Gibelli è un architetto e quindi non ha trovato problemi nella presentazione dell’opera, come invece è avvenuto in molti altri comuni: «Il primo scoglio che hanno incontrato molti piccoli comuni è di tipo progettuale», spiega Morabito: «Chi ha già un asilo nido o chi ha un buon ufficio tecnico in grado di formulare correttamente la domanda è stato agevolato nella partecipazione al bando», non a caso, in base ai dati elaborati da Morabito per L’Espresso, le Regioni che superano la soglia minima del 33 per cento di posti al nido per bambini residenti sono il Trentino, l’Emilia Romagna (entrambi con una storia importante di nidi e progettazione) e il Molise. Quest’ultimo per un motivo diverso: «Le regioni con pochi abitanti sono state avvantaggiate per un errore di calcolo.

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Proprio così: i criteri di accesso al bando non pesano correttamente la dimensione geografica. Il risultato è che regioni grandi, come la Campania, sono svantaggiate rispetto alle zone meno popolate», accusa Gianfranco Viesti, docente di Economia all’Università di Bari. La Campania vede migliorare del 250 per cento la propria posizione (anche perché partiva dal 4,5 per cento bambini), ma per arrivare alla soglia del 33 per cento mancano più di 22mila posti. Viesti conclude: «Avevamo a disposizione molti soldi per una misura fondamentale di equità civile, per combattere la disuguaglianza di genere e invertire la rotta della decrescita demografica. Poi si è deciso di affidare i criteri di assegnazione alla bizantina macchina burocratica del ministero dell’Istruzione e questo è il risultato». Ed è stato necessario riproporre il bando tre volte per riuscire a destinare almeno la metà dei fondi al Sud, dove il bisogno di infrastrutture è maggiore.

«Destinare il 55 per cento delle risorse al Meridione è sicuramente positivo, ma non sufficiente se si considera che attualmente il 70 per cento dei nidi pubblici si concentra al Nord», commenta Morabito. Ma torniamo al comune di Camporosso, dove il sindaco-architetto, che si è aggiudicato oltre un milione di euro per realizzare l’asilo, dovrà poi occuparsi della gestione. Il mantenimento costa 7.670 euro a bambino. Cosa intende fare Gibelli? «Siamo un piccolo comune, non abbiamo tutte quelle risorse. La gestione sarà per forza privata». Viene da chiedersi se i genitori di Camporosso avranno in tasca quei 698 euro al mese per pagarsela, la retta al nido privato. Forse Gibelli ha fatto il passo più lungo della gamba, realizzando una struttura che non avrà utenti? Di sicuro il vicino sindaco di Dolceacqua è stato più cauto: «Siamo solo duemila abitanti e tanti genitori si organizzano diversamente, con nidi fai da te nelle abitazioni private. Volendo si potrebbe trovare uno spazio nella nuova scuola dell’infanzia, ma i costi sono eccessivi, non si riesce a mantenerlo», dice Fulvio Gazzola, che proprio di fronte allo scoglio gestionale ha deciso di non presentare alcuna domanda.

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Eppure nella finanziaria di quest’anno è stato introdotto un apposito fondo per garantire la gestione dei nidi a chi non raggiunge la soglia del 33 per cento di posti nido: peccato che questa comunicazione non sia arrivata ai sindaci. Da quest’anno il Fondo di solidarietà comunale finanzia per gli asili nido somme crescenti fino a 1,1 miliardi di euro nel 2026 per circa cinquemila comuni e assicura che, dal 2027 in avanti, cioè quando i nuovi nidi saranno costruiti, verranno garantite altrettante risorse annuali per la gestione ordinaria dei nidi, ovvero per pagare le educatrici, le bollette, i pasti.

L’assegnazione è frutto di un lavoro certosino realizzato dalla Commissione Tecnica per i Fabbisogni Standard che calcola, per ciascun comune d’Italia, il numero di bambini con meno di tre anni in relazione ai posti nidi oggi disponibili e alla necessità economica del municipio per raggiungere la soglia minima del 33 per cento quando i nidi saranno costruiti. Il capo della Commissione Tecnica è Alberto Zanardi, docente di Scienza delle Finanze all’Università di Bologna, che alla luce della graduatoria dei nidi commenta: «Non c’è una corrispondenza fra i fabbisogni standard di spesa corrente e l’assegnazione delle risorse da parte del Pnrr. Il fondo però risponde a una delle maggiori preoccupazioni dei sindaci, che è proprio quella di come gestire la futura gestione di quei nuovi nidi. Le scadenze stringenti del Pnrr non hanno però facilitato la comunicazione per tempo ai singoli comuni della futura disponibilità di queste risorse, il che può aver frenato qualche sindaco dal presentare progetti per i nuovi nidi».

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In alcuni casi la comunicazione non è proprio arrivata, come nel caso del comune ligure di Camporosso. «Se anziché seguire la logica del bando avessero usato la tabella del fabbisogno standard  quei fondi sarebbero stati destinati ai comuni con reali necessità», spiega Morabito. Ad essere escluse, infatti, sono soprattutto le aree interne, le periferie, le zone più soggette a situazioni di disuguaglianza e i comuni che faticano a intavolare una logica di collaborazione con i municipi limitrofi.

È il caso del comune di Pigna, nell’entroterra ligure, meno di mille abitanti, dove il sindaco Roberto Trutalli si dice profondamente deluso: «È mancata l’attenzione verso le piccole realtà. Ad esempio, qui da noi si sarebbe potuta realizzare una piccola sezione primavera per i piccolissimi, legata alla scuola materna, ma non abbiamo avuto le risorse per partecipare al bando e non possiamo permetterci i costi di gestione». Trutalli è critico rispetto all’intero Pnrr: «In Italia ci sono centinaia di piccoli comuni come il nostro che non sono minimamente stati presi in considerazione. È mancata totalmente la volontà di ascoltarci e fra i cittadini c’è profonda delusione verso questa politica da slogan».