La strage all’assemblea di condominio, poi il femminicidio davanti al ristorante ripropongono il problema delle troppe armi a domicilio. Su 548 mila titolari di licenza, solo un quinto frequenta il poligono

Elisabetta Silenzi, 55 anni, Sabina Sperandio, di 71, e Nicoletta Golisano, 50 anni, sono state freddate dalla Glock 45 che Claudio Campiti, 57 anni, aveva portato via l’11 dicembre dal poligono di Tor di Quinto a Roma. «Non si può morire così», era stato il commento della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Non si può, certo. Anche se non era la prima volta che in Italia l’autore di una strage avesse in mano un’arma “legale”. Il 13 gennaio è accaduto di nuovo, sempre a Roma: il femminicidio dell’avvocata Martina Scialdone, 34 anni. Uccisa da Costantino Bonaiuti, 60 anni, funzionario Enav con la passione del tiro sportivo davanti a un ristorante.

 

Casi che mettono in luce una serie di vuoti normativi e zone d’ombra sulla detenzione delle armi comuni nel nostro Paese. A cominciare dal fatto che per poter sparare a un poligono di tiro non è necessario un porto d’armi. È sufficiente iscriversi, presentando il proprio certificato generale del Casellario giudiziale e dei carichi pendenti della Procura di residenza. «Ma come si legge proprio sul sito del tiro a segno nazionale di Roma: in sostituzione dei suddetti certificati l’interessato può sottoscrivere presso i nostri uffici l’autocertificazione prevista per legge», annota Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal).

 

Non solo. Campiti ha potuto accedere al poligono di Tor di Quinto e impratichirsi con le armi nonostante gli fosse stato negato il porto d’armi già dal 2018. Bonaiuti, invece, di pistole ne aveva quattro a casa, tutte denunciate, sempre per uso sportivo.

 

Nonostante la legislazione sia tra le più restrittive d’Europa, comprare e tenere in casa un’arma non è poi così complicato. Basta ottenere un “nulla osta all’acquisto”, che può essere rilasciato solo a persone maggiorenni e ha validità di un mese. Lo si ottiene facendo domanda alla polizia o ai carabinieri, allegando una certificazione di idoneità psicofisica rilasciata generalmente dalle Asl e un attestato d’idoneità al maneggio delle armi, ottenuto dopo aver frequentato un corso teorico-pratico che può durare anche solo mezza giornata. Il nulla osta permette solo di acquistare l’arma per portarla alla propria abitazione e tenerla lì.

 

Il porto d’armi invece può essere concesso per uso “tiro a volo” (chiamato anche “tiro sportivo”), caccia o difesa personale e autorizza a trasportare l’arma al di fuori della propria abitazione per raggiungere il poligono di tiro o l’area di caccia. Ovunque, nel caso della difesa personale, più difficile da ottenere perché va rinnovata ogni anno e viene rilasciata dal prefetto. Il porto d’armi per uso sportivo, invece, oltre al nulla osta richiede l’iscrizione a un’associazione di tiro. Con le regole attualmente vigenti si possono tenere tre armi comuni da sparo, dodici per uso sportivo, mentre per i fucili da caccia non sono previsti limiti.

 

Il risultato? «La gran parte di coloro che detengono la licenza per tiro sportivo, di fatto non lo pratica: a fronte, infatti, di 548.470 detentori di licenza di tiro sportivo registrati nel 2019 dalla polizia di Stato, gli iscritti alle associazioni sportive erano meno della metà (206.454) e gli effettivi “tiratori puri” meno di un quinto (101.733)», sottolinea Beretta.

 

La velocità con cui si ottiene, il costo contenuto (circa 300 euro tra abilitazione al maneggio in un poligono di tiro, certificato medico e marche da bollo) e la durata di cinque anni senza alcun tipo di controllo spiegano la grande popolarità delle licenze sportive. «Solo dopo tragici eventi si scopre che il titolare era affetto da depressione o patologie simili», spiega Beretta. Tra il 2007 e il 2017, infatti, solo nel 15 per cento dei casi l’autore dell’omicidio mostrava sintomi di problemi psicologici gravi. Luca Traini, autore del tentato eccidio razzista di Macerata del 3 febbraio 2018, aveva dovuto aspettare solo 18 giorni per ottenere la licenza per armi da tiro sportivo.

Storia diversa per il versante illegale. «Gliel’ho data io…la 357 gliela ho venduta io». Confessa Salvatore Bellante, originario di Caltanissetta ma da anni residente a Cologno Monzese, inconsapevole di essere intercettato. Era uno dei perni dell’indagine del maggio 2022 dei carabinieri di Sesto San Giovanni sul commercio incessante di pistole, kalashnikov, fucili e bombe a mano che coinvolgeva anche clan foggiani e ’Ndrangheta. Per anni hanno rifornito il mercato clandestino del Nord Italia.

 

«In passato ho seguito per motivi di indagine, subito dopo la guerra nell’ex Jugoslavia, la mafia pugliese e albanese che andavano a comprare armi in Bosnia e Montenegro per poi rivenderle alla ’Ndrangheta barattandole con la cocaina, molte di queste armi le abbiamo ritrovate in Calabria», spiega a L’Espresso Nicola Gratteri, procuratore capo di Catanzaro. Uno scenario che oggi potrebbe riproporsi con la guerra in Ucraina. «Mi chiedo perché quando sono state inviate le armi in Ucraina non è stato installato anche un gps per tracciarle?».

 

Secondo l’ultimo report disponibile di Small Arms Survey, un centro di ricerca di Ginevra che si batte per ridurre il numero di armi in circolazione, nel 2018 in Italia erano presenti 2 milioni di armi legali, a queste si aggiungono ben 6,6 milioni di armi illegali – considerando sia quelle, per esempio, ricevute in eredità ma non registrate o per le quali la licenza è scaduta, che il traffico clandestino portato avanti dalle organizzazioni criminali. Stime, perché un reale censimento statale delle armi in circolazione in Italia non esiste.

 

«Le ultime indagini hanno posto l’accento sul negozi del dark web e sulle fiere di collezionisti, dove insieme a cimeli si possono reperire ordigni tuttora funzionanti», spiega Marco Garofalo, direttore della prima divisione del Servizio centrale operativo della polizia. Ma non solo: «Un altro versante in continua crescita è quello delle armi fai-da-te». Si tratta di armi fabbricate clandestinamente con stampanti in 3D. «Una pistola interamente in plastica che non suona al controllo di un metal detector in un aeroporto o edificio pubblico è un fantasma in grado di preoccupare tutti gli attuali sistemi di sicurezza», si legge in un rapporto dell’Europol. E i prezzi per le stampanti tridimensionali sono scesi fino a 200 euro, mentre Internet offre gratuitamente manuali per creare veri arsenali.

 

E nel dark web, con pochi clic è possibile comprare un kalashnikov AK-47. Tor è il software più diffuso per rimanere nell’anonimato: abbiamo navigato su uno dei portali che vende armi, i cosiddetti black market. Sono una sorta di Amazon dell’illegalità. Un Ak47 costa 700 euro, 230 euro una bomba a mano, in media sui 50 euro le pistole. Fucili e mitragliatrici invece si aggirano intorno ai 200 euro. Il sito promette che nel giro di pochi giorni l’arma, pezzo dopo pezzo, verrà spedita all’indirizzo prestabilito. Il venditore consiglia di prendere domicilio fittizio in una casa abbandonata e montare una cassetta della posta da svuotare la notte. Rischi? «Quasi del tutto assenti», assicura. A oggi, infatti, solo tre gestori di black market mondiali sono stati arrestati.

 

E c’è anche un modo più tradizionale di procurarsi un “ferro”. «A Napoli chi rifornisce il mercato di droga e armi sono gli ex Di Lauro: il clan Pagato-Amato, gli Abete e gli Abbinante», racconta Gennaro Panzuto, detto “Terremoto”, ex reggente del clan Piccirillo e killer di fiducia del potente clan Licciardi dell’alleanza di Secondigliano. «Non è così difficile comprarne una: i clan acquistano armi in grandi stock, ai loro killer vanno i “ferri” migliori, il resto finisce al mercato nero».

 

Alcuni resoconti investigativi, che L’Espresso ha potuto visionare, ripercorrono il tragitto dei carichi: «Arrivano dalle regioni della ex Jugoslavia ma anche dall’Iran, passando per i porti adriatici». L’economia criminale dell’area vesuviana da questo commercio guadagna per una pistola da cinquecento a millecinquecento euro, a seconda del modello, mentre un Ak47 può arrivare a costare fino a 5mila euro.