Il sistema salute
Angelucci, De Benedetti, Rotelli: chi sono i privati che guadagnano dai tagli alla Sanità
L’offerta pubblica ormai soccombe di fronte all’avanzata del privato, ora in maggioranza. Ecco i protagonisti di questo settore tra affari per miliardi, porte girevoli, agganci politici, contributi ai partiti e controllo dei giornali
Quando si è saputo che il maggior finanziatore privato alla luce del sole dell’ultima campagna elettorale per le politiche rispondeva al nome di Marco Rotelli, classe 1993, nessuno si è sorpreso più di tanto. Il contributo standard del giovane esponente della famiglia che controlla il più grande gruppo privato convenzionato con la sanità pubblica ammontava a 30 mila euro. Soldi arrivati a Fratelli d’Italia, Partito Democratico, Lega, Forza Italia, Impegno civico e Italia Viva. Nella lista dei finanziatori di Azione ecco invece, con 50 mila euro nel 2022 e 30 mila l’anno prima, Gianfelice Mario Rocca, patron della multinazionale Techint. Il quale, da qualche anno, ha però deciso di investire anche nella sanità. Suo è il gruppo sanitario Humanitas, nel cui consiglio di amministrazione ha chiamato anche una vecchia e mai abbandonata conoscenza: l’ex capo dell’Eni e attuale presidente del Milan e dell’Enel, Paolo Scaroni.
La verità? Un contributo di qualche migliaio di euro non può cambiare il corso di una campagna elettorale. Ma negare che siano piccoli segnali di attenzione è impossibile. Il fatto è che la sanità pubblica italiana ormai è pubblica per modo di dire. Da 25 anni a questa parte molte cose sono cambiate. La diga dello Stato è venuta rapidamente giù. E il metodo sdoganato per primo da Roberto Formigoni in Lombardia, soppiantando gli ospedali pubblici con quelli privati accreditati e finanziati dallo Stato, ha dilagato ovunque senza freni. Senza però migliorare le cose, a giudicare dallo stato dei servizi sanitari.
Nel 1997 le strutture pubbliche di ogni ordine e grado erano 12.719: il 64 per cento del totale, contro il 36 per cento rappresentato da 7.171 strutture private convenzionate con il Servizio sanitario nazionale. Oggi il rapporto si è ribaltato completamente. Nel 2021 il peso delle strutture pubbliche, calate di un migliaio di unità, è sceso al 43,7 per cento, mentre quello delle strutture private, più che raddoppiate, ha raggiunto il 56,3 per cento.
E la strategia per favorire i privati ha assunto proporzioni ancora più evidenti nel campo ospedaliero. Nel 1997 le strutture pubbliche erano 777, quasi il 60 per cento del totale. In 25 anni si sono ridotte a 511 e sono poco più del 51 per cento. Nello stesso periodo anche il numero di cliniche e ospedali privati rimborsati dallo Stato è diminuito, ma da 537 a 484, e ora il loro peso sfiora il 49 per cento. Il tutto con effetti talvolta devastanti, apparsi clamorosamente evidenti durante la pandemia. Quando si è scoperto che lo sbilanciamento delle strutture ospedaliere verso il privato convenzionato aveva accentuato la carenza di terapie intensive, particolarmente costose e quindi non convenienti in una logica di profitto. Fatto sta che a fronte di 4.600 posti per le emergenze negli ospedali pubblici, le strutture private che rappresentavano quasi metà dell’intero sistema, ne avevano appena 396.
I tagli inferti soprattutto alle strutture pubbliche le hanno rese sempre meno efficienti, spingendoci automaticamente verso il privato. Dove per una mammografia non si aspetta un anno, anche se costa cara. La spesa diretta degli italiani (non rimborsata dal servizio nazionale) per compensare i buchi della sanità pubblica è così ormai prossima a 40 miliardi l’anno. E aumenta in continuazione. Una cifra mostruosa, ormai superiore a un terzo della spesa statale.
Ma torniamo all’inizio del nostro racconto, per spiegare come in questi 25 anni la ritirata dello Stato abbia favorito con i soldi dei contribuenti la crescita impetuosa di autentici imperi. Al punto che sono nate imprese così votate al profitto da venir quotate in borsa, come Garofalo Health Care, che si autocomprende nel proprio sito fra «i leader nel settore della sanità privata accreditata». Però soltanto dal Lazio in su, dove tutto funziona meglio.
L’affare è apparso subito così redditizio che vi si sono gettati volentieri i pesci grossi. E talvolta non è impossibile scorgere il riflesso neppure troppo opaco di qualche venatura politica. Il gruppo San Donato della famiglia Rotelli vanta un giro d’affari di 1,65 miliardi. Nel 2019 ha ingaggiato come presidente l’ex ministro Angelino Alfano, ormai fuori dal Parlamento. Nel cda degli Istituti clinici Zucchi, appartenenti allo stesso gruppo, era arrivato pure il compianto Roberto Maroni, ex ministro ed ex presidente leghista della Regione Lombardia.
E come dimenticare che una decina d’anni fa la famiglia Rotelli era diventata il primo azionista singolo di Rcs, editore del Corriere della Sera? Perché c’è un’altra caratteristica che oltre alla politica unisce quel mondo. È la passione per la stampa. Prendete l’abruzzese Antonio Angelucci, l’ex portantino del San Camillo che ha messo in piedi uno dei più grandi gruppi sanitari privati pagati dai contribuenti. Già deputato di Forza Italia, così organico al berlusconismo da aver finanziato personalmente Denis Verdini, a sua volta parlamentare azzurro nonché editore di un quotidiano locale venduto in edicola assieme al Giornale della famiglia Berlusconi, è stato a lungo il secondo onorevole più ricco d’Italia dopo il Cavaliere. E ora che è stato eletto nelle liste della Lega salviniana il Giornale se l’è addirittura comprato, portando a tre il numero dei quotidiani nazionali nella sua orbita, contando Libero e Il Tempo.
Ma prendete anche l’ex senatore del Pdl Giuseppe Ciarrapico, andreottiano senza se e senza ma, già proprietario di ospedali convenzionati con il pubblico ed editore di alcuni giornali locali nel Lazio meridionale, da Ciociaria oggi a Latina oggi. Le sue cliniche sono poi finite in Eurosanità, di cui era azionista pure il presidente dell’editoriale L’Espresso al tempo di Carlo De Benedetti e fondatore di Repubblica con Eugenio Scalfari, Carlo Caracciolo. Ancora oggi di Ciarrapico, scomparso nel 2019, Eurosanità porta il marchio, visto che il figlio Tullio Ciarrapico ne è azionista e direttore generale.
E prendete lo stesso Carlo De Benedetti, attualmente editore del quotidiano Domani, già azionista di maggioranza del gruppo Kos, ora passato ai figli e specializzato nelle residenze sanitarie per anziani. Solo in Italia ne ha 93. L’affare più redditizio per la sanità privata in convenzione, che ha avuto per ragioni demografiche una progressione impressionante.
Nel 1997 le strutture residenziali sanitarie private, voce che comprende appunto le residenze per anziani, erano 732; oggi sono 6.708, quasi dieci volte tanto. Denaro a palate, grazie ai vecchietti. E nell’affare Kos non manca l’ombra dello Stato, visto che azionista di minoranza dei De Benedetti è il fondo F2i, nell’orbita della Cassa depositi e prestiti. Curioso, no? Ai meno giovani farà tornare alla mente la scellerata operazione Italsanità, società fatta dall’Italstat per gestire le case di riposo.
Quanto alla politica, in un business che si basa sulle convenzioni con le Regioni il rapporto non può che essere obbligato. Ma se nel caso dei grandi gruppi assume toni anche sfumati, e il rapporto di dipendenza addirittura si capovolge, ai livelli più bassi la faccenda cambia decisamente faccia. E sia pure in sedicesimi tende ad assomigliare allo schema Angelucci, con un coinvolgimento più diretto della politica. Come dimostrano certe vicende siciliane.
Vent’anni fa in Sicilia era la normalità che un gran numero di cliniche convenzionate fosse di proprietà degli stessi politici che in qualche caso avevano voce in capitolo nelle convenzioni. Sulla carta nulla di vietato, ma a dir poco singolare. Con il passare del tempo tante di queste sono passate di mano. Ma qualche traccia di quel sistema ormai sul viale del tramonto ancora rimane. A Palermo la clinica Candela, convenzionata con il Servizio sanitario, è tuttora di proprietà di Barbara Cittadini, figlia del medico Ettore Cittadini, già assessore regionale alla sanità, e moglie dell’ex deputato Salvatore Misuraca, ex assessore regionale ed ex capogruppo di Forza Italia nell’assemblea siciliana.