Il dossier

La rete Tim agli americani di Kkr: oltre 250 milioni di euro di motivi per un'operazione piena di buchi

di Carlo Tecce   31 ottobre 2023

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Pietro Labriola

Il pool di banche e decine di consulenti e avvocati fiutano l'affare sicuro e spingono per farlo, mentre sono incerti i rischi per lo Stato. Ecco chi ci guadagna e perché

A ogni dotta analisi su Tim, spinotti, tubicini, il vecchio rame, la nuova fibra, la rete unica nazionale, la democrazia digitale, le connessioni ultraveloci, il fondo americano Kkr, manca un dettaglio: questa è un’operazione che vale oltre 250 milioni di euro per aziende di consulenza, stuoli di avvocati, istituti di credito. Ormai è un convoglio affollato che deve arrivare in stazione. Nessuno ha più le istruzioni per fermarlo. Un breve riassunto. Sta per compiere due anni il mandato (fallito dopo pochi mesi) a un folto gruppo di avvocati per l’esame della manifestazione di interesse non vincolante del fondo americano Kkr per l’intera Tim. Fu il primo approccio. L’amministratore delegato era Luigi Gubitosi. Il presidente del Consiglio era Mario Draghi. In questo lungo periodo di incertezza e speculazioni, Tim ha eroso la capitalizzazione in Borsa, che è scesa a 5,3 miliardi di euro (a maggio era 5,8 e sette anni fa era quasi a 16) e ha covato un debito netto che si è arrampicato a 26 miliardi. I dipendenti sono stabili a 50.392 di cui 9.395 in Brasile. Il governo ha rovesciato con estrema lentezza il piano di due anni fa. Adesso c’è l’opzione con Kkr per la rete unica nazionale, che viene spinta da fattori geopolitici e da vantaggi individuali. Il ginepraio è immutato.

 

Il primo azionista di Tim è la francese Vivendi di Vincent Bolloré col 23,75 per cento, il secondo è lo Stato col 9,81 di Cassa Depositi e Prestiti. A sua volta Tim, dopo lo scorporo avvenuto durante la stagione di Gubitosi, controlla il 58 per cento di FiberCop, l’azienda che posa la fibra, Kkr ne detiene il 37,5, Fastweb il 4,5. Il concorrente diretto di FiberCop è la “pubblica” OpenFiber di proprietà (60%) di Cassa Depositi e Prestiti (Cdp Equity) con la partecipazione del fondo australiano Macquarie che subentrò a Enel.

 

Oggi l’ipotesi è americana. Il fondo Kkr dovrebbe prendere il 65 per cento della nascitura società per la rete unica nazionale, cioè il patrimonio di Tim, con una valutazione complessiva che sfiora i 24 miliardi di euro; la quota di minoranza sarà divisa fra il Tesoro chiamato a impegnarsi con circa 2,5 miliardi di euro e il fondo F2i gestito da Renato Ravanelli. In questo contenitore, a scadenze variabili, sarà conferito il rame, la fibra, FiberCop e il gioiello Sparkle con i suoi 600.000 km di cavi sottomarini che collegano il mare Mediterraneo e l’oceano Atlantico e sui quali transitano dati assai sensibili e il traffico internet di Israele.

 

A quel punto OpenFiber rimarrebbe fuori e la rete unica non sarebbe davvero unica. Per non soffermarsi troppo, e risparmiarsi uno spavento, sulla parte commerciale di Tim, ridotta a compagnia telefonica con gravi pesi da sopportare, soprattutto il debito: verrebbe rifilata a Vivendi, che ne è comprensibilmente terrorizzata. E per l’appunto i francesi, abbastanza isolati, hanno già iscritto a bilancio perdite per 3,2 miliardi di euro dopo la campagna italiana in Tim. Ancora indefinita è la sorte dei 50.392 dipendenti, almeno 20.000 sono in esubero.

 

Vincent Bolloré

 

La società con al comando Kkr e la vigilanza del Tesoro e del fondo F2i, risolti questi conflitti che appaiono irrisolvibili, dovrebbe investire 1,5/2 miliardi di euro all’anno per portare le connessioni ultraveloci in Italia e colmare per sempre il divario digitale. In sostanza il governo, oltre ad accollarsi il sostentamento di migliaia di disoccupati, si compra a caro prezzo un lembo di una azienda strategica che era già sua e per finanziare la crescita della rete unica nazionale si affida a un fondo privato che, per sua natura, deve fare profitti con una rendita costante per remunerare i suoi soci. Forse è un epilogo che rimanda a qualcosa, l’abbiamo già visto con Autostrade. Dopo la tragedia del ponte Morandi, lo Stato ha “punito” il gruppo Benetton liquidandoli con 8 miliardi di euro per riacquistare la rete Autostrade e intestarla a Cassa Depositi e Prestiti e poi ha coinvolto i fondi Macquarie e Blackstone che, pur in minoranza, sono concentrati più sui dividendi che sulla manutenzione. E pure qui il passato è stato cattivo maestro. Tant’è che già si discute di cordate per rilevare il 51 per cento di Cassa depositi e prestiti e tornare a un modello privato. Il ministro Giancarlo Giorgetti (Tesoro) è diffidente su Tim proprio per l’esperienza di Autostrade e per tutte le convivenze malsane pubblico-privato nelle quali il pubblico ci rimette e il privato incassa. Al contempo lo Stato deve presidiare la rete unica telefonica e deve accorciare la distanza digitale fra Nord e Sud, metropoli e periferie. Non ci sono alternative al fondo americano Kkr pur sapendo che questa non è una alternativa solidissima. Perciò sono determinanti gli almeno 250 milioni di euro che brillano sullo sfondo, facili guadagni che possono persuadere i più scettici. Nonostante la Corte dei Conti abbia già espresso un giudizio severo sul programma di Kkr: «Pur prendendo atto che le attività valutative dell’operazione societaria risultano ancora in corso, queste Sezioni riunite ritengono che, allo stato attuale, il contenuto della motivazione del decreto della presidenza del Consiglio e dei prospetti finanziari preliminari trasmessi, anch’essi sintetici, non appaiono idonei a suffragare adeguatamente il giudizio di sostenibilità finanziaria dell’investimento».

 

Un aneddoto. La delegazione di Vivendi con l’amministratore delegato Arnaud de Puyfontaine e il presidente rampollo Yannick Bolloré, qualche settimana fa, ha incontrato al Tesoro il ministro Giorgetti e Gaetano Caputi, il capo di Gabinetto della presidenza del Consiglio. La coppia di Vivendi ha ascoltato in silenzio con parecchio ossequio la relazione su Kkr degli italiani, finché non si è passati in rassegna le certificazioni di cinque banche sulla bontà del progetto. Allora hanno chiesto: «Queste cinque banche sono nel gruppo che dovrà aprire 10 miliardi di linee di credito per il debito?». Sì, tutte. Nel gruppo di banche ci sono Mitsubishi Financial Group, Bnp Paribas, Credit Agricole, Deutsche Bank, Santander, Natixis, Unicredit, Intesa San Paolo, Bpm, Ing. Soltanto le commissioni su 10 miliardi sono 200 milioni di euro. E c’è la schiera di consulenti pronta a fatturare altri 50 milioni. Inoltre Pietro Labriola, l’ad di Tim, avrebbe un bonus milionario a due cifre al verificarsi di alcune condizioni di vendita.Per l’operazione in corso, Labriola ha indicato Mediobanca e lo studio Vitale, il Comitato aziendale ha scelto Goldman Sachs e LionTree. Il fondo Kkr è assistito da Jp Morgan e da Morgan Stanley, entrambi guidati da ex direttori generali e ministri del Tesoro. Vittorio Grilli per Jp Morgan, Domenico Siniscalco per Morgan Stanley. Grilli è il più influente e conosce Caputi, ex capo del legislativo, il più risoluto su Kkr, dalla stagione al ministero di via XX Settembre.

 

I legali di Tim sono gli studi Zoppini e Gatti, Pavesi, Bianchi. Non è semplice per i tecnici del Tesoro confrontarsi e contenere squadroni di avvocati e consulenti di tale lignaggio e con tali trascorsi. Il duello è impari. In questa fase, mentre Vivendi organizza la sua reazione (il suo ostruzionismo) e l’ad Labriola sente l’impresa più vicina (era disperata qualche mese fa), si capirà quanto sarà conveniente o sconveniente per lo Stato.

 

Questa disamina disvela molti aspetti di vulnerabilità: «I problemi finanziari di Telecom Italia non possono essere risolti a danno dell’azienda. Lo dicono in una nota congiunta, i sindacati Cgil, Cisl e Uil che respingono le ipotesi di cessione di Tim o di scorporo della rete fissa circolate in questi giorni. In queste ore vanno intensificandosi notizie di stampa che ventilano la possibilità della cessione di Tim quale misura necessaria per ridimensionare il consistente debito di Telecom. Si tratterebbe di una decisione grave che rischia di mettere a repentaglio il progetto industriale di convergenza tra telefonia fissa e mobile; verrebbero meno importanti risorse utili alle esigenze di Telecom e rischierebbe di scomparire l’ultimo gestore italiano di telefonia mobile. Altre sono le strade che devono essere valutate, compresa la possibilità di una ricapitalizzazione». Sembra un comunicato di ieri sera, invece è di vent’anni fa. Perché le cose che vanno male in Italia, spesso possono andare peggio.

 

La replica di Tim al nostro articolo
Con riferimento all’articolo da voi pubblicato dal titolo ‘Ma quanto è ricco il piatto TIM’, l’Azienda desidera precisare che non sono previste provvigioni degli importi indicati per le attività di consulenza così come “bonus milionari a due cifre” per l’Amministratore Delegato in caso di operazioni straordinarie. I sistemi di incentivazione per il management di breve (Mbo 2023) e di lungo termine (Long Term Incentive 2021-2023 e Stock Options 2022-2024) si basano, infatti, esclusivamente sull’andamento operativo dell’Azienda e non sono stati stabiliti obiettivi legati ad operazioni straordinarie, quali, ad esempio, l’eventuale cessione della rete. 
Con preghiera di pubblicazione.

 

Ufficio stampa TIM

 

La nostra risposta

 

Gentile Ufficio Stampa di Tim,

 

grazie della vostra lettera che ci offre una occasione di chiarimento scevra dalla doverosa sintesi giornalistica. Per quanto riguarda la mia stima sul valore delle consulenze per le aziende coinvolte nel progetto di scorporo di Tim e di Rete unica nazionale è palese che comprenda tutti i soggetti coinvolti per tutti i protagonisti e non unicamente Tim. Invece mi prendo un po' di spazio e vi chiedo un po' di tempo per spiegare meglio l'affermazione sui compensi variabili dell'amministratore delegato Pietro Labriola che ha suscitato una vostra precisazione. Innanzitutto, traggo i dati dalla tabella allegata alla relazione per la remunerazione del 2023, l'ad Labriola ha ricevuto nel 2022 compensi totali per 3,608 milioni di euro di cui 1,944 milioni legati a bonus e 120mila euro al valore del titolo. Com'è evidente, se la storica operazione di scorporo di Tim e di creazione di una Rete unica nazionale si verificasse, i parametri che hanno determinato i bonus nel 2022 sarebbero migliori e di ciò ne gioverebbero i compensi di Labriola.  Prendo spunto dall'ultima relazione annuale sulle remunerazione: «L’Assemblea degli Azionisti del 7 Aprile 2022 ha approvato la proposta del Consiglio di superare il Piano Long Term Incentive 2020-22 e di sostituire l’assegnazione prevista dal terzo ciclo LTI 2022-22 con il Piano SOP 2022-2024, destinando a servizio del Piano stesso un numero massimo di 257.763.000 azioni ordinarie. La filosofia sottostante al Piano di Stock Option prevede l’incentivazione del management nel perseguimento degli obiettivi sfidanti del processo di turnaround – indipendentemente dall’evoluzione strategica del Gruppo TIM – attraverso il riconoscimento di una quota rilevante dell’eventuale valore creato attraverso tale processo.

 

Il Piano Strategico presentato al mercato durante il Capital Market Day del 7 luglio 2022 presenta importanti discontinuità e definisce obiettivi chiari nel medio lungo termine. In particolare, il Piano prevede il superamento del modello di integrazione verticale considerando la possibilità di separare gli asset infrastrutturali di rete fissa (NetCo) dai servizi (ServCo con TIM Consumer, TIM Enterprise e TIM Brasil) illustrando per ciascuna entità il contesto di mercato, i perimetri di attività e le attività strategiche, nonché le le modalità in cui le stesse potranno competere nei rispettivi mercati di riferimento in modo da generare più valore». È vero che il piano Stock Options 2022-24 non poteva contemplare quanto stabilito dal Capital Market Day, perché successivo, e che non faccia menzione di nuove strategie industriali bensì si prefigurasse altri obiettivi da raggiungere, ma è anche vero che Labriola (a cui spettano 24 milioni di azioni) e gli altri dirigenti apicali, per poter esercitare l'opzione su queste azione-premio, devono sperare che il titolo oggi attorno a 0,24 euro arrivi a 0,424. E questo pare possibile soltanto con l'avverarsi del piano scorporo Tim. E cioè con il verificarsi di determinate condizioni.